DONALD TUSK NON SI FA INFINOCCHIARE DALLA “CAMALEONTE” GIORGIA – IL PREMIER POLACCO, CHE HA SCALZATO LA DUCETTA COME TERZO INCOMODO TRA MACRON E SCHOLZ, AVVERTE LA MELONI: “A LIVELLO INTERNAZIONALE, LE SENTO FARE SOLO DICHIARAZIONI EUROPEISTE. MA MELONI È CERTAMENTE CONSAPEVOLE CHE AVREI DIFFICOLTÀ AD ACCETTARE LE SUE OPINIONI E I SUOI METODI NELLA POLITICA INTERNA” – “HO UNA POSIZIONE CHIARA SUI PARTITI DI ESTREMA DESTRA…”
-Estratto dell’articolo di Tonia Mastrobuoni per “la Repubblica”
[…] Donald Tusk […] Torniamo all’Europa. Che ruolo ha attualmente il Triangolo di Weimar polacco-tedesco-francese per la Ue?
«La cosa più importante per la sicurezza dell’Europa è l’intesa e la cooperazione tra Francia, Germania e Polonia sulla difesa. La Polonia, grazie alla sua posizione geografica e al suo attivismo nell’area, può svolgere un ruolo molto costruttivo.
Nell’Ue esistono vari formati. Quando sono diventato primo ministro, la mia prima iniziativa è stata quella di rinnovare le relazioni con i Paesi nordici, in particolare con la Svezia e la Finlandia quando hanno aderito alla Nato. In termini di solidarietà sulle questioni di sicurezza, è un formato estremamente promettente. E ora sto cercando di migliorare le relazioni con i colleghi del gruppo di Visegrad».
Però, dopo il suo recente incontro con Macron e Scholz, in Europa si sono levate voci irritate. La premier italiana Meloni è contrariata per non essere stata invitata, nonostante il suo Paese presieda il G7.
«Voglio lavorare a stretto contatto con la premier Meloni. Ha già dimostrato che, quando si tratta di geopolitica e di interessi comuni, è più europeista e responsabile di quanto ci si aspettasse. Farò tutto il necessario per sviluppare le relazioni italo-polacche e per fare dell’Italia un attore importante in Europa. Sto preparando una visita a Roma, cercherò di fugare personalmente tutti i dubbi sul Triangolo di Weimar».
Sul fronte interno, Meloni mostra un volto più autoritario. Si scaglia contro giornalisti, editori e magistrati, riprendendo spunti che somigliano a quelli del PiS. Eppure a Bruxelles si parla sempre più spesso di una collaborazione tra il Ppe e Meloni, addirittura di una possibile adesione di Fdi al Ppe. È realistico?
«Conosco Meloni da troppo poco tempo per poter dare un giudizio. Ma da quello che sento dire dai suoi omologhi, non solo nel Ppe, anche dai socialisti o dai liberali, è che il ruolo positivo di Meloni a Bruxelles, nel Consiglio europeo, è ampiamente apprezzato. Sono rimasto colpito quando l’ho sentita parlare pubblicamente a sostegno dell’Ucraina. Ha difeso con passione le scelte filoucraine nel Parlamento italiano. A livello internazionale, le sento fare solo dichiarazioni europeiste. Ma Meloni è certamente consapevole che avrei difficoltà ad accettare le sue opinioni e i suoi metodi nella politica interna».
Dopo le elezioni del Parlamento europeo ci sarà di nuovo un’alleanza tra Ppe, socialdemocratici e i liberali, oppure con l’estrema destra?
«Ho una posizione chiara sui partiti di estrema destra in Polonia. Ma ogni leader democratico conosce meglio la situazione del proprio Paese e decide autonomamente quale strategia adottare».
Intende rinegoziare il Patto sulla migrazione adottato dall’Ue?
«Purtroppo il Patto non è una buona risposta ai problemi che affrontiamo in Polonia. Nella nostra parte d’Europa, l’immigrazione ha un volto diverso da quella a cui si assiste del Mediterraneo. Oggi assistiamo di nuovo a un’operazione orchestrata dal regime di Lukashenko al confine con la Bielorussia. Non giustificherò alcuni dei metodi usati dalle guardie di frontiera polacche, ma non possiamo essere inermi di fronte a Putin e Lukashenko».
Come leader dell’opposizione, lei ha vinto una battaglia impari con il PiS. Cosa può imparare l’Europa dalla vittoria polacca sul populismo?
«Ci vuole determinazione e fiducia nella vittoria, questo è fondamentale. Kaczynski e i suoi tirapiedi erano molto più deboli di quanto non si pensasse. Il problema era convincere le persone che lo “Stato di diritto” o la “libertà” non sono astrazioni, ma questioni che riguardano la vita di tutti i giorni.
Ho lottato per la libertà quando ero un ventenne e purtroppo abbiamo imparato che in Polonia, negli ultimi tempi, è stata necessaria una determinazione simile a quella che abbiamo dimostrato nella lotta al comunismo. L’aspetto più importante è che non bisogna mai essere ambigui. Se qualcuno è un ladro bisogna dire che è un ladro, e se c’è corruzione e violenza bisogna parlare di corruzione e violenza. Inoltre, per vincere contro l’autoritarismo e i populisti, a volte bisogna essere in grado di usare i loro stessi argomenti. A volte Kaczynski o Orbán hanno ragione nelle loro diagnosi, ma la medicina è velenosa e sbagliata. Ad esempio, durante la prima crisi migratoria del 2015». […]