GIOVENTÙ BRUCIATA - IN ITALIA CI SONO 2,5 MILIONI DI GIOVANI, TRA I 15 E I 29 ANNI, CHE NON STUDIANO E NON LAVORANO - IL LORO COSTO IN TERMINI DI PRODUTTIVITÀ NEL PAESE ARRIVA FINO AL 6,8% DEL PIL - IN EUROPA I “NEET” SONO 13 MILIONI E MEZZO

In Europa sono aumentati dal 10,9% del 2007, al 12,4% del 2014. Dal 16,2% al 26% in Italia. Un primato, quello del nostro Paese, ottenuto con distacco: per essere classificati «very high rate» basta il 17%. La media Ue è del 15%. Solo la Grecia fa peggio di noi: 28%, mentre la Germania è all’8% e la Francia al 13…

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Antonella De Gregorio per www.corriere.it

 

Poveri giovani. O almeno poveri quei due milioni e mezzo di individui, tra i 15 e i 29 anni, che non sono più a scuola e non sono nemmeno nel mondo del lavoro. Hanno coniato una sigla per indicarli, «Neet»: Not in Education, Employment or Training, e spiegare cosa fanno è semplice: niente. O meglio, mandano curriculum senza esito, e fanno passare le giornate. I numeri non sono precisi, ma un’idea di quanti siano c’è: 13 milioni e mezzo in Europa, un quarto dei giovani di questa fascia d’età da noi, il 26%. Hanno un’età compresa tra 15 e 29 anni.

DISOCCUPATI DISOCCUPATI

 

E pagano alla crisi, o all’incapacità del sistema educativo, lo scotto più alto: l’esclusione dal sistema sociale. In Europa sono aumentati dal 10,9% del 2007, al 12,4% del 2014. Dal 16,2% al 26% in Italia. Un primato, quello del nostro Paese, ottenuto con distacco: per essere classificati «very high rate» basta il 17%. La media Ue è del 15%. Solo la Grecia fa peggio di noi: 28%, mentre la Germania è all’8% e la Francia al 13.

 

6,8% DEL PIL

DISOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE

Una ricerca di We World, organizzazione non governativa italiana di cooperazione allo sviluppo, presentata oggi a Roma alla spazio Europa della Commissione e del Parlamento Ue, analizza il fenomeno su scala nazionale, incrociando i dati e approfondendoli con un sondaggio Ipsos e interviste in sette città, da Palermo a Pordenone.

 

Lo studio indica innanzitutto che la piaga dei Neet si allarga a dismisura, con un incremento di almeno un punto percentuale all’anno. E che il suo costo sull’economia e sulla crescita del Paese arriva fino al 6,8% del Pil, calcolato come effetto sul reddito fruibile nell’arco della vita.

 

INSUCCESSO SCOLASTICO

Lo studio, realizzato con la cooperativa «La grande casa» e la rivista Animazione Sociale, mette per la prima volta in relazione la condizione dei «Neet» con il loro successo scolastico: buona parte dei ragazzi che non studiano e non lavorano hanno alle spalle un passato di dispersione scolastica. Hanno cioè abbandonato, interrotto, cambiato indirizzo, accumulato incidenti sul percorso dopo la scuola media. Sono degli «early school leavers».

 

NEET NEET

Obiettivo europeo era quello di ridurne il numero al 10%. Ma in Italia rappresentano il 15% (17,7% maschi, 12,2% femmine), mentre Germania, Francia e Regno Unito registrano quote più basse. Se poi si considerano le quote regionali, l’obiettivo è molto lontano in Sardegna, Sicilia e Campania, dove oltre il 20% dei ragazzi è fermo alla licenza media e non frequenta alcun corso di riqualificazione professionale.

 

DISPERSIONE

I dati Miur sulle mancate reiscrizioni sono addirittura più drammatici: complessivamente, dalla prima media all’ultima classe di scuola superiore, si perdono il 30% dei ragazzi, che hanno abbandonato gli studi o sono inseriti in corsi che non danno accesso all’istruzione terziaria, pur avendo rispettato l’obbligo formativo.

 

Anche altri, certo, i fattori in gioco: la condizione economica e sociale d’origine, la situazione famigliare e personale (disoccupazione di uno dei genitori, separazione, malattia), il contesto economico nazionale. Ma l’alto tasso di Neet in Italia sembra essere soprattutto conseguenza di un tasso di dispersione che è tra i più alti in Europa.

NEET NEET

 

FANTASMI

Il loro profilo? I Neet, sottolinea la ricerca, che non a caso si intitola «Ghost», paiono ombre, fantasmi, una popolazione sotterranea, che non si affaccia neppure sui social network. Gli adulti non hanno funzionato da indicatori, accompagnatori, life coach, non li orientano nelle scelte.

 

Le famiglie non capiscono il mondo della scuola, sono iperprotettive e ne inibiscono l’iniziativa. Genitori con titoli di studio basso – si legge tra tabelle e grafici – avranno con ogni probabilità figli poco istruiti. E loro si buttano nello sport o nel volontariato. Oppure si chiudono in una piatta routine, senza progetti.

 

«FANNULLONI»

Mille giovani, coinvolti in un sondaggio nazionale realizzato da Ipsos, definiscono i Neet «fannulloni, chiusi, poco speranzosi». Proprio questa dicotomia tra chi ce la fa e chi no – dicono i ricercatori -, chi ha alle spalle una famiglia che sostiene e ispira e chi si sente schiacciato da un futuro che vede sempre più nero, sembra essere destinata a crescere. Fondamentale quindi agire per prevenire il fenomeno, «toccando le scuole e le famiglie».

NEET NEET

 

Iniettare fiducia in questa generazione, cioè, si può, attraverso azioni di prevenzione e contrasto della dispersione scolastica (e We World ha attivo un programma – Frequenza2000 – in sette regioni italiane), la costruzione di stabili relazioni tra scuola, famiglia e territorio, la ricerca di strumenti formativi che sappiano ridurre i divari sociali.

 

E poi bisogna aiutare i giovani a rinforzare le «competenze trasversali» (saper lavorare in gruppo, saper riconoscere cosa si sa fare o no, il concetto di responsabilità, o puntualità – si legge ancora). Pensare alle nuove tecnologie come strumento di capitale sociale, creare ponti tra scuola, formazione e mondo del lavoro.

 

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