ISIS CHE CUCCAGNA! - ABBIAMO SPESO 75 MILIONI DI EURO PER LIBERARE 19 OSTAGGI ITALIANI. DAL 2003 UN FIUME ININTERROTTO DI DENARO NELLE CASSE DEI TAGLIAGOLA ISLAMICI. CON LA META', CI PAGAVAMO IL GIUBILEO E TAPPAVAMO TUTTE LE BUCHE DI ROMA.


Francesca Musacchio per Il Tempo

 

sgrena scende aereo

Settantacinque milioni di euro spesi dal 2003 ad oggi per liberare 19 ostaggi italiani rapiti in paesi a rischio. Sarebbe questa la cifra da capogiro finita in mano a gruppi terroristici e tagliagole che così hanno estorto all’Italia i finanziamenti per portare avanti le proprie attività criminali.

 

Denaro che oggi, ad esempio, sarebbe servito per portare a termine tutti quei lavori di cui Roma ha bisogno per affrontare dignitosamente il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco. Basti pensare che solo dal governo, infatti, per il maxi evento che partirà l'8 dicembre, la Capitale ha ottenuto un finanziamento di 50 milioni di euro.

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Altri trenta, però, sono stati chiesti dall'amministrazione capitolina. Insomma, un fiume di soldi che negli anni è stato consegnato in mano ai sequestratori in Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, Algeria e Mauritania.

 

Con la liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite proprio in Siria rapite il 31 luglio 2014 e liberate a gennaio scorso, la cifra totale pagata dal governo italiano negli ultimi dieci anni ai sequestratori, è passata da 63 a 75 milioni di euro.

quirico e bonino

 

Solo per le due cooperanti il nostro paese avrebbe pagato 12 milioni di euro al gruppo terroristico che le aveva rapite. Poco importa se i soldi sono arrivati agli affiliati di Al Qaeda o a quelli dell'Isis.

 

Di fatto si tratta di denaro che in parte è servito per acquistare armi utilizzate per portare avanti la jihad e in parte per pagare tutto quel giro di mediatori che «aiutano» la trattativa con i rapitori, e che di certo non sono persone disinteressate.

domenico quirico

 

Prima del rilascio delle due cooperanti, tra gli altri nel novembre 2014, è stata la volta di altri due ostaggi: Marco Vallisa, il tecnico piacentino rapito il Libia il 5 luglio 2014, e Gianluca Salviato, il tecnico scomparso nell'est della Libia il 22 marzo 2014 entrambi nel paese nordafricano per motivi di lavoro.

 

Per loro sarebbe stato pagato un milione di euro a testa, poco in confronto ad altre somme versate nelle tasche dei terroristi nel corso degli anni. L'elenco dei soldi pagati dall'Italia in cambio della liberazione di connazionali, infatti, è molto lungo.

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Ben quattro milioni di euro sarebbero serviti per riportare a casa il giornalista de La Stampa, Domenico Quirico, anche lui rapito in Siria il 9 aprile del 2013 e rilasciato dopo 150 giorni di prigionia. Cifre da capogiro anche per la liberazione della giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena, rimasta nelle mani dei sequestratori per un mese, è stata liberata per 4,6 milioni di euro.

 

Un bilancio pesante, anche se mai confermato ufficialmente dal nostro paese, ma che nel tempo ha innescato numerose polemiche non solo interne. Molti Stati esteri, infatti, hanno sempre invitato l'Italia a non pagare. Persino una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, a gennaio 2014, ha invitato gli Stati membri a «non pagare i riscatti ai terroristi in cambio della liberazione degli ostaggi».

 

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Questo, però, non impedisce la stipula di assicurazioni private da parte di aziende o singoli che debbano recarsi in paesi a rischio. Gli Stati Uniti, a giungo scorso, hanno in qualche modo «liberalizzato» le trattative per il rilascio dei propri ostaggi, che in passato sono state condotte da altri per loro conto, non impedendo più alle famiglie dei rapiti di versare l'obolo a gruppi come l'Isis per ottenere la liberazione dei propri familiari. Un espediente per eludere proprio quella risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

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Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, infatti, i rapporti tra i servizi di intelligence occidentali erano divenuti strettissimi e insieme affrontarono la minaccia dei sequestri. Tutti, sulla scia di quanto immediatamente deciso da Stati Uniti e Gran Bretagna, si pronunciarono a favore della linea dura che prevedeva l’assoluto divieto di pagare riscatti.

 

Fu solo una buona intenzione, visto che l’attenzione spasmodica dei media e la pressione esercitata dell’opinione pubblica si trasformarono, come previsto da Al Qaida, in elementi capaci di destabilizzare le scelte e gli equilibri politici di un paese. Così, il divieto di pagare riscatti iniziò a scricchiolare. Intanto l’intelligence italiana in Iraq, Afghanistan, Yemen, Libano e nord Africa aveva una rete humint da tutti riconosciuta tra le migliori al mondo.

 

Greta Ramelli (S) e Vanessa Marzullo

Stati Uniti e Gran Bretagna, insieme a molti altri paesi scesi al fianco delle truppe americane, vi si appoggiarono. Non solo. Sotto la pressione dei media e dell’opinione pubblica avrebbero chiesto all’Italia, in ripetuti incontri informali, di adoperarsi per la liberazione dei loro ostaggi altrimenti condannati a una morte certa. La prova sarebbero le circa 30 lettere di ringraziamento inviate all'Italia da altrettanti paesi, tra cui Usa e Gran Bretagna.

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Intanto, il nostro governo avrebbe sempre scelto la via del pagamento per portare a casa i connazionali come per Simona Torretta e Simona Pari, le cooperanti sequestrate il 7 settembre 2004 in Iraq e liberate il 29 dello stesso mese in cambio di un milione di euro a testa.