CAFONAL BOOGIE BOOGIE! PISTOLE, BOMBE A MANO TATUATE SUL COLLO DEI RAGAZZI, BAMBINI PAFFUTI, ULTRAS, MADONNE, CIBO E PADRE PIO COME SE PIOVESSE: AL CONTEMPORARY CLUSTER IL VIAGGIO IN BIANCO E NERO ATTRAVERSO NAPOLI CON GLI OCCHI DEL FOTOGRAFO NEWYORCHESE BOOGIE – ECCO CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO...
-RAY BANHOFF per rollingstone.it
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Quando suona il telefono e risponde, Boogie sta passeggiando per Roma. Non so se ha voglia di fare fotografie o solo di distrarsi prima della presentazione di Neapolis, il suo ultimo libro per Drago, ma è di buonumore. Anche perché si trova nella capitale per un lavoro inedito nella cripta dei Cappuccini, un ossario preziosissimo con tanto di lampadari realizzati con le tibie, morti ricomposti, sculture ossee e altre assurdità.
Il progetto si chiama Coemeterium, è curato da Giacomo Guidi di Contemporary Cluster e verrà presentato a febbraio 2022. L’idea che mi ero fatto di Boogie era una versione stereotipata delle sue foto. Immaginavo un tipo aggressivo, schivo, dangerous. Niente di più sbagliato. Boogie ha un sorriso da qui a lì ed è estremamente curioso e divertito da tutto così come lo sono i fotografi che trattano la materia umana e le città.
Vladimir Milivojevich, serbo poi emigrato a Brooklyn, classe 1969, ha pubblicato in tutto il mondo e sulle maggiori testate e adesso è tornato a vivere in Serbia dopo 11 anni nella City. Centomila e passa follower su IG, un nome che è leggenda della fotografia degli ultimi vent’anni (non voglio rilegarlo alla cosiddetta “street”), uno stile, quello del bianco e nero sgranato e pieno di contrasto, che è una firma.
Gli dico che una sua foto la riconoscerei in mezzo a mille e lui: «ti ringrazio man, è tutto sai? Fa parte di un lungo lavoro di coerenza con se stessi». Neapolis è un libro di cui spero si parli tanto. Inizia come quello che parrebbe il classico tour nella Napoli che tutti conosciamo tra criminali e Vele, nei quartieri popolari, poi si apre, diventa altro e rivendica la bellezza magica di quella città togliendoli tutta la patina di dramma in stile Gomorra. Ci sono le pistole sì, le bombe a mano tatuate sul collo dei ragazzi e le “spade” a terra ma anche tanti bambini paffuti, ultras, madonne, cibo, Padre Pio come se piovesse e ragazzini in due senza casco sullo scooter. È Napoli baby, come quella che canta Liberato: coerenza e mentalità.
Conoscendo le città di cui si è innamorato Boogie negli anni e a cui ha dedicato i suoi lavori più celebri (Mosca, Belgrado, Instanbul, San Paolo, Tokyo, New York) non poteva che succedere la stessa cosa con Napoli. «Sì amico» – dopo undici anni a Brooklyn Boogie ha l’accento e la cadenza del newyorkese – «Napoli è pazzesca, l’energia è pazzesca. Il mio spirito in un lavoro come questo è venire qui e perdermi. Non ho un gran senso dell’orientamento, seguo il flusso, lascio che le cose succedano». E non hai avuto paura di certi soggetti? «Paura? No, macchè. Mai. Io non forzo mai le situazioni, alcuni pensano che io sia attratto da violenza e periferie ma semplicemente vado dove mi porta l’istinto. Forse da giovane, all’inizio ho calcato un po’ la mano, ma adesso non è più così».
L’atmosfera tra le pagine di questo libro è rarefatta e allucinata, come quella che si prova davvero camminando in città, distratti dal dialetto, dagli odori, dalle luci, dal caos. Napoli è la prima città in Italia con case sfitte perché infestate dai fantasmi, lo diceva Enzo Biagi, ed è la città di cui Curzio Malaparte scrisse: «Napoli è la città più misteriosa d’Europa, la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno».
Come la fotografia di Boogie, che è in bianco e nero, sgranata, a metà tra l’immaginario anni Novanta e Bruce Gilden, tra Capa e Winnogrand. Orizzontale, rettangolare, così inadatta a essere postata su Instagram. «Sai io mi sento che non devo impressionare nessuno, non mi interessa di avere lo stile che va di moda oggi, non ho niente da dimostrare, mi piace fare le fotografie»
Solo con delle vecchie pellicole in bianco e nero si poteva rendere onore alla descrizione di Malaparte e alla modernità. Forse solo Boogie poteva essere in grado di un affresco del genere. Tanto è vero che Luché, rapper e produttore, scrive nell’introduzione al libro: «Se penso alla Napoli degli ultimi anni, la mia Napoli, quella in cui sono cresciuto, quella che mi ha reso uomo in pochi anni ma che mi tiene ancora bambino con quel sorriso di chi accumula tanto dolore e che per orgoglio o dignità non lascia quasi mai trasparire, la colonna sonora che accompagna le immagini di questa città dovrebbe essere qualcosa di molto scuro, aggressivo e tragico.
Invece, le note adatte come sottofondo di qualsiasi inutile tentativo di spiegazione o delucidazione di quello che significhi e che si provi ad essere un figlio di questa città, alla fine suonano dolci, ricche di tenerezza, di malinconia, di attaccamento ai sentimenti, fataliste e soprattutto libere».