VATTI A FIDARE DEI CHIRURGHI ESTETICI – LA 22ENNE MARGARET SPADA NON È L’UNICA CHE HA PERSO LA VITA IN SEGUITO A UN “RITOCCHINO”: NEL 2019 MARIA TERESA AVALLONE, 39 ANNI, MORÌ TRE GIORNI DOPO LA SOMMINISTRAZIONE DELL'ANESTESIA DURANTE UN’OPERAZIONE PER RIFARSI IL SEDERE, IN UNA CLINICA PRIVATA BRIANZOLA - ORA IL CHIRURGO MAURIZIO CANANZI È STATO CONDANNATO A UN ANNO E QUATTRO MESI PER AVER "IGNORATO LE REGOLE BASE" QUANDO LA DONNA SI È SENTITA MALE NEL SUO STUDIO...
(ANSA) - Maria Teresa Avallone, 39 anni, morì tre giorni dopo la somministrazione dell'anestesia per l'intervento per un rialzo dei glutei, con inserimento di fili sottocutanei. Dopo l'anestesia, infatti, aveva accusato un grave malore per una "reazione avversa", in un ambulatorio di Seregno (Monza e Brianza) mentre "un intervento di rianimazione adeguato avrebbe salvato la vita della donna".
Lo si legge nelle motivazioni riportare nelle pagine lombarde di alcuni quotidiani, della sentenza con la quale il giudice di Monza, ad aprile, ha condannato il chirurgo Maurizio Cananzi a un anno e 4 mesi di reclusione, con le attenuanti generiche e la pena sospesa.
Dopo la somministrazione dell'anestesia, il 5 marzo 2019, la donna aveva accusato un grave malore per una "reazione avversa". Una crisi epilettica, e poi il cuore si era fermato per mezz'ora. Morì tre giorni dopo all'ospedale San Gerardo, dove era stata portata in condizioni disperate dopo la chiamata al 118 da parte del chirurgo stesso.
Contro la sentenza il professionista ha presentato appello sostenendola la correttezza del proprio operato durante le manovre di primo soccorso, imputando al limite negligenze al personale paramedico. Gli esperti del Tribunale, invece, avevano criticato l'intervento di primo soccorso durante un'emergenza che Cananzi si era trovato ad affrontare senza aiuti.
Una scelta, quella di operare da solo, scrive il giudice , che ha «comportato necessariamente un'interruzione del massaggio cardiaco, per chiamare il 118, che avrebbe dovuto essere in tutti i modi evitata» Decisivi, poi, sono considerati il "mancato uso del defibrillatore", oltre al "ritardo nella chiamata dei soccorsi», e la «mancata ossigenazione della paziente mediante l'uso dell'«ambu» (il dispositivo manuale a palloncino che supporta la respirazione nei pazienti con ventilazione polmonare insufficiente) che era risultato scollegato dalla bombola d'ossigeno".
"Appare evidente - spiega il giudice nelle motivazioni della sentenza - la gravità della colpa del medico, lo scarto marcato, nettissimo e inescusabile delle sue condotte dalle regole, per certi versi le più elementari, della scienza medica".