L'IPOCRISIA DI METTERE IL MIGRANTE AL CENTRO DELL'OPERA – AL FESTIVAL DI SALISBURGO VA IN SCENA “THE GREEK PASSION”, OPERA DI BOHUSLAV MARTINU BASATO SUL ROMANZO “LA PASSIONE DI CRISTO” DI NIKOS KAZANTZAKIS. STORIA DI UN VILLAGGIO GRECO ORTODOSSO CHE SI RITROVA A DOVER CONVIVERE CON UN GRUPPO DI PROFUGHI – PANZA: “E’ L’ESTETICA DELLA MISERICORDIA TANTO PERSEGUITA DA LETTERATI, REGISTI, ARTISTI IN CERCA DI UNA CAUSA PRET-A-PORTER CHE FACCIA SENTIRE MEGLIO LE PROPRIE COSCIENZE IMPEGNATE…”
-Estratto dell'articolo di Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera”
“Refugees out!”. La scritta arancione è verniciata a caratteri cubitali sul fondo del Felsenreitschule di Salisburgo dove è andata in scena “The Greek passion”, opera del compositore ceco Bohuslav Martinu su libretto basato sul romanzo “La Passione di Cristo” del greco Nikos Kazantzakis.
La prima fu nel 1961 all’Opera di Zurigo, pochissime volte messa in scena ma chi teme il polpettone si sbaglia: musica bellissima, ben cantata (nessun italiano), regia essenziale di Simon Stone, Maxime Pascal alla conduzione dei Wiener, forse la miglior opera messa in scena di questa edizione del Festival di Salisburgo.
Gli abitanti di un villaggio greco ortodosso celebrano la Pasqua e il loro sacerdote Grigoris, seleziona tra i paesani chi saranno gli interpreti della Passione del prossimo anno. Poco dopo, la loro comunità viene lacerata dall'arrivo improvviso di un gruppo di profughi esausti che chiedono aiuto e asilo al ricco villaggio e ci vogliono piantare le tende. Anzi le piantano proprio, trasformando la scena del Felsenreitschule in un camping per straccioni e mettendosi a seminare le piante sopra le ossa del vecchio della comunità, appena defunto e sepolto.
L'evento fa deflagrare le coscienze dei greci ortodossi che vivono per celebrare la Pasqua. “Scacciamoli, hanno il colera”, dice qualcuno, altri vorrebbero sequestrare e vendere le loro collane, qualcuno scrive a tutta parete “Refugees out!”, ma colui che è stato selezionato per interpretare Gesù con Maddalena al seguito si convince che i rifugiati sono fratelli... tanto che sarà ucciso da alcuni della comunità.
[…] L’opera contesta le strutture di potere di una società che teme per il suo status quo. Del resto, lo stesso Martinù ha condiviso la sorte di chi è stato derubato della patria: è nato nelle terre di confine della Boemia e della Moravia nel 1890, dovette emigrare, fuggire anche dai nazisti diventando cittadino americano. Quando cercò di tornare in patria, Stalin glielo impedì e si trasferì in Svizzera.
All’italiano abituato all’opulenta Sinistra milanese Ztl che predica l’integrazione dei migranti nelle periferie – prossime a diventare autentiche banlieue abbandonate a loro stesse – non sorprende che la città più benestante e tardonobiliare dell’Austria, che guarda con distacco gli austriaci del nord, che ha un proprietario zurighese dei migliori alberghi della città capace di donare 12 milioni per una scultura nella Toscanini hof, predichi a sua volta la necessità dell’accoglienza verso i migranti e lanci estetiche accuse dai suoi teatri.
E’ l’estetica della misericordia tanto perseguita da letterati, registi, artisti in cerca di una causa pret-a-porter che faccia sentire le proprie coscienze impegnate come lo furono davvero le vite di grandi artisti del passato. E a questa Estetica della misericordia si allineano i ricchi borghesi. Per i primi è una forma retorica, per i secondi un atteggiamento chic.
Tanto qui, di migranti con gli zaini e le coperte in spalla non se ne vedono, così come non se ne vedono in via Monte Napoleone a Milano. Dove c’è un magniloquente estetico pulpito dal quale predicare i migranti non ci sono; dove ci sono, mancano i predicatori ben ritirati negli Schloss del salisburghese o negli chalet di Sankt Moritz.