70 ANNI DA “PRINCIPE” – VASCO INCORONA DE GREGORI: "MI GUARDO INTORNO E SEI SEMPRE IL MIGLIORE CHE C'È – LE SUE CANZONI SONO SEMPRE STATE PER ME FONTE DI GRANDE ISPIRAZIONE. LUI SI’ CHE E’ UN POETA, QUANDO HA INTERPRETATO ALLA SUA MANIERA "VITA SPERICOLATA" PER ME È STATO COME RICEVERE UN OSCAR. RICORDO QUELLA VOLTA A ROMA QUARTIERE PRATI QUANDO…" - VIDEO
-Vasco Rossi per il Fatto Quotidiano
De Gregori compie 70 anni oggi? Prima di tutto allora, gli faccio i miei più sinceri auguri di 100 di questi giorni!!! Tanti ma tanti auguri, Francesco!! De Gregori è uno dei più grandi cantautori italiani, le sue canzoni sono sempre state per me fonte di grande piacere e di ispirazione. Lui ha cominciato prima di me e molto prima di me ha trovato la sua strada, quella della canzone d'autore, io l'ho trovata un po' dopo la mia, quella del cantautore rock, del rocker e della rockstar. Non avrei mai immaginato che un giorno mi avrebbe reso un attestato di stima con la sua interpretazione di Vita spericolata, tra l'altro bellissima "alla De Gregori". Per me è stato come ricevere un Oscar.
Personalmente conoscevo tutte le sue canzoni, negli anni in cui avevo la radio, Punto Radio 75/76, le mettevo sempre nel mio programma sulla musica italiana d'autore. Ai tempi facevo radio, non cantavo ancora, strimpellavo la chitarra e cominciavo a scrivere le mie prime canzoni. Ispirandomi anche alle sue, naturalmente. Ma le canzoni di De Gregori sono dei gioielli di scrittura unici e inimitabili.
Lui sì che è un poeta. Anche se non gli piace che lo si definisca così, e giustamente perché lui scrive canzoni d'autore, rimane un fatto che lui scrive dei testi che sono poesia pura. Non a caso, per Rock sotto l'assedio, il mio concerto a San Siro "contro le guerre", nel '95, scelsi di fare un omaggio a De Gregori cantando in apertura Generale un capolavoro assoluto, "Che torneremo ancora a cantare, e farci fare l'amore, l'amore dalle infermiere", versi di strettissima attualità perché siamo in guerra anche oggi, anche se in un modo diverso. Sarà anche una questione di affinità elettive, ma ogni volta che ci incontriamo è un grandissimo piacere, non abbiamo neanche bisogno di troppe parole, tra di noi basta uno sguardo per intenderci.
Ricordo e ricorderò sempre con grande soddisfazione e affetto quella volta a Roma quartiere Prati, ero ancora agli inizi carriera, stavo andando dall'albergo alla Rai per promozione, quando una macchina si ferma, si apre lo sportello e scende dall'auto De Gregori per salutarmi. De Gregori voleva salutare me. Un grandissimo onore per me, allora e tuttora, godere del suo affetto. Egregio Maestro De Gregori, carissimo Francesco Ti auguro 100 di questi giorni!! PS mi guardo intorno e sei sempre, sei sempre il migliore che c'è.
DE GREGORI
Claudio Fabretti per leggo.it
Francesco De Gregori, settant'anni da Principe: dalla "A" di Atlantide alla "Z" di Zingari
Settant'anni da Principe. Francesco De Gregori li compirà domenica, senza clamori, com'è nel suo stile. Niente interviste, eventi e show: solo un brindisi con familiari e amici. Ma neanche la pandemia ha fermato la sua voglia di musica: è pronto a ripartire con i suoi soliti concerti, incluso quello attesissimo dell'Olimpico con l'amico ritrovato Antonello Venditti, attualmente posticipato al 17 luglio, Covid permettendo.
Nel frattempo, ha diffuso sui suoi profili social un nuovo videoclip, diretto da Daniele Barraco, in cui interpreta dal vivo La testa del secchio, uno dei brani più riusciti della sua produzione post-Duemila, incluso nell'album Pezzi (2005). In questa pagina abbiamo cercato di sintetizzare il suo mezzo secolo di carriera. Dalla A alla Z.
A come Atlantide, uno dei suoi capolavori meno celebrati. Non il continente sommerso, ma un luogo dell'anima, in California, dove lui vive «da 7 anni, sotto una veranda ad aspettare le nuvole», e «stravede per una donna chiamata Lisa» al punto che «quando le dice: Tu sei quella con cui vivere, gli si forma una ruga sulla guancia sinistra». Una magia, con omaggio alla Three Angels di Dylan.
B come Banana Republic. Il tour del 1979 in compagnia di Lucio Dalla (e Ron) rimasto nella storia. Il principe malinconico e il poeta di strada: così vicini, così lontani. A suggello, l'omonimo, indimenticabile brano, tradotto dall'originale di Steve Goodman.
C come cantautore. Uno dei più emblematici e rappresentativi: barba, chitarra e versi poetici da cantare. Ma guai a dirgli che è un poeta: vi risponderà malissimo, magari usando i versi di Le storie di ieri: «I poeti, che brutte creature, ogni volta che parlano è una truffa». Perché - sostiene - poesia e canzone sono due cose diverse.
D come Dylan. L'eterno maestro di Duluth, l'uomo che «non cantava, sputava le parole come sassi». Il menestrello che lo folgorò sulla strada del folk. Al punto - dicono i maligni - da spingerlo a imitare il suo stesso modo di cantare, strascicando le parole e stravolgendo le canzoni nei concerti.
E come eretico. Nonostante le sue dichiarate simpatie politiche, De Gregori è stato spesso avversato dall'estrema sinistra che lo ha accusato di tradire i suoi ideali militanti. Con tanto di farneticante processo, inscenato dagli autonomi nei suoi confronti al Palalido di Milano, il 2 aprile del 1976.
F come Folkstudio. Il tempio di Trastevere del cantautorato romano dove tutto ebbe inizio. De Gregori vi esordì con le sue prime canzoni. Poi, si unì agli amici Venditti, Lo Cascio e Bassignano: erano I Giovani del Folk. «Quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla», li celebrerà nostalgicamente Venditti.
G come Garbatella, il piccolo teatro romano che ha ospitato la sua residency: 20 date sold-out con la partecipazione di amici e colleghi come Ligabue, Zucchero, Renato Zero, Emma, Elisa, Antonello Venditti, Enzo Avitabile.
H come Hilde. Una delle tante figure mitiche delle sue canzoni: Alice, Pablo, Irene, Anna, Marianna, Mario, Nino, Ninetto, Caterina, Rollo, Eugenio, Lisa, Mimì, Giovanna, Hood, Susanna... A volte si tratta di persone realmente esistite, ma più spesso sono creazioni di fantasia.
I come idiosincrasie. Ne ha diverse, da quella verso Sanremo (cui dedicò anche polemici versi) a quella nei confronti dei programmi tv e dei rapporti con la stampa. Irascibile, invece, può diventarlo verso chi tenta di importunarlo. Giornalisti inclusi!
L come Leva calcistica della classe 68, parabola fatata di (dis)illusioni sessantottesche, con tripudio di piano e tastiere (a cura di Locasciulli). Nino non avrà più paura (di tirare un calcio di rigore), così come La Donna cannone, anche se «non sarà come bella come dici tu».
M come metafore (e figure letterarie). Il Principe ne è il re incontrastato, tra sinestesie («Mi pettino i pensieri»), personificazioni («Barattolo di birra disperata»), antinomie («il treno che è mezzo vuoto e mezzo pieno») e mille metafore, che a volte sono l'intera canzone (da Bufalo Bill a Pezzi di vetro).
N come Never Ending Tour. Ovvero, la filosofia di Dylan applicata ai suoi ultimi decenni di carriera: la performance live come opera artistica irripetibile e luogo privilegiato della creatività. Solo la pandemia ha fermato la sua serie inesauribile di concerti. Che si accinge a riprendere appena possibile, incluso l'atteso evento dell'Olimpico insieme all'amico ritrovato Antonello Venditti.
O come olio. La sua insospettabile seconda vita vede Francesco De Gregori nei panni di agricoltore: produce l'olio Le Palombe nella sua piccola azienda di Sant'Angelo di Spello, nel Perugino.
P come Principe. Lo storico soprannome del cantautore romano. «È l'unico che mi piace, perché me lo diede Lucio Dalla durante Banana Republic», ha raccontato.
Q come Quattro cani. Qualcuno ha provato perfino a identificarli (in Patty Pravo, Venditti, De Gregori stesso e il produttore Lilli Greco) ma non c'è niente di vero: «Ho sempre avuto un grande amore per i cani, in particolare i randagi, e quella è una canzone che parla di loro», ha spiegato. Li scegliamo in rappresentanza degli innumerevoli cani presenti nelle sue canzoni.
R come Rimmel. L'album più amato, quello che l'ha consacrato cantore di un'intera generazione. Suoni più arrotondati, aggraziati impasti di piano, organo e chitarre, un canto più incisivo ed eclettico. Dalla title track a Buonanotte Fiorellino, da Pablo a Pezzi di vetro, un disco che rimescola le carte alla musica italiana. Vincente, ma senza trucchi.
S come Storia. Che siamo noi, nessuno si senta escluso - come cantava nel suo celebre classico. Ma è anche una sua ossessione, con riferimenti sparsi in tantissimi suoi brani, da Le storie di ieri a Viva l'Italia, da Saigon a Il Cuoco di Salò.
T come Titanic. L'album-kolossal in cui fece schiantare l'ottimismo rampante degli anni 80 contro l'iceberg che affondò lo sfortunato transatlantico. Con canzoni entrate ormai nella storia, dalla title track a I muscoli del capitano.
U come umanesimo. Perché è questa in fondo l'unica religione laica di De Gregori: mettere al centro gli uomini, le loro complesse relazioni, i loro sentimenti e le loro vite, narrati attraverso un sentimento di empatia e solidarietà che si rivolge in primis agli ultimi e agli esclusi.
V come Viva l'Italia. Il suo omaggio d'amore e rabbia al Paese «metà giardino e metà galera», il suo brano più frainteso e abusato. Riscriverlo oggi? Più volte ha detto di no. Eppure, quell'inno agli anticorpi democratici dell'Italia «con gli occhi asciutti nella notte triste» è attuale più che mai.
Z come Zingari. Parola ormai poco politically correct. Ma De Gregori l'ha usata poeticamente, sia su Rimmel, sia sulla struggente Due zingari, una delle più belle canzoni mai scritte sul microcosmo gitano.