AMORI, BOLLORI E DOLORI DELLA MITOLOGICA MARINA CICOGNA: “LA MIA RELAZIONE CON FLORINDA BOLKAN FU UNO DEI PRIMI AMORI OMO PUBBLICI MA NON SONO A FAVORE DELLE POSIZIONI LGBT" - “GIANNI AGNELLI L’UOMO PIÙ AFFASCINANTE CHE HO INCONTRATO, SE NON FOSSE STATO SPOSATO, UN PASSAGGIO CON LUI CI SAREBBE STATO DI SICURO” – “IL BIGLIETTO IN ALBERGO DI DELON? LJUBA RIZZOLI HA SEMPRE DETTO CHE L’INVITO ERA PER LEI, PIÙ AFFASCINANTE E SEXY DI ME. MA IO..."
-Estratto dell’articolo di Maurizio Caverzan per “la Verità”
S’intitola Ancora spero l’autobiografia che Marina Cicogna ha appena pubblicato da Marsilio. È il racconto della vita, che sembra romanzesca, della contessa del cinema italiano, figlia di Cesare Cicogna Mozzoni (dinastia lombarda dal quattordicesimo secolo) e di Annamaria Volpi di Misurata (altro casato nobile) e nipote di Giuseppe Volpi, ministro del governo Mussolini, padrone della Compagnia italiana grandi alberghi (Ciga) e fondatore della Mostra del cinema di Venezia a cui sono tuttora intitolati i premi agli attori.
È un’autobiografia di case, dimore, vacanze, piscine, ricevimenti, party senza partiti, sciate al mattino presto, trasvolate oceaniche e trasgressioni senza pose, amori omosessuali. Di grandi armatori come Aristotele Onassis, di importanti produttori come David O. Selznick (Via col vento, di film di Alfred Hitchcock), di imprenditori visionari come Gianni Agnelli.
Marina Cicogna è una donna da primato, la prima a vincere l’Oscar per il miglior film straniero e la prima ad amare pubblicamente un’altra donna?
«Per quanto riguarda l’Oscar, sì. Il secondo primato non è mio, molte altre donne pubbliche mi hanno preceduto in questo tipo di relazione, soprattutto fuori dall’Italia».
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Come si sta preparando a ricevere il David di Donatello alla carriera?
«Non faccio molti preparativi, cercherò dei vestiti che mi possano stare bene. Indosserò un abito di Valentino, come faccio nelle occasioni pubbliche. Per la sera è lo stilista più […]
l’Oscar nel 1971 con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Perché era convinta di non vincerlo tanto che nessuno del cast presenziò alla cerimonia?
«Al Festival di Cannes avevamo preso solo il Gran premio speciale della giuria. Elio Petri e Gian Maria Volontè erano stati iscritti al Pci e non potevano ottenere il visto per l’America, Florinda Bolkan era sul set di qualche film e io avevo grossi dubbi che gli americani apprezzassero quel film con problematiche distanti dalla loro sensibilità. Fu un errore non incaricare qualcuno di ritirare la statuetta just in case. Infatti, non l’ho mai vista».
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Scrive che durante la guerra i suoi genitori «non erano gli unici aristocratici a opporsi al fascismo» eppure suo nonno fu ministro nel governo Mussolini…
«Prima, con Giovanni Giolitti era stato governatore della Libia. Poi fu ministro delle Finanze, ma nutriva una certa antipatia per Mussolini. Mi raccontarono che una volta scomparve a Roma per 48 ore e dissero che era stato preso dai fascisti, che lo restituirono dopo averlo drogato. Mio nonno non fu certo antifascista, mentre lo furono in modo deciso i miei genitori».
Conferma che Gianni Agnelli è stato l’uomo più affascinante che ha conosciuto?
«Confermo. Gli telefonavo spesso al mattino presto per consultarlo su quello che succedeva e lui aveva sempre un’idea precisa e mai banale».
Però una volta, più del suo fascino valse la lealtà verso l’amica Marella, sua moglie… Oppure l’attrazione per gli uomini era già scemata?
«Ci sono uomini che mi hanno sempre interessato molto. Se non fosse stato sposato, un passaggio con lui ci sarebbe stato di sicuro. In quel momento mi era parso inopportuno».
Con Alain Delon invece non si ritrasse e anticipò l’amica Ljuba Rosa Rizzoli che condivideva con lei la stanza in hotel, dove spuntò un bigliettino nel quale Delon invitava nella sua camera, ma senza specificare il destinatario.
«Infatti Ljuba ha sempre detto che l’invito era per lei, più affascinante e sexy di me.
Ma io allora avevo una passione particolare per Delon. Quando lo vedo ancora oggi penso che all’epoca non ci fosse uomo altrettanto seducente».
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Sebbene scriva di non aver mai prodotto film «per ragioni vagamente politiche» perché Franco Zeffirelli le rimproverava di fare solo film di sinistra?
«Si riferiva a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, uscito due mesi dopo la strage di Piazza Fontana, e a La classe operaia va in Paradiso che vinse a Cannes nel 1972. Zeffirelli era l’unico regista di destra del cinema italiano ed era convinto che chi aveva una certa formazione doveva pensarla come lui».
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Quanto il suicidio di suo fratello in Brasile l’ha cambiata?
«È stata una ferita non rimarginabile, che mi ha cambiato in profondità. Anche la scoperta della malattia mi ha cambiato, perché implica davvero un’altra vita. Fino al giorno prima andavo a sciare, oggi il mio maestro di sci mi ha mandato una foto di qualche anno fa. Con la malattia le giornate sono totalmente diverse».
Se Gianni Agnelli era il più affascinante, come definirebbe Vittorio De Sica?
«Anche De Sica lo era, da napoletano. Gianni era figlio di militari torinesi, Vittorio di una famiglia di attori del Sud. Per lui ogni situazione era motivo di divertimento, di commedia».
Cosa la colpiva di Pier Paolo Pasolini?
«M’intimidiva, unico fra i tanti grandi registi con cui ho lavorato. Era un uomo che non si capiva bene a cosa pensasse. Aveva un fascino silenzioso».
E di Andy Warhol?
«È stato alcune volte mio ospite, ma non mi sono mai fatta ritrarre da lui. Era educato e di ottime maniere, molto diverso dall’immagine dell’artista ribelle che se ne aveva».
Chi è il più grande attore con cui ha lavorato?
«Direi Gian Maria Volontè, mentre con Marcello Mastroianni non ho mai lavorato. Erano di due scuole opposte: Marcello era credibile in qualsiasi ruolo, Gian Maria aveva bisogno di un personaggio in cui affondare i denti».
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Il suo con Florinda Bolkan è stato uno dei primi amori omosessuali senza finzioni: come guarda alle rivendicazioni della comunità arcobaleno?
«Mi sembra che facciano parte di un mondo molto convenzionale nel quale c’è bisogno di definire le situazioni per farle accettare. Non sono a favore di queste posizioni, credo che sia inutile cercare di spiegarsi, di spiegare ogni comportamento. Ognuno di noi vive attrazioni e abitudini diverse. Forse per i trans è più difficile, ma penso che ognuno dovrebbe seguire la propria natura».
Perché anche nella vita privata ha sempre tenuto lontane l’ideologia e la politica?
«Perché non c’entrano. Ognuno può essere libero con sé stesso e vivere in modo spontaneo, senza costruzioni».
Non la pensano così i militanti del Metoo.
«Da sempre i produttori importanti a Hollywood hanno avuto rapporti bizzarri con attrici e attori. Non è un comportamento inventato da Harvey Weinstein, che pure aveva il dono di essere uno tra gli uomini più antipatici del mondo».
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L’autobiografia s’intitola Ancora spero: in che cosa, signora?
«Non so… Spero che la vita rimanente sia abbastanza accettabile. Che il morire sia dolce e non comporti troppa sofferenza. Spero anche tante cose belle per gli altri. Ho scelto queste parole per il titolo perché sono nel motto di famiglia: mi sembra dicano che uno vuole vivere di speranza più che di certezza».