ARCHEO! QUANDO NEL ’90 TOTO CUTUGNO, L'ETERNO SECONDO A SANREMO, VINSE L'EUROVISION CON UNA CANZONE DI SPIRITO EUROPEISTA “INSIEME: 1992” - "I POOH (VINCITORI CON “UOMINI SOLI”) L’EUROVISION NON LO VOLLERO FARE, CHIESI AIUTO AI MIEI PARTNER TELEVISIVI PIERO BADALONI E SIMONA MARCHINI PER SCRIVERE UN TESTO CHE PARLASSE DI EUROPA UNITA. IN UN QUARTO D’ORA LINEA MELODICA E PAROLE ERANO GIÀ ABBOZZATE. ANDAI A ZAGABRIA E VINSI” – LA CADUTA CON LA MONGOLFIERA E.. - VIDEO
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Caterina Ruggi d'Aragona per corriere.it
«L'Europa non è lontana/ C'è una canzone italiana per voi/ Insieme, unite, unite Europe». Con questo inno Toto Cutugno e con lui l'Italia si aggiudicò l’Eurovision Song Contest, nel 1990. Autore e interprete, un toscano doc, simbolo nel mondo degli anni ‘80/’90 come «italiano vero». Eterno secondo al Festival di Sanremo, il Toto nazionale arrivò secondo anche nella competizione europea. Non secondo classificato, ma secondo italiano ad aggiudicarsi la vittoria, dopo Gigliola Cinquetti, premiata nel 1964 con «Non ho l’età».
Curioso che, tra i suoi tanti successi internazionali (apprezzati all’estero, soprattutto nei Paesi dell’ex Unione sovietica, più che in Italia) a far trionfare Cutugno all’Eurovision sia stata proprio una canzone di spirito europeista: «Insieme: 1992», che presagiva la firma del Trattato di Maastricht. Chissà se oggi “L’italiano”, di fronte alla deriva della politica internazionale, non si unirebbe alla collega Angelina Mango nel cantare “La noia”.
Toto (all’anagrafe Salvatore), nato nel 1943, a Fosdinovo, borgo medioevale che dall’alto dei suoi 550 metri di altitudine domina la Lunigiana (provincia di Massa Carrara), frequentava ancora le scuole elementari quando iniziò a suonare il tamburo nella banda del paese. Da lì arrivarono le prime esperienze con piccoli gruppi e, nel 1965, l’esordio discografico come batterista di Toto e i tati.
Undici anni dopo si presentò a Sanremo come cantante degli Albatros, che si aggiudicarono il terzo posto. Nel 1977 la svolta da solista, con il brano «Donna donna mia», scelto da Mike Bongiorno come sigla del «Scommettiamo?». A portarlo al successo fu però Adriano Celentano, che scelse di interpretare due brani suoi: «Soli» e «Il tempo se ne va».
Arriva così il momento d’oro di Toto Cutugno. Il 1980 si apre con la sua prima, e unica vittoria del Festival di Sanremo, con «Solo noi». «Eh, lo so, non se lo ricorda nessuno», confidò lui cinque anni fa in un’intervista a RollingStone. «Si ricordano solo quelle sei o sette volte che sono arrivato secondo. Vabbè, ci sta», aggiunse commentando il bollino di eterno secondo, conquistato in sei edizioni del festival (1984, 1987, 1988, 1989, 1990 e nel 2005 in coppia con Annalisa Minetti); sette se si considera anche «Ragazzi di oggi» di Luis Miguel di cui fu autore.
«Devo dire una cosa però - raccontò ancora -. Mi hanno diagnosticato un tumore maligno alla prostata con metastasi quasi ai reni. Il professor Rigatti del San Raffaele mi ha salvato la vita, grazie ad Al Bano, mio "fratello", che mi aiutato moltissimo. Da lì è cambiata la mia vita, adesso non me ne frega più niente. Ho un figlio di 29 anni che è la mia vita, la mia luce. Invece prima, se un pezzo non piaceva, mi incazzavo, cazzo! Ho sbagliato tutto nella mia vita. Se non avessi avuto ‘sto carattere, probabilmente avrei avuto molto di più», confessò.
Il suo più grande successo, «L’italiano», non era entrato nemmeno sul podio, fermandosi al quinto posto. Ma è anche vero, a conferma della spocchia nostrana nei confronti del cantautore toscano, che pure nel 1990 – nonostante un memorabile duetto con Ray Charles - si era fermato al secondo posto nella città dei fiori, per poi sbancare agli Eurovision, con una canzone scritta in un quarto d’ora.
«Strano, ma nel ’90 andò proprio così. Dopo essere arrivato secondo a Sanremo con ‘Gli amori’ – raccontava Cutugno - ero tornato a ‘Piacere RaiUno’ quando il mio discografico Michele Di Lernia disse: i Pooh (vincitori con “Uomini soli”) l’Eurovision non lo vogliono fare, quindi, se ti va, il posto è tuo. Dovevo portare una canzone nuova e, non sapendo a che santo votarmi, chiesi aiuto ai miei partner televisivi Piero Badaloni e Simona Marchini per scrivere un testo che parlasse di Europa Unita. Poi presi Le Tate di Toto e iniziai ad accennarla assieme a loro. In un quarto d’ora linea melodica e parole erano già abbozzate. Andai a Zagabria e vinsi».
Una vittoria avventurosa, non tanto per la trasferta, a cui era abituato l’artista che all’epoca portava l’Italia nel mondo. «Volendo provare l’ebbrezza di vedere la città dall’alto salii su una mongolfiera guidata da un tipo abbigliato alla Indiana Jones. Il pilota voleva fare il brillante, ma l’aerostato iniziò a perdere quota; finimmo nella Sava con l’acqua che ci arrivava al petto e, una volta sulla riva del fiume, chiamai il mio staff che si precipitò a recuperarmi ricoprendo il mongolfierista di male parole», raccontò Cutugno.
Quell’edizione degli Eurovision andò in differita in Italia, in seconda serata su quella che allora si conosceva come RaiDue. Le votazioni iniziarono bene, con l’Italia che volò subito in testa anche con un certo margine. Le difficoltà giunsero a metà, con il sorpasso di Irlanda e anche Francia (Liam Reilly, “Somewhere in Europe“, e Joelle Ursull, “White and Black Blues“). Cutugno, però, riuscì nel recupero e, con i 12 punti dati da Cipro all’Italia, mise una distanza di più di 12 punti (13) tra sé e la seconda posizione. Quanto bastava, con una votazione (quella finlandese) da effettuare.
Peppi Franzelin ci mise qualche secondo a realizzare, confessandosi una non pratica di matematica, che l’Italia aveva vinto. E poi si sciolse in commenti gioiosi. Quindi andò a fare l’intervista dopo la vittoria, sebbene estremamente pressata per andar via presto (ma andava fatta, visto che poi veniva girata in tutta Europa). Poi, il Belpaese ha dovuto aspettare i Måneskin. In 31 anni la vittoria era stata sfiorata tre volte, da Raphael Gualazzi, Il Volo e da Mahmood.
Nel frattempo, tra svariate altre esibizioni sanremesi, Cutugno aveva sfidato il suo proverbiale caratteraccio mettendosi alla prova come conduttore televisivo, con Raffaella Carrà e Fabrizio Frizzi (1991), con Giorgio Faletti (1992) e addirittura al timone di “Domenica In” (19887-88 e 1992-93).
Quando la sua popolarità in Italia iniziò a calare, a fine anni Novanta, sono stati i Paesi ex comunisti ad accoglierlo come un idolo proprio perché quel pubblico lo identificava proprio con il Festival di Sanremo, l’unica finestra sulla musica occidentale concessa dai regimi comunisti prima della caduta del Muro.
Nel 2013, ben prima della guerra, l’Ucraina criticò duramente la sua scelta di esibirsi con il coro dell’Armata rossa, come ospite di Sanremo. Aveva appena ricevuto, proprio su quel palco, il premio alla carriera. Dieci anni dopo la morte, all’età di 80 anni.