BONG JOON-HO BATTE SCORSESE 4 OSCAR A ZERO: "NON AVREI MAI PENSATO DI POTER ESSERE UN GIORNO IN GARA CON LUI. DA RAGAZZO OGNI VOLTA CHE RIMANEVA A BOCCA ASCIUTTA, MI SENTIVO FRUSTRATO" – "IN GINOCCHIO DA TE? CERCAVO UN BRANO RILASSANTE CHE MI FACESSE PENSARE AL SOLE DEL MEDITERRANEO. E HO PESCATO TRA I DISCHI ITALIANI DI MIO PADRE – MORANDI? MAI INCONTRATO MA MI PIACEREBBE CONOSCERLO" – VIDEO
-Gloria Satta per il Messaggero
Dopo aver ricevuto le statuette per la sceneggiatura e per il film internazionale, e prima di sapere che il suo Parasite era stato votato come il miglior film dell'anno, Bong Joon-ho è stato richiamato sul palco per ritirare il premio della regia.
«Pensavo fosse finita e già mi preparavo a bere per tutta la notte», ha esclamato il regista sudcoreano che ha fatto entrare l'Oscar nella storia.
E ha poi reso omaggio ai suoi maestri, primo fra tutti Martin Scorsese, sollecitando una standing ovation della platea in suo onore.
Ma chi è questo cineasta cinquantenne, il ciuffo ribelle e la risata contagiosa, fino a ieri conosciuto dai cinefili e dal pubblico dei festival grazie a film come Mother, The Host, Snowpiercer, Okja, e oggi campione d'incassi con Parasite che ha totalizzato nel mondo 165 milioni di dollari (in Italia è da due mesi nella top ten)? Figlio di un designer, Bong ha studiato sociologia e dal 2000, l'anno dell'opera prima Barking Dog, fino a Parasite (che avrà presto un remake americano), ha sempre puntato sulla satira e l'umorismo grottesco per denunciare le ingiustizie della società.
Il 13 febbraio uscirà in Italia Memorie di un assassino, da noi inedito. All'Oscar, il regista ha ritirato il premio più importante circondato dai suoi magnifici attori. Che significa questo trionfo?
«Che non esistono più confini per chi cerca la bellezza del cinema. Verrà un giorno in cui un film non americano che vince l'Oscar non farà più notizia. Sono anche felice di battezzare la nuova denominazione del premio per il miglior film internazionale, non più straniero. È il segno di un cambiamento».
Com'è diventato un regista da Oscar?
«Non lo so. Sono una persona strana: per realizzare Parasite ho fatto quello che avevo sempre fatto, con la stessa produttrice Kwak Sin-ae, il mio cosceneggiatore Han Jin-won e i miei attori. E poi abbiamo avuto dei risultati straordinari. È una sensazione surreale, mi sento come se mi avessero dato un pugno, ho quasi la voglia di svegliarmi da un sogno».
Cosa pensava quando da ragazzo guardava gli Oscar alla tv coreana?
«Ogni volta che il mio idolo Martin Scorsese rimaneva a bocca asciutta, mi sentivo frustrato. Quando invece vinse per The Departed, mi sentii incredibilmente eccitato. Non avrei mai pensato di poter essere un giorno in gara con lui. È stato un onore immenso».
Qual è l'origine di Parasite?
«Volevo mostrare quanto sia difficile, in questo triste mondo contemporaneo, la convivenza tra persone di estrazione sociale diversa. Parasite è una commedia senza comici, una tragedia senza cattivi. È un dramma umano i cui protagonisti si illudono di poter vivere in simbiosi, ma non funziona».
Perché ha messo nel film la canzone di Gianni Morandi In ginocchio da te?
«Cercavo un brano rilassante, che mi facesse pensare al sole del Mediterraneo. E ho pescato tra i dischi italiani di mio padre. Non conoscevo le parole, è una coincidenza che nella sequenza in cui si sente la canzone i protagonisti siano in ginocchio. Non sapevo nemmeno che fosse un brano d'amore...Non ho mai incontrato Morandi ma mi piacerebbe conoscerlo».
Cosa sta preparando?
«Ho in progetto due film, uno da girarsi in coreano l'altro in inglese. Da vent'anni lavoro senza fermarmi e soprattutto senza pensare di vincere a Cannes o agli Oscar.
Non è cambiato il mio modo di fare cinema e non cambierà».
Qual è il suo metodo di lavoro?
«Amo scrivere le sceneggiature nei luoghi affollati come i caffé. Le chiacchiere della gente stimolano la mia creatività».
Qual è il segreto per farsi amare dal pubblico?
«Quando ero uno studente di cinema, conobbi un detto che ho scolpito nel mio cuore: per essere creativi bisogna essere personali. E io voglio essere me stesso, anche a costo di rompere gli schemi».
Gl. S.