LA CANNES DEI GIUSTI - NON È PIACIUTO A TUTTI L’ASINO DI JERZY SKOLIMOWSKI. CI PUÒ STARE, MA È UNA BELLA LEZIONE DI VITA CHE IL VECCHIO MAESTRO, A 84 ANNI SUONATI, CON “EO”, CI VUOLE DARE - NESSUN MORALISMO, NESSUNA VERITÀ DA SPIEGARE. SOLO LO SCORRERE DELLA VITA, BRUTTA BELLA, GLI AMORI, LA VIOLENZA, LA FORTUNA, GLI ORRORI, VISTI ATTRAVERSO L’OCCHIO DI UN ANIMALE DOCILE, CHE COME UNA CINEPRESA SI LIMITA A OSSERVARE PIÙ CHE A REAGIRE...
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Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Eccolo l’asino di Jerzy Skolimowski. Non è piaciuto a tutti, ci può stare, ma è una bella lezione di vita che il vecchio maestro, a 84 anni suonati, con “Eo”, ci vuole dare. Nessun moralismo, nessuna verità da spiegare. Solo lo scorrere della vita, brutta bella, gli amori, la violenza, la fortuna, gli orrori, visti attraverso l’occhio di un animale docile, che come una cinepresa ci limita a osservare più che a reagire.
Rispetto all’asino di Robert Bresson in “Au hasard Balthazar”, non c’è una visione cattolica dell’accettazione della vita, ripeto, l’occhio dell’asino è come una cinepresa, anche se non si sa cosa stia prendendo dalla realtà.
E cosa lui stesso capisca di quello che vede. Non un film alla Terrence Malick, però, che Skolimowski non ama, giustamente, grondante estetismi e grandi cieli, e neanche uno scherzo operistico, anche se il modello è decisamente musicale, per accompagnare il raccontino oltre ai pochi ragli del protagonista.
Tra la Polonia e l’Italia, l’asino di Skolimowski, che poi è interpretato da un collettivo di sei-sette animali identici, passa da un circo, e dall’amore, ricambiato, con un’artista a una banda di tifosi teppisti, pensando che abbia portato fortuna a una squadra è prima esaltato come mascotte e poi menato a sangue dai tifosi avversari per vendetta. Viene salvato, poi scappa, poi viene venduto a un venditore di carne malavitoso che vuole farne del salame e attraversa la Polonia su un camion pieno di bestie.
Finisce ancora nelle mani di una sorta di bel ragazzo ricco italiano, tal Lorenzo Zurzolo, l’attore di “Baby” e “Morrison”, figlio del giornalista del Tg3 Federico Zurzolo (ma pensa…) che lo porta nella villa della mamma, un’Isabelle Huppert un po’ nevrotica che rompe i piatti di casa e urla contro il figlio che, nella follia generale, dice pure messa. E questo andrebbe spiegato, magari, anche se nulla ci viene spiegato.
Inoltre non ci sono vere storie compiute, ma solo frammenti di storie, come sono frammenti di immagini di vita quelle che vede il ciuchino. Skolimowski alterna così sperimentazioni visive a una voglia di raccontare irrefrenabile. Si sfoga così con immagine di grande bellezza, paesaggi, ponti, un mondo magnifico dove le vere bestie, ovviamente, non sono gli animali che l’asino incontra, i cavalli eccitati, le volpi, le mucche, ma ovviamente gli uomini con la loro violenza e la loro impossibilità di accettare la vita.
Magari non sarà un film di grandi possibilità popolari, ma dimostra quanto sia ancora in forma Skolimowski, che venne per la prima volta a Cannes nel 1972, l’anno che vinse Elio Petri con l’odiatissimo, dai Cahiers, “La classe operaia va in paradiso”, con una stravaganza anche maggiore, cioè “King, Queen, Knave”, tratto da un racconto di Vladimir Nabokov con Gina Lollobrigida (Queen), divisa tra il marito David Niven (King) e il giovane nipote di lui John Moulder Brown che la vuole a tutti i costi (Knave). Il film non venne capito, anzi, fu un totale disastro. Da noi arrivò come “Un ospite molto gradito per mia moglie”. Con “Eo”, va detto, pur da produttore, almeno Skolimowski rischia davvero poco. In concorso, comunque. E è l’unico film davvero animalista che si è visto.