LA CANNES DEI GIUSTI - OGGI È “ARMAGEDDON TIME”, COME TITOLA IL NUOVO FILM DI JAMES GRAY CON JEREMY STRONG, ANNE HATHAWAY, ANTHONY HOPKINS E IL PICCOLO INCANTEVOLE BANKS REPETA, UNA QUASI AUTOBIOGRAFIA DOVE SI CAPISCE COME IL RAZZISMO E IL TRUMPISMO CHE HANNO VINTO NEL PAESE NEGLI ULTIMI ANNI NASCESSERO DALLA NEW YORK PIÙ PROFONDA DEI PRIVILEGIATI - NON SARÀ UN CAPOLAVORO MA POCO CI MANCA: È UN BELLISSIMO, INCANTEVOLE FILM CHE HA I TEMPI, L’INTELLIGENZA E L’ATTENZIONE DI UN AUTORE SOFISTICATO E PROFONDAMENTE UMANO - VIDEO
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Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Oggi è "Armageddon Time", come titola il nuovo film di James Gray con Jeremy Strong, Anne Hathaway, Anthony Hopkins e il piccolo incantevole Banks Repeta, una quasi autobiografia su come si cresceva coi privilegi dei bianchi ricchi a scuola e a casa nel Queens degli anni '80 e dove si capisce come il razzismo e il trumpismo che hanno vinto nel paese negli ultimi anni nascessero proprio da li', dalla New York più profonda dei privilegiati, delle scuole private dei Trump dove venivano formate le élite che avrebbero governato non solo il paese.
E questo accadeva proprio negli anni dell'elezione a presidente di Ronald Reagan con la paura di un armageddon time causato da neri, latini e democratici. Ma insomma, questo "Armageddon Time" è un capolavoro, come scrivono i critici americani, a cominciare da quelli del New Yorker o un appuntamento mancato, come scrivono certi critici soprattutto europei?
Diciamo che è un bellissimo, incantevole film che ha i tempi, l'intelligenza e l'attenzione di un autore sofisticato e profondamente umano, su un ragazzino ebreo che cerca di capire se stesso e il suo posto in un paese diviso tra l'ascesa di Reagan, l'arrivo dei computer e quello dell'hip-hop della Sugarhill Gang e di Kurtis Blow.
Aiutato dal meraviglioso e saggio nonno, un Anthony Hopkins in stato di grazia, figlio di una profuga ebrea ucraina arrivata tanti anni prima a Ellis Island, da una madre, Anne Hathaway, troppo intellettuale e professorina per capirlo e un padre, il Jeremy Strong di "Succession", ragazzo povero, che ancora sta cercando il suo ruolo in un'America divisa amaramente tra classi e razze, in una società profondamente ingiusta dove si va avanti solo col potere e il successo e la voglia di fare l'artista del figlio è vista come inutile, per non parlare della sua amicizia con un ragazzetto nero che lo porta a fumare spinelli e progettare fughe chissà dove.
Con un grande impianto visivo di Darius Khondj e una sceneggiatura dove ogni battuta ha il suo peso per spiegare il momento storico e i rapporti tra i personaggi, magari non ha una trama da film Netflix o da cafonata televisiva, ma per lo spettatore attento è una continua sorpresa e tutta la costruzione politica che deve spiegarci da dove nasce il trumpismo profondo della classe dirigente americana è clamorosa. Non sarà un capolavoro ma poco ci manca. E tutti gli attori da Hopkins al ragazzino protagonista, da Jeremy Strong alla cammeo di Jessica Chastain come Marianne Trump fenomenali.
Tutto questo parlare di privilegi e sorgere della destra dei miliardari americani, mentre a Cannes il cambogiano Rithy Pan si stava per dimettere dalla presidenza della giuria dei premi corti Tik Tok denunciando l'invadenza fastidiosa dei manager del colosso cinese, partner del Festival (ma va?) nel premio qui sulla Crisante.
Chi sono i padroni di questa Cannes nell'anno che ha perso l'appoggio di Canal+ e della destra? E, se volete, mentre il dissidente Kirill Serebrennikov si lancia in una difesa accorata dell"oligarca russo Roman Abramovich che gli ha prodotto il film (ecco spiegato...). E i francesi si rendono conto grazie a un sondaggio, leggo su Liberation, che durante la pandemia ci sono state iscrizione di massa del 55% in più sulle piattaforme come Netflix e Prime (ma guarda) e in un sondaggio risulterebbe che il 29% va meno al cinema e il 12% ha deciso di non andarci più. Ma no?