CHE FA LORENZETTO DI NOTTE? LE PULCI AI GIORNALI! – “IL MESSAGGERO” SCRIVE DELLA RISSA IN CUI SAREBBE STATO COINVOLTO FEDEZ, CON “CONSEGUENTE SPEDIZIONE PUNITIVA CONTRO IL PERSONAL TRAINER ROMANO CRISTIANO IOVINO”: “IL CANTANTE ANCORA NON È INDAGATO, MA È STATO DEFERITO ‘A PIEDE LIBERO’ ALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA DAI CARABINIERI”. SE NON È INDAGATO, NON PUÒ CHE ESSERE A PIEDE LIBERO – “IL GIORNO”: “BRUGHERIO, CANE ‘PRECIPITA’ IN UN TOMBINO”. MENO MALE CHE NON È ANNEGATO IN UNA POZZANGHERA…
-“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”
(http://www.stefanolorenzetto.it/pulci.htm)
In un articolo sulla Repubblica, aperto con virgolette che poi non si chiudono, Chiara Valerio scrive: «Michela Murgia fino a un certo punto avrebbe utilizzato l’asterisco, poi la schwa».
Scelta paradossale, trattandosi di una scrittrice allineata con la defunta collega in tema di gender: schwa, sostantivo maschile per Lo Zingarelli 2025, dovrebbe essere il simbolo del genere neutro, ma Valerio riesce a cambiargli sesso e lo fa diventare femminile.
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Editoriale di Maurizio Belpietro, direttore della Verità: «Secondo l’alto ufficiale la situazione in Ucraina non è mai stata così difficile e dunque non solo esclude la possibilità di una vittoria contro i russi ma parla proprio di negoziato». Una situazione che non solo esclude ma anche parla ha del prodigioso.
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Dopo molti anni trascorsi negli Stati Uniti, Federico Rampini tende a esprimersi in un italiano anglicizzato, come dimostra la seguente frase tratta da un suo articolo sull’Arabia Saudita: «Nel 2019 un formidabile attacco di droni con regia iraniana colpì alcune infrastrutture petrolifere nevralgiche del Regno, incapacitandole per settimane».
Il verbo incapacitare, introvabile nello Zingarelli 2025, è presente nel Grande dizionario della lingua italiana ma con il significato «diventare incapace» e con una duplice avvertenza: è intransitivo e richiede la particella pronominale («m’incapacito, t’incapaciti»).
Esempio tratto dal racconto Viaggio di nozze di Cesare Pavese: «Mi sono tanto compiaciuto in solitudine, da atrofizzare ogni mio senso di umana relazione e incapacitarmi a tollerare e corrispondere qualunque tenerezza».
Rampini è stato evidentemente fuorviato dall’inglese to incapacitate: inabilitare, rendere inabile, rendere invalido.
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Incipit della rubrica del coltissimo Mephisto Waltz sul Sole 24 Ore: «Formidabile il secolo dei Lumi, quel Settecento che fu l’anno di Voltaire (1694-1778), il filosofo capace di dire a un alto prelato: “Detesto quello che scrivete, ma darei la mia vita perché possiate continuare a scriverlo”».
Povero satanasso, abituato ad andare a orecchio. La frase, come documentato da Stefano Lorenzetto in Chi (non) l’ha detto (Marsilio), non fu mai pronunciata dallo scrittore francese.
«Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» si legge soltanto nel libro The friends of Voltaire della scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall (1868-1956), edito da Smith Elder & Co. nel 1906.
Spassoso l’infortunio bipartisan che a Montecitorio accomunò Giuseppe Amato (Forza Italia) e Fabio Mussi (Democratici di sinistra) nel dibattito parlamentare del 22 ottobre 1998 sulla nascita del primo governo guidato da Massimo D’Alema.
Amato: «Signor presidente, onorevoli colleghi, il breve intervento che pronuncerò vuole anticipare il mio “no” al nuovo governo, non perché abbia qualcosa di personale contro l’onorevole D’Alema, i comunisti o bi-neo comunisti, ma perché approvo le parole di Rousseau: “Anche se non condivido le vostre idee, mi batterò affinché voi le possiate manifestare”».
Mussi: «È Voltaire! Non Rousseau!» Luciano Violante, presidente della Camera, salomonico: «La frase è giusta». L’aveva sentita pronunciare dal coltissimo Mephisto Waltz, probabilmente.
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Francesco Battistini sul Corriere della Sera: «Le minacce per il momento si mascherano con le solite mascherate». Un ballo in maschera.
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Giovanni Maria Vian, direttore emerito dell’Osservatore Romano, su Domani si occupa del Giubileo indetto da papa Francesco per il 2025: «“Ci siamo domandati se una simile tradizione meriti d’essere mantenuta nel tempo nostro, tanto diverso dai tempi passati, e tanto condizionato, da un lato, dallo stile religioso impresso dal recente concilio alla vita ecclesiale, e, dall’altro, dal disinteresse pratico di tanta parte del moderno verso espressioni rituali d’altri secoli”.
A porsi questa domanda nel 1973 era Paolo VI, che rispondeva di sì: perché “bisogna rifare l’uomo dal di dentro”. E il suo anno santo – un successo inatteso dopo le lacerazioni successive al Vaticano II e consolante per il papa che invecchiava – riuscì, all’insegna della riconciliazione».
L’eccesso di confidenza con i testi di papa Montini, del quale è uno dei massimi studiosi, induce Vian a una semplificazione: quel Giubileo fu celebrato nel 1975, e non, come il lettore è indotto a concludere, nel 1973, quando la frase venne pronunciata dal pontefice bresciano durante l’udienza generale del 9 maggio.
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A proposito di «una rissa in discoteca, con conseguente spedizione punitiva contro il personal trainer romano Cristiano Iovino», nella quale sarebbe stato coinvolto Fedez, Valeria Di Corrado riferisce sul Messaggero che «il cantante ancora non è indagato, ma è stato deferito a piede libero all’autorità giudiziaria dai carabinieri». Se non è indagato, non può che essere a piede libero.
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Titolo dal sito del Giorno: «Brugherio, cane precipita in un tombino: salvato dai vigili del fuoco». Meno male che non è annegato in una pozzanghera.
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Titolo dal sito del Corriere della Sera: «Treviso, anziana 80enne scopre di avere due sorelle e tre fratelli dopo il test del Dna». La notizia risulterebbe fenomenale se la ottantenne fosse stata giovane o addirittura una ragazzina.
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Sul Messaggero, Michela Pagano si occupa del regista Leandro Castellani, «classe 33», e della moglie Maria Grazia Giovannelli, truffati da un consulente finanziario. Premesso che la «classe 1933» designa l’anno di nascita mentre la «classe 33» si usa per pavimenti, moquette e laminati, ecco la conclusione dell’articolo: «Gli incontri però, prima a Roma, poi a Fano, si nel tempo erano diventati sempre più sporadici, fino a interrompersi del tutto nel 2018, facendo finalmente sorgere il dubbio che qualcosa non va».
Il si forse è un banale refuso (voleva essere un se? oppure un sì?), ma il modo e il tempo del verbo sono da matita blu: «qualcosa non andasse» sarebbe stata la forma corretta, cioè modo congiuntivo e tempo imperfetto.