CHE FA LORENZETTO DI NOTTE? LE PULCI AI GIORNALI! – “TWEET DI “TGCOM24” SU FRANCESCO: “PAPA: LA DONNA È IL PRIMO MATERIALE DI SCARTO, ‘È UNA PIAGA’”. ASSOLTO CHI METTE IL DITO NELLA PIAGA” – “SERENELLA BETTIN SULLA ‘VERITÀ’ PARLA DI ‘MASSE DI DISPERATI CON LE BOTTIGLIE DI BIRRA IN MANO, TUTTI DOTATI DI TELEFONINI CHE SOSTANO E BIVACCANO SULLE PANCHINE SENZA FARE NIENTE’. BASTA CON QUESTI SMARTPHONE FANCAZZISTI!”
-“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”
(http://www.stefanolorenzetto.it/telex.htm)
Sul Fatto Quotidiano, l’ex magistrato Piercamillo Davigo cita «le grida di manzoniana memoria». Il titolista, pietoso, lo corregge – «le gride» – ma lascia invariato il testo dell’inquisitore emerito di Mani pulite.
Nello stesso giorno, Luigi Bisignani sul Tempo evoca una consuetudine legale del Medioevo: «l’affissione delle “grida” alle porte del palazzo vescovile». Davigo s’è dimenticato di rivoltare i Promessi sposi come un calzino per recuperare il sostantivo corretto (che Alessandro Manzoni riporta ben 29 volte).
Il plurale di grida è regolare: le gride. Invece le grida è il plurale di grido, specialmente in riferimento a quelle umane. «Perciò dire le grida parlando di “bandi”, “editti” e simili è un errore», sentenzia Lo Zingarelli 2023. Davigo lo sconterà in galera nella stessa cella di Bisignani?
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In un’intervista concessa a Oggi, Marcello Figueroa, amico presbiteriano del suo compatriota Jorge Mario Bergoglio, viene definito dalla giornalista Maria Giuseppina Buonanno «primo protestante a firmare sul giornale della Santa Sede».
Non è così. Vi sono parecchi precedenti: per non risalire troppo indietro nel tempo, basterà ricordare un articolo del pastore luterano Jens-Martin Kruse sul numero del 22 febbraio 2013, quando Figueroa non aveva ancora cominciato a essere più papista del Papa (che allora era Benedetto XVI).
Il pio pastore scrive poi che «il termine “amico” l’ha usato per prima Bergoglio», e qui siamo rassegnati: il gender dilaga. Il giornalista protestante afferma infine che l’enciclica Laudato si’ è «introdotta con il contributo del patriarca Bartolomeo», ma qui esagera perché il primo tra i patriarchi ortodossi è soltanto menzionato nell’importante testo papale. Consigliamo alla collega Buonanno di non fidarsi troppo dei pastori presbiteriani presi «quasi alla fine del mondo».
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Franca Giansoldati, brava (di solito) vaticanista del Messaggero, intervista il vescovo di Verona, Domenico Pompili, evidentemente impossibilitato a dettarle apostrofi e accenti, cosicché nella penultima riga gli attribuisce «un collegamento con la Laudato Si». Ma dai!
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Simonetta Sciandivasci sulla Stampa: «L’editore Puffin, che detiene i diritti dei suoi libri, ha ritrattato sulla decisione di ripubblicare i libri di Dahl, ripuliti da parole con un potenziale offensivo (grasso, brutto)». Ritrattare è un verso transitivo: si ritratta un’opinione, non su un’opinione.
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Serenella Bettin sulla Verità parla di «masse di disperati con le bottiglie di birra in mano, tutti dotati di telefonini che sostano e bivaccano sulle panchine senza fare niente». Basta con questi smartphone fancazzisti!
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Titolo dal Corriere della Sera: «Si fingono fattorini per rubare 148 zaini Dior». Testo: «I due si erano presentati come dipendenti di una ditta di trasporti per ritirare una spedizione. Poi erano riusciti a caricare sul furgone 35 colli con 148 zaini Dior del valore di 3 euro ciascuno». Gli è andata proprio di lusso.
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Nel recensire The Whale di Darren Aronofsky, premiato con due Oscar, Cristina Piccino scrive per ben due volte sul Manifesto che Bruce Willis è stato il «magnifico interprete» di The Wrestler, precedente lavoro del regista Aronofsky. Deve aver visto un altro film, perché l’attore protagonista di The Wrestler era Mickey Rourke. (Infatti lo sfondone è stato poi corretto nella versione online).
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Tweet di Tgcom24 su Francesco: «Papa: la donna è il primo materiale di scarto, è una piaga». Assolto chi mette il dito nella piaga.
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«Celebri grottesche dipingeva Giovanni da Udine (1487-1581)», annota il coltissimo Mephisto Waltz nella sua rubrica sul Sole 24 Ore. Capperi! Campare fino a 94 anni non dev’essere stato facile in un’epoca – il Cinquecento – in cui l’aspettativa media di vita non superava i 35 anni. E infatti Giovanni da Udine morì nel 1564, non nel 1581, dunque a 77 anni.
Più avanti: «Dante Alighieri nel grottesco ci sguazzò allegramente (Inferno, canto XXI, 25-36) quando descrisse le più efferate nefandezze poste in essere dagli avi di Mephisto, nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio».
A noi pare che la scena duri per tutto il canto, non solo nei versi dal 25 al 36. Infine il povero diavolo sbaglia l’ennesima data: «Già se n’era occupato Machiavelli (1569-1527)». L’autore del Principe nacque nel 1469, anche perché gli sarebbe stato difficile venire al mondo 42 anni dopo essere morto.
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Roberta De Rossi ripercorre sul Mattino di Padova (ma anche sulla Nuova di Venezia, sulla Tribuna di Treviso e sul Corriere delle Alpi) uno storico processo per stupro celebrato a Verona nel 1976: «Le foto dell’epoca immortalano un’aula gremita di donne, braccia alzate e mani levate in aria a disegnare con pollice e indice uniti l’utero», come peraltro testimonia una grande immagine proveniente dall’archivio di Uliano Lucas, pubblicata a corredo dell’articolo, in cui decine di mani sono congiunte a formare altrettante vulve immaginarie. In un suo curriculum online De Rossi si qualifica così: «Sono redattrice esperta dei quotidiani veneti del gruppo Gedi». Esperta mica tanto. Di sicuro non di anatomia femminile.
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Titolo dalla Repubblica: «Ibrahima Sawaneh, dalla Gambia a Taranto per diventare uno chef amato da Bottura». Benché nella lingua italiana non esista una regola precisa per il genere grammaticale dei nomi degli Stati, e generalmente quelli che terminano con a siano al femminile, non sono pochi i casi in cui prevale il maschile (il Ghana, il Canada, il Kenya) o s’incontrano entrambi i generi (il Costarica, la Costarica).
L’uso, in questi casi, crea la regola. Nello Zingarelli 2023 si rintraccia sempre e solo «il Gambia» (5 volte), mai «la Gambia». Nell’archivio del Corriere della Sera, che parte dal 5 marzo 1876, la ricerca «il Gambia» dà 69 risultati, «la Gambia» 9.
Il linguista Paolo D’Achille, vicepresidente dell’Accademia della Crusca, dedica alla questione un capitolo illuminante fin dal titolo – Gambia è (prevalentemente) maschile – nel libro Giusto, sbagliato, dipende (Mondadori).
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Claudia Osmetti su Libero: «Il Covid. La polemica infinita. I nov-vax». Che novità è mai questa?