CHE FA LORENZETTO DI NOTTE? LE PULCI AI GIORNALI! – TITOLI DA DUE PAGINE DI UN’UNICA EDIZIONE DELL’OSSERVATORE ROMANO: “ACQUA, LA GRANDE EMERGENZA”. “ALLARME AMAZZONIA”. “A RISCHIO LA BARRIERA CORALLINA”. “LA CRISI ECOLOGICA MINACCIA LA VITA STESSA DELLA TERRA”. LA SPERANZA È PERDUTA. DELLE TRE VIRTÙ TEOLOGALI RESTERANNO ALMENO LA FEDE E LA CARITÀ?
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“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”
(http://www.stefanolorenzetto.it/telex.htm)
Nella sua rubrica Facce di casta, sul Fatto Quotidiano, Veronica Gentili si scaglia contro Massimo Robella, «neo eletto al Consiglio della Circoscrizione 6 di Torino nelle file di Fratelli d’Italia», per un post apparso su Facebook.
La telegiornalista resta basita per «lo stampatello “random”, con quel leggero retrogusto di psicosi»; per «la firma (anche quella rigorosamente in stampatello, corredata da punto esclamativo)»; per un like «con quel sapore a metà tra il “quanto so’ bravo” e il “metti caso che non me lo metta nessun altro, ci penso da solo”»; infine per «il sentito ringraziamento, anche quello in stampatello “ca vas sans dire”, ai tanti camerati che lo hanno votato».
Noi invece restiamo basiti per il ça va sans dire alla vaccinara. Robella sarà una faccia di casta, ma Gentili è una faccia di tolla a fargli le pulci per come scrive, arte nella quale lei per prima non eccelle di sicuro.
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In un articolo sul Messaggero, in cui rievoca il disastro del Vajont accaduto il 9 ottobre 1963, l’ex magistrato Carlo Nordio scrive: «Una frana caduta dal monte Toc, ai confini tra Veneto e Friuli, piombò sull’invaso formato dalla diga del torrente Vajont, catapultando sul terreno sottostante milioni di tonnellate d’acqua. Il paesino di Longarone fu ridotto a un deserto di fango. (...)
I superstiti che avevano udito quel rombo notturno, seguito da un’inondazione arrivata fino a fondovalle, credettero che la diga fosse crollata. In realtà il manufatto aveva tenuto ben oltre le prove di resistenza, e questo era stato un paradosso nella tragedia.
Se infatti avesse ceduto, invece di una bomba d’acqua ci sarebbe stato un impetuoso torrente. Avrebbe certamente causato delle vittime, ma non in numero così elevato. Ma la diga resse, e l’acqua cadde, scrisse Dino Buzzati, “come un sasso dentro un bicchiere colmo d’acqua, che è traboccata sulla tovaglia”».
Ora, tralasciando l’acqua che Nordio fa cadere dentro l’acqua (una bestialità che nella scrittura sopraffina di Buzzati sarebbe inconcepibile), va rilevata l’assurdità logica della frase precedente, secondo la quale se la diga avesse ceduto e si fosse perciò formato «un impetuoso torrente», quest’ultimo «avrebbe certamente causato delle vittime, ma non in numero così elevato».
È vero esattamente il contrario. Se la diga del Vajont fosse crollata, si sarebbe riversato a valle di colpo l’intero invaso, con esiti ancora più tragici. Invece la diga resistette e dunque fuoriuscì dall’alto di essa soltanto la quantità d’acqua che era stata spostata dalla frana staccatasi dal monte Toc, per il ben noto principio di Archimede («Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato»).
Le parole scritte da Buzzati sul Corriere della Sera (l’11 ottobre 1963, in terza pagina), che non sono quelle citate a orecchio da Nordio, lo spiegano inequivocabilmente: «Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui.
Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.
Non è che si sia rotto il bicchiere, quindi non si può, come nel caso del Gleno, dare della bestia a chi l’ha costruito. Il bicchiere era fatto a regola d’arte, testimoniava della tenacia, del talento e del coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro perfino dal lato estetico».
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Esempi di titolazione futuribile. Sommario a pagina 7: «Sono andati alle urne il 54,69 per cento degli italiani». Titolo a pagina a pagina 11: «All’origine del nazional-femminismo dell’estrema destra pupulista». Benvenuti nel Domani.
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Analizzando sul Corriere della Sera i risultati delle recenti elezioni amministrative, Walter Veltroni sostiene che «in soli cinque anni a Roma ha votato l’otto per cento in meno».
In verità, a Roma il calo dei votanti è stato superiore al 14 per cento. Infatti, se nel 2016 gli elettori recatisi alle urne erano stati il 57 per cento degli aventi diritto, nel primo turno del 3-4 ottobre 2021 sono stati il 48,8, con un calo nell’affluenza del 14,39 per cento, e non dell’8 per cento come scrive Veltroni.
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Titolo dalla Repubblica: «Bulgari a Milano per un’esperienza immersiva. La metamorfosi del serpente in arte hi-tech. Si ispira a uno dei simboli della maison l’installazione del famoso media artist turco Refik Anadol in cui l’intelligenza artificiale incontra la natura e i suoi colori». Ora siamo tutti più sereni.
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Titoli da due pagine di un’unica edizione dell’Osservatore Romano: «Acqua, la grande emergenza». «Allarme Amazzonia». «A rischio la barriera corallina». «La crisi ecologica minaccia la vita stessa della terra». La speranza è perduta. Delle tre virtù teologali resteranno almeno la fede e la carità?