CI VUOLE MOLTO TEMPO PER DIVENTARE GIOVANI! RENZO ARBORE FESTEGGIA 87 ANNI E CONTINUA A DIVERTIRSI CON IL CLARINETTO – INNAMORATO DELLA GOLIARDIA (“IL CAZZEGGIO È NOBILE, SE È FATTO BENE”), HA INVENTATO LA TV POP: “HO LANCIATO 100 ARTISTI E INVENTATO 21 FORMAT. L’IDEA DI ‘QUELLI DELLA NOTTE’ NACQUE DA UNA RIUNIONE DI CONDOMINIO E DA UNA CROCIERA CON I RUSSI” – IL JAZZ RIMANE LA SUA VERA PASSIONE: “MI DISPIACE CHE L’ORCHESTRA ITALIANA NON ABBIA AVUTO LO STESSO RICONOSCIMENTO DELLA MIA TV” – VIDEO
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1 – RENZO ARBORE, L’INVENTORE DELLA TV POP INNAMORATO DELLA MUSICA COMPIE 87 ANNI
Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per “la Repubblica”
L’ultimo riconoscimento è arrivato il 13 giugno, quando il conservatorio Umberto Giordano di Foggia, la sua città, gli ha conferito il diploma honoris causa in clarinetto. Renzo Arbore era in videoconferenza e non ha nascosto l’emozione, lui che si è sempre definito un clarinettista jazz.
Il 24 giugno lo showman compie 87 anni; ha inventato nuovi codici televisivi, portato in giro per il mondo la musica napoletana con l’Orchestra italiana, si è dedicato al cinema, è stato un talent scout eccezionale (Frassica, Ferrini, Benigni critico cinematografico, le ragazze parlanti Milly Carlucci, Isabella Rossellini).
Innamorato della goliardia (“il cazzeggio è nobile, se è fatto bene”, nel 1986 con una canzone ironica, pieni di doppi sensi, Il clarinetto, si piazzò il secondo posto al festival di Sanremo. Non si è fatto mancare niente. Esploratore curioso, collezionista, sperimentatore, Arbore era stato insignito, nel gennaio 2022 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell'onorificenza di cavaliere di Gran croce ordine al merito della Repubblica Italiana.
Tanta televisione – L’altra domenica, Quelli della notte, Indietro tutta, Meno siamo meglio stiamo – ma la musica è rimasta nel suo cuore, una vera passione. Ed è stato un grande dispiacere non salire più sul palco, da quando, nell’autunno 2022, aveva lasciato l’Orchestra italiana.
Lo aveva raccontato in un’intervista a Repubblica: “Abbiamo fatto più di 1500 concerti nel mondo, dall’America alla Russia all’Australia alla Cina. Ho avuto un attimo di stordimento. Era la mia vita, salire sul palco era una festa. Mi è mancata la musica e la militanza con gli amici. L’orchestra è stata sottovalutata. Parlano tutti di quello che ho fatto in tv, l’esperienza col gruppo è stata eccezionale”.
Di quello che ha inventato in tv è altrettanto orgoglioso, “perché ho creato dei prototipi, non mi sono mai ripetuto”. Certo la sua tv pop e colta, coloratissima, basti pensare a Indietro tutta, ha lasciato il segno nella storia del costume; gli italiani cercavano affannosamente nei supermercati il Cacao meravigliao, finto sponsor della trasmissione. Miracoli della creatività e della fantasia.
L’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio vuole coinvolgere Arbore per celebrare i cento anni della radio. Con Cari amici vicini e lontani nel 1984 festeggiò i 60 anni, riunendo i grandi protagonisti di un mezzo di comunicazione che ha amato e rivoluzionato con l’amico Gianni Boncompagni, Alto gradimento è stato uno dei programmi cult.
Lunga carriera, una vita piena, grandi amori – l’ultimo Mariangela Melato – lo showman ha confessato un rimpianto, non avere avuto un figlio. Quando morì Piero Angela, spiegò che gli invidiava il figlio Alberto.
Anche lui, come il grande divulgatore torinese, è stato fedele al servizio pubblico. Con le sue riserve e qualche critica, perché non si sperimenta più e si è smarrita la bussola. “Mi hanno sempre fatto sorridere i dibattiti in cui si diceva che ‘la tv non doveva educare’. Usiamo un’altra parola, ma la tv deve arricchire il pubblico, c’è stata una generazione di dirigenti che ha fatto crescere il Paese: Ettore Bernabei, Biagio Agnes, cosa hanno fatto? Dall’informazione all’intrattenimento hanno costruito un’identità”. […]
2 - RENZO ARBORE: «RIDENDO E SCHERZANDO HO CAMBIATO LA TV. RIMPIANTI? NON AVER SPOSATO MARIANGELA MELATO»
Estratto dell’articolo di Antonio Sanfrancesco per “Famiglia Cristiana” del 21 gennaio 2024
Renzo Arbore ha insegnato il sorriso ad almeno tre generazioni di italiani. Umberto Eco gli conferì la laurea honoris causa in Goliardia nell’Aula magna dell’Università di Bologna, Aldo Grasso l’ha definito la «coscienza mediologica della Rai, il primo che ha fatto tv sapendo che essa era anche radio, cinema, teatro, giornale».
Quest’anno la Rai compie 70 anni e lui ne festeggia 60. Arbore è la Rai. Nel servizio pubblico ha fatto di tutto: il musicista, il deejay (quando i deejay non esistevano), il conduttore, l’autore televisivo e radiofonico. È stato pioniere e inventore di linguaggi che sono entrati nella storia del costume italiano e l’ha sempre fatto in modo gentile, educato, con stile diretto e sorridente, mai cattedratico.
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Quanti format ha inventato?
«Ventuno».
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Il suo primo incontro con la musica?
«La mia città nel 1943 fu rasa al suolo dai bombardamenti. Da piccolo sentivo la musica che arrivava dal circolo dei soldati americani che stava di fronte casa, a palazzo Frattarolo. Ricordo Stardust (Polvere di stelle) di Hoagy Carmichael e le musiche jazz di Stan Getz. Dietro, c’erano i muratori, che noi chiamavamo “faticatori”, che ricostruivano la città cantando le canzoni napoletane».
Suo padre voleva che diventasse magistrato.
«Mi laureai nel 1963 in Legge a Napoli. Mi chiese cosa volessi fare e gli dissi l’artista. Allora mi diede un anno di tempo per provare. Era un ultimatum, anzi una scommessa».
Vinta. Nel 1964 entra in Rai.
«Fui segnalato al direttore generale Bernabei dalla suocera, donna Matilde, mia dirimpettaia a Foggia, ma entrai per concorso. Arrivai a Roma a bordo di una Fiat 500 color acquamarina intestata a Gabriele D’Annunzio, nipote e omonimo del grande scrittore, che me la vendette prima di partire per gli Stati Uniti. Quando i vigili mi fermavano e leggevano il libretto di circolazione pensavano fosse uno scherzo».
Cosa faceva in Rai?
«Nell’ex sede di via del Babuino, 9 c’era una signorina che stava in portineria e mi disse: “Oggi scade il concorso come maestro programmatore per scegliere i dischi alla radio”. Feci subito la domanda, mi presentai e arrivai primo. Iniziai facendo diversi programmi: Il portacanzoni, I vostri preferiti, Musica da ballo, Musica nella sera, Poltronissima. All’epoca non esisteva il deejay o il conduttore radiofonico, io sceglievo i dischi e li portavo a chi doveva annunciarli».
La svolta quando arriva?
«In quegli anni il Venerdì Santo in radio non passavano canzoni pop ma solo notizie e musica sacra. Io fui incaricato di fare il programma Settimana Santa ad Harlem e invece di scegliere brani della tradizione misi Louis Armstrong, Mahalia Jackson, Ella Fitzgerald che cantavano spiritual e brani gospel.
Al presidente della Camera dei deputati, il democristiano Brunetto Bucciarelli-Ducci, piacque così tanto che telefonò a Bernabei e chiese il nastro della trasmissione. Da lì in poi le mie quotazioni salirono e feci due programmi, Le cenerentole, sulle belle canzoni che non avevano avuto successo e Bandiera gialla con Gianni Boncompagni che avevo conosciuto al concorso».
E fu un successo.
«Era il 1965. La radio sembrava destinata a soccombere alla tv. Noi portammo l’improvvisazione e inventammo la figura del deejay. Il motto era: “Questo programma è rigorosamente riservato ai giovanissimi”. Un’altra trasmissione importante fu Per voi giovani su Radio 1 da cui nacque Speciale per voi, il mio primo programma televisivo che andò in onda nel 1969 e ’70 sull’onda delle contestazioni giovanili del Sessantotto con i cantanti “processati” dai giovani. Ospitammo, tra gli altri, Gino Paoli, Patty Pravo, Sergio Endrigo, Caterina Caselli, Enzo Jannacci, Claudio Villa».
Che tipo era Boncompagni?
«Ci completavamo a vicenda: lui audace e pratico, io timido e riflessivo. Mi ha tolto la timidezza e le esitazioni e io gli ho trasmesso le mie conoscenze e passioni in fatto di musica».
Ha mai contato gli artisti che ha lanciato?
«Circa un centinaio».
Qualcuno l’ha delusa?
«Sì ma non lo dico. Qualche ingrato c’è stato, ma nella stragrande maggioranza sono rimasti tutti amici».
In tv il grande successo arriva nel 1976 con L’altra domenica su Rai 2.
«Era completamente nuovo, innovativo, spiazzante. Un mix tra la formula del rotocalco, lo spirito di Alto gradimento e il rigore delle scelte musicali di Bandiera gialla. Erano gli anni di piombo, la gente la domenica stava a casa, il nostro intrattenimento era salutare. Per la prima volta lanciammo il quiz con la gente che telefonava al 3139, l’orchestra presa per strada con il duo Otto-Barnelli, il primo valletto muto con Andy Luotto, il cruciverbone, il primo trio en travesti della storia della tv Italiana con Le Sorelle Bandiera che cantavano Fatti più in là».
C’è qualcuno nella tv di oggi che le somiglia?
«Un po’ Fiorello perché improvvisa, canta, imita, anche se lui fa più attualità di me. Con Viva Rai2! ha scoperto la fascia del mattino presto mentre io con Quelli della notte nel 1985 scoprii la seconda serata su cui nessuno scommetteva niente e invece facemmo milioni di ascolti».
Quel programma divenne una mania collettiva.
«Invademmo l’Italia con i tormentoni: “I premi in paglia”, “Non capisco ma mi adeguo”, “Non è bello ciò che è bello ma che bello che bello che bello”, “L’edonismo reaganiano”, “Il brodo primordiale”, il “fidanzato Scrapizza”. Agnelli ci invitò a Villar Perosa, Pertini al Quirinale. C’era anche Craxi, arrabbiato con il presidente della Rai Zavoli perché dopo Mike, Berlusconi aveva portato via pure Pippo Baudo e la Carrà».
Solo con lei non c’è mai riuscito.
«Sono stato l’unico della mia generazione a dire di no al corteggiamento di Mediaset. Non mi piaceva l’idea di fare la tv commerciale. Mi sono sempre identificato con il servizio pubblico perché ho sempre fatto una tv di lungo respiro, senza l’ossessione degli ascolti. All’indice di ascolto preferisco quello di gradimento».
Ma è vero che l’idea di Quelli della notte nacque da una vivace riunione di condominio nel palazzo di sua madre a Foggia?
«Sì, ma non solo. Anche da un invito da parte dell’Unione Sovietica a partecipare a una crociera per fini pubblicitari. Io non volevo andare, loro mi tentarono: “Porta chi vuoi, dicci quanti soldi vuoi”. Gli dissi: “Ok, ma niente denaro, vengo con qualche amico”».
Quanti ne portò?
«Ci presentammo in quaranta. Pianisti di piano bar, musicisti, imitatori. C’erano Marisa Laurito, Telesforo, Luotto, Sylva Coscina, Catalano. Invademmo i pontili e le sale da ballo. Ci divertivamo a suonare nottetempo, improvvisando parodie, con i russi che ci guardavano attoniti. Un’altra ispirazione furono le lunghe chiacchierate che facevo a notte fonda con Peppino Di Capri, Fred Buscaglione e altri musicisti quando finivamo di suonare nei jazz club».
Come reclutò i personaggi di Quelli della notte?
«Frequentando locali, set, gallerie d’arte, case di amici. Dovevano avere la battuta pronta, essere in grado di realizzare una sorta di jam session parlata. Oggi non lo sa fare più nessuno. La filosofia del programma era “Ridere per ridere. Però con amore”. Oggi per far ridere si fa televisione “contro”. A Quelli della notte tutto scaturiva dall’allegria e dall’umore del momento».
Crede in Dio?
«Sì, e credo molto nei comandamenti della religione, sono codici che rispetto perché aiutano a vivere meglio».
Pensa spesso alla morte?
«Come qualcosa che bisogna ritardare il più possibile».
Ha rimpianti?
«Non aver sposato Mariangela Melato, la persona che ho amato di più nella vita, e non aver creato con lei una famiglia».
E nella carriera?
«Un cruccio. Mi dispiace che l’Orchestra italiana non abbia avuto lo stesso riconoscimento della mia tv. In trent’anni, dal 1991 al 2021, abbiamo fatto milleseicento concerti e girato il mondo, dall’Europa all’Australia, dalla Russia al Sudamerica, dalla Cina al Giappone». […]