CIAK, SI STUDIA - VIAGGIO AL CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA: QUI NASCONO I MASTROIANNI E I FLAIANO DI DOMANI (SI SPERA)- “IN UNA ROMA SLABBRATA, DOVE VIA VENETO È UN RICORDO, L'UNICO POSTO DOVE PUOI CONOSCERE UN REGISTA È QUI” - -

La direttrice Caterina D’Amico: “Quasi la metà delle domande sono per i corsi di recitazione. Gli attori sono motivatissimi, nonostante la tv glorifichi l'improvvisazione - Mario Grossi, che tiene un laboratorio sul cinema di Fellini, frena: “Gli attori? Li esorto alla tenacia con le parole di Ronconi: "Fatica e mestiere”...

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Giuseppe Videtti per “la Repubblica”

CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA

 

Cinecittà è lì di fronte. Giù in fondo i Castelli romani. In lontananza i pini dell' Appia Antica. Il Centro sperimentale di cinematografia, spietatamente razionalista, esageratamente basso, è incastrato nella periferia della capitale che una volta era campagna. Inaugurato dal Duce in persona nel 1935, ha compiuto ottant' anni.

 

La città giovane lo guarda dall' alto di palazzi osceni e arroganti che lo tengono a distanza come un vecchio invalido. Invece quelle linee severe del Trenta, quei finestroni che Matisse avrebbe adorato, gli atri sconfinati e le aule immense (e il pino della Via Tuscolana).

 

Ciak, si studia: al Centro si veniva a imparare, a Cinecittà a lavorare. Mica solo attori, soprattutto sceneggiatori, montatori, registi, costumisti, direttori della fotografia, tecnici del suono: attraversavano la strada e passavano dalla fabbrica al sogno. L' equazione era matematica, oggi non così scontata ma neppure disperata con registi come Rosi, Sorrentino e Garrone che stanno riportando il talento italiano nel mondo e una nuova legge che dovrebbe garantire un sostanziale potenziamento del credito per il cinema.

CENTRO SPERIMENTALE CINEMATOGRAFIA 1 CENTRO SPERIMENTALE CINEMATOGRAFIA 1

 

Per decenni la gloria di Hollywood sul Tevere è stata appannata da troppe commedie e troppa tv, e gli allievi del Centro spesso hanno preso il volo verso mete più lontane: Hollywood, quella vera, tiene d' occhio le nostre maestranze. Da sempre. Perché qui si lavora sodo, s' impara molto, non ci sono gli specchietti per le allodole che accecano le orde pop dei talent, e l' annessa Cineteca Nazionale è uno straordinario centro di documentazione per chiunque s' inoltri nel labirinto del cinema senza voler procedere alla cieca.

 

«Qui ne entrano sessanta all' anno, duecento nel triennio, più altri cento nelle sedi distaccate», spiega Caterina D' Amico, lady di ferro del cinema di sangue blu, figlia della sceneggiatrice Suso Cecchi, ora al terzo mandato come direttrice. «Non siamo alla ricerca del genio, ma di chi dalla scuola può trarre vantaggio. Il talento naturale scombina gli equilibri, l' autore solitario rischia sempre più spesso di essere fagocitato». Ricorda gli anni bui, quando arrivò al Centro - nel 1988, aveva quarant' anni - edifici inagibili, fuori norma, senza fondi né strutture.

 

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«La cosa più preziosa che avevo era la mia agenda telefonica» confessa, mentre sbircia sulla scrivania le date per le selezioni di aprile che apriranno le porte ai nuovi allievi del prossimo triennio. «Cominciai a succhiare idee dalle altre scuole, ma poi quanti talenti sono usciti da qui: Francesco Bruni (lo sceneggiatore di Virzì, Calopresti e Faenza), la scrittrice Melania Mazzucco, i registi Gianfranco Pannone e Francesco Costabile - il suo corto Dentro Roma (2006) è una delle cose più belle prodotte al Centro. I professionisti che si sono formati qui lavorano tutti, scenografi, montatori, costumisti, vengono a cercarli ancor prima che finiscano il corso».

 

Non nomina gli attori, sebbene i corsi di recitazione siano i più affollati e richiesti. «Quasi la metà delle domande», conferma, «ma per loro il percorso è più accidentato. Sono motivatissimi, nonostante la tv glorifichi l' improvvisazione, una débâcle iniziata negli anni Ottanta: l' orgoglio dell' ignoranza. L' impegno, la conoscenza, lo studio non destano né rispetto né ammirazione. Il Divo è chi che ha avuto fortuna per caso. Il modello? Fabrizio Corona ».

 

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Mostra con ragionevole orgoglio i magnifici bozzetti realizzati dagli allievi del terzo anno per la scenografia di Cinacittà, un film di Marco Ponti mai realizzato. Uno lo avete visto sulla copertina di questo servizio: immagini di una Roma bladerunnerizzata e divorata da cinesi, appena riconoscibili tra dragoni e pagode la Fontana di Trevi, il Colosseo, Piazza Navona, i magazzini Mas di Piazza Vittorio trasformati in una cavernosa, peccaminosa discoteca di lap dance.

 

Lo sceneggiatore Stefano Grasso ( Più buio di mezzanotte, la serie tv Non uccidere) arrivò al Centro da Torino dieci anni fa, ne aveva ventiquattro, l' aspetto di un giovane Pierre Clementi alla ricerca della sua Via Lattea. «Qui è ancora tutto possibile, puoi sognare di diventare il nuovo Ennio Flaiano o il nuovo Mastroianni, è l' attimo prima della linea d' ombra», dice in una pausa del corso in cui gli tocca l' ingrato compito di selezionare sei su dodici aspiranti scrittori, ora che è stato richiamato come docente. «In una Roma slabbrata, dove Via Veneto è un ricordo, dove Fellini e Rossellini non s' incontrano più e di osterie neanche l' ombra, la dolce vita si è rintanata nei salotti, e se un regista non t' invita a casa, l' unico posto dove puoi conoscerlo è qui».

 

NAPOLITANO AL CENTRO SPERIMENTALE DI FOTOGRAFIA NAPOLITANO AL CENTRO SPERIMENTALE DI FOTOGRAFIA

Grasso s' incatena agli studenti, s' immerge nelle storie che provano a inventare. Era un giovane presuntuoso quando tentò la prima volta - non fu scelto. Venne prese l' anno dopo, tanto determinato da risultare primo nelle graduatorie. «Avevo bisogno di quel bagno di umiltà», ammette, «non avevo capito l' importanza della bottega - Francesco Rosi assistente di Visconti che era stato assistente di Renoir. Il passaggio di testimone da una generazione all' altra. Ora, stando dall' altra parte, vedo nei miei allievi la stessa voglia di emergere che avevo io, come il Rastignac di Balzac che gridava "E ora a noi due!", riferendosi al suo desiderio di conquistare Parigi. Non si fa cinema senza ambizione» .

 

CATERINA D AMICO CATERINA D AMICO

È un magico volo a ritroso dentro il Gattopardo quando nel tardo pomeriggio arriva Piero Tosi (novant' anni il prossimo 10 aprile, premio Oscar alla carriera, costumista di film come Rocco e i suoi fratelli e La caduta degli dei). Foulard al collo, passo incerto, lucidissimo e tagliente nei giudizi. Lo accompagnano su un set organizzato in team dai corsi di scenografia e di fotografia. Gli basta uno sguardo per capire che «quei cuscini sono troppo bianchi, il damasco del fondale inadeguato, il divanetto sbagliato. Tutto troppo chiaro» .

 

Sceglie un bozzetto dai colori inevitabilmente viscontiani. Nel teatro accanto, Eljana Popova introduce i ragazzi del secondo anno di recitazione al metodo Stanislavskij. Si lavora sull' Onegin di Puškin prendendo come traccia il film girato da Martha Fiennes nel 1999.

 

Scambio delle parti frenetico, improvvisazioni a ruota libera. Qualcuno in costume, altri in jeans e t-shirt. Tutti consapevoli che su un palcoscenico o davanti a una telecamera anche un gesto banale come sbottonarsi la camicia diventa solenne. Il chitarrista accenna un' aria, la cantante intona una malinconica, straziante Tonada de luna llena. «Cercate tra tante persone una che vi accarezzi l' anima. Pensate a tutto ciò che avete sognato di avere, a un amore che non c' è», li incita la Popova.

luchino visconti federico fellini luchino visconti federico fellini

 

Dal caos, miracolo, prende forma una scena, poi un' altra - non c' è confine tra esultanza e struggimento. L' arte eleva e purifica, ne hai la certezza ammirando quella dozzina di attori che brancolano nel cubo nero. Creativamente esaltante. Commovente. La Popova non si lascia incantare, li aggredisce: «Tutto qui? E Puškin dov' è finito?».

 

Pausa. I ragazzi sciamano nel corridoio. Anche Samuele Picchi, ventiduenne di Empoli, non ha desistito dopo la prima eliminazione e si è ripresentato l' anno dopo. «Il mio futuro? Il teatro. Potessi, camperei solo di teatro», dice superbo nella sua finanziera di scena. Anna Manuelli, vent' anni di Firenze, e Maria Vittoria Casarotti Todeschini, venticinque di Padova, la pensano come lui: «Di questo vogliamo vivere. Non sapremmo immaginarci in nessun altro mestiere».

 

mastroianni mastroianni

Ma Mario Grossi, che tiene un laboratorio sul cinema di Fellini, frena: «Gli attori hanno un grande limite rispetto agli altri allievi del Centro, sono costantemente proiettati verso l' esterno, e questo li distrae dall' impegno didattico. I miei hanno già tutti un' agenzia, un book pronto. Vivono nell' ansia di perdere l' occasione giusta, la parte in un filmone. Li esorto alla tenacia con le parole che mi disse Ronconi: "Non smettete di studiare, di essere curiosi. Fatica e mestiere"».

 

Roberto Antonelli, che ha il delicato compito di formare quelli del primo anno al mestiere dell' attore, acconsente: «Io sono il cattivo sergente. Lo sanno, non offro certezze. È nel dubbio che devono cercare di acchiappare qualcosa». In fondo è sempre stato così, Pietro Germi si diplomò attore poi trionfò da regista.

 

ENNIO FLAIANO ENNIO FLAIANO

Ado Hasanovic, ventinove anni, bosniaco, terzo anno del corso di regia, era già un fenomeno quando si è presentato al Centro con il corto Mama, premiato con la Golden Apple al BH New York Film Festival nel 2014. L' angelo di Srebrenica, come lo chiamano (ha perso molti familiari durante l' assedio del 1992-1995), si è iscritto al Centro dopo tre anni alla Sarajevo Film Academy.

 

«Devo imparare di più per fare grande cinema. Sono infatuato del neorealismo, farò il regista, nessun piano B, pronto per il primo lungometraggio. Il mio sogno? Fare film che siano un ponte tra i Balcani e il resto del mondo - la cultura vince su tutto, null' altro può compensare le nostre mancanze, non la religione né il nazionalismo, lo dice la Storia» .

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