CIAK! IL TEATRO 5 DI CINECITTA’ E LA LEZIONE DI FELLINI CON 8 E ½ , L’EQUIVALENTE FILMICO DELLA CAPPELLA SISTINA – QUESTO ANONIMO CAPANNONE E’ FORSE IL LUOGO INSIEME ALLA FIRENZE DI LORENZO DE' MEDICI E AL VATICANO DI GIULIO II DOVE SI È CONCENTRATO IL PIÙ ALTO TASSO DI CREATIVITÀ E GENIO ITALICO – LE LITI TRA VISCONTI E ANNA MAGNANI, LE CHIACCHIERATE TRA PASOLINI E ORSON WELLES FINO ALLA RECENTE VISITA DI DRAGHI E VON DER LEYEN - VIDEO
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Leonardo Colombati per il “Corriere della Sera”
Esiste un posto, in Italia, famoso in tutto il mondo, che il turista straniero non visita mai.
Sta a Roma, sulla Tuscolana, e non ha nemmeno cent' anni. In sé, poi, non è poi tutta questa gran cosa: una serie di anonimi padiglioni, uffici e capannoni. In uno di questi, davanti a un immenso fondale che riproduce un cielo, sospesi a diversa altezza su due piccoli ponti attaccati con le funi ai tralicci del soffitto, due pittori in canottiera e coi cappellini fatti col giornale muovono i lunghi pennelli con lentezza da acquario, i secchi della vernice accanto.
Tutto intorno è silenzio. Si sente solo il fruscio delle spatole sul fondale già quasi interamente dipinto. «Oh, a Ce'...» «Che voi?» «Vattela a pijà...» Così, in uno dei suoi ultimi film, Fellini descrive il Teatro 5 di Cinecittà, forse il luogo - insieme alla Firenze di Lorenzo de' Medici e al Vaticano di Giulio II - dove si è concentrato il più alto tasso di creatività e genio italico: una città dentro la città, più grande del suo contenitore, che riesce ad allargare i suoi confini fino ad abbracciare il mondo intero.
Qui dentro, se batti il ciak, Visconti litiga ancora con Anna Magnani durante le riprese di Bellissima , Pasolini chiacchiera con Orson Welles in una pausa di lavorazione de La ricotta , e Mastroianni con gli occhi bistrati e un cappellaccio nero divide il cestino con gli operatori di ripresa. Il film si chiama 8 e ½ , il regista è Fellini. Mastroianni fa la parte di Guido, che poi è Fellini: un regista in crisi che non sa che film fare.
E che alla fine imparerà, donandocela, una delle più liberatorie e gioiose lezioni su sé stesso e sulla vita che un'opera d'arte abbia mai saputo offrire. Il soggetto è di Fellini - che ha appena letto Jung: «la creatività e il gioco stanno l'una accanto all'altro» - e di Ennio Flaiano lo scrittore più ferocemente anti-italiano e al tempo stesso più tenacemente arci-italiano, che vuole chiamare il film La bella confusione .
Di confusione ce n'è tanta, ed è davvero bellissima. Alla fine, poi, spuntano, in bianco, tutti i personaggi inventati dal regista, e si prendono per mano, con Guido che ne decide i movimenti, elettrizzato, felice, al megafono: «prendetevi per mano!» urla, e comincia il girotondo al suono di una fanfara di clown, finché non scende la notte e un bambino suona le ultime note su un flauto per poi sparire nel buio.
A realizzare l'equivalente filmico della Cappella Sistina c'è voluta la creatività del più grande raccontatore di sogni dai tempi di Artemidoro (Federico); del più corrosivo scrittore italiano del dopoguerra (Ennio); di un attore smisurato e umano, troppo umano, come Marcello; e del prodigo Angelo Rizzoli, un miliardario che annotava giornalmente debiti, crediti e liquidità sul pacchetto di sigarette Turmac. Intanto, nel silenzio riverberato del grande Teatro 5 vuoto, il primo pittore si rivolge di nuovo al secondo: «A Ce'... No, stavo a pensà 'na cosa...» «Cosa?»
«Perché non te la vai a pijà...?» e scoppia a ridere, felice come un bambino. Da quando 8 e ½ uscì nelle sale, nel 1963, esiste nei dizionari la parola «felliniano». «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l'aggettivo. Ne sono lusingato. Credo però che fregnacciaro sia il termine giusto» dirà Fellini. Trent' anni dopo, il 1° novembre 1993 una processione folta e silenziosa si dirige al Teatro 5, completamente vuoto, ad eccezione di una grande pedana con moquette azzurra su cui è stata sistemata una bara monumentale dalle borchie dorate. Due carabinieri in grande uniforme, ai lati del feretro di Fellini, sembrano due enormi fiori dal pennacchio rosso.
Dietro la cassa, un grande cielo limpido, con le nuvole bianche: è il fondale utilizzato per Intervista , il film di Fellini che originariamente doveva chiamarsi Cinecittà . Quella notte, quando la bara è stata portata via e tutto è di nuovo in silenzio, continua il dialogo tra i due pittori: «A Ce'», fa il primo. E l'altro, sbuffando: «Uuhhhh!». «Sai chi t' ho incontrato ieri? Moccoletto. Sai che m' ha detto?» «No.» «M' ha detto che te la devi annà a pijà...!» Titoli di coda.