Marco Giusti per Dagospia
E giù botte… Filmone, anzi firmone, questo scatenato “The Woman King” (50 milioni di budget, incasso così così, 67 milioni in America e 92 globali), diretto da Gina Prince-Bythewood, che aveva già diretto un potente action con Charlize Theron, “The Old Guard” e il cult romantico sportivo "Love & Basketball", con Viola Davis, quasi sessantenne, che si muove come un John Wayne con un ciuffo banana alla Little Richard, mena e stacca le capocce dei nemici (tutti maschi) come la potente Nanisca, generale e capo delle Agojie, l’esercito di sanguinarie soldatesse vergini del Regno del Dahomey nel 1823 agli ordini di Re Ghezo, interpretato qui da un John Boyega un filo troppo hollywoodiano, molle e pieno di mogli bbone, che ha costruito un impero prosperoso grazie al traffico di schiavi coi portoghesi da mandare dal Benin direttamente in Brasile.
Se Re Ghezo se l’aggiusta come vuole, con un comportamento ambiguo con il cattivissimo Oba, interpretato dal nigeriano Jimmy Odukoya, capo degli Oyu, in guerra continua con le Agojie, ma socio proprio con il Regno del Dahomey nel traffico di schiavi e nel controllo dei porti, anche Nanisca vede solo quel che vuol vedere. Cioè il suo gruppo di amazzoni guerriere che ha coltivato con cura.
Come fosse un gruppo di pistoleri maschi alla “Magnifici sette”, vediamo un cast stellare di ragazze nere belle e pericolose, dalla Izogie della anglo-jamaicana Lashave Lynch, già Captain Marvel e 007 nera in “No Time to Die”, alla Amenza dell’ugandese Sheila Atin, già vista in “Doctor Strange 2”, alla piccola Nawi, di fatto la protagonista del film, della più delicata sudafricana Thuso Mdebu, già protagonista della strepitosa serie “La ferrovia sotterranea” di Barry Jenkins.
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Ma proprio la più esperta Nanisca sa che per mantenere intatto il suo gruppo di ragazze guerriere e scalare il potere per diventare la Regina Donna del titolo, insomma, deve muoversi attraverso le contraddizioni e le ambiguità di Re Ghezu, compresa la tratta degli schiavi. Un po’ come Giorgia Meloni divisa tra King Silvio, Salvini e gli immigrati, insomma. Anche se poi, visto che gli Oyu, in guerra, hanno fatto prigioniere Nawi e altre ragazze, partirà per liberarle. Ecchecazzo!
Anche perché, per dovere di costruire un raccontino da inserire in una vicenda storica reale, la soggettista e produttrice Maria Bello, un tempo attrice, e la sceneggiatrice Dana Stevens, hanno messo in piedi una storiella su Nawi orfanella, magari figlia di una violenza, divisa tra la scoperta di un amore etero, con un brasiliano mezzo dahomeyano perché figlio di una schiava, il Malik di Jordan Bolger, e la fedeltà alle Agojie. Girato proprio nel Benin, oltre che nel Ghana e in Sudafrica, seguito nelle sue parti storiche da un professore di Princeton, Leonard Wantchekon, il film funziona al suo meglio proprio nelle sue parti di guerra o da vita dentro il fortino come fosse “I cavalieri del Nord Ovest” di John Ford.
Con un grande lavoro di coreografie nelle scene di botte e di ballo e di ricostruzione per i veri costumi delle ragazze. Tutte elegantissime. Come grande è il lavoro del direttore della fotografia l’anglo-africana Polly Morgan.
Meno il film funziona nelle sue parti romantiche o ideologiche, per non parlare della sceneggiatura. E ancor meno sul non ricordare le atrocità di King Ghezo (guardatevi “Cobra verde” di Herzog…).
Ma le attrici, a cominciare da Viola Davis, sono tutte strepitose e già costruire un film da questa incredibile storia vera delle guerriere del Dahomey è un successo. In sala dal 1 dicembre.
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