IL CINEMA DEI GIUSTI - LE TRE ORE DI “OPPENHEIMER”, SCRITTO E DIRETTO DA CHRISTOPHER NOLAN, FUNZIONANO BENISSIMO - NOLAN SAPREBBE COME CONFEZIONARE UN KOLOSSAL DI TRE ORE ANCHE SE MI DOVESSE FILMARE IN MUTANDE IN CUCINA CHE MI CUCINO DUE UOVA - POSSIAMO ANCHE DIRCHI CHE CI SONO PARECCHIE INGENUITÀ, LE VISIONI POST BOMBA, L'ANTICOMUNISMO DA BRAVI DEMOCRATICI, MA “OPPENHEIMER” HA UNA FORZA, UN VIGORE DI RACCONTO, UNA COSTRUZIONE DI ATTORI DA GRANDE CINEMA AMERICANO CLASSICO - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

florence pugh cillian murphy oppenheimer

Devo dire subito che le tre ore di “Oppenheimer”, scritto e diretto da Christopher Nolan, forse più preoccupato di ricostruire la storia di un personaggio considerato controverso tra processi politici e polemiche anticomuniste in periodo maccartista, che di scavare sulle problematiche morali dell’aver costruito la Bomba Atomica che fermò sì la guerra ma distrusse Hiroshima e Nagasaki portando una scia di morte e distruzione che noi nati nel dopoguerra ben ricordiamo, funzionano benissimo.

oppenheimer nolan

 

Perché Nolan, con l’aiuto fondamentale del suo meraviglioso direttore della fotografia, Hoyte van Hoytema, del suo musicista, Ludwig Goransson, saprebbe come confezionare un kolossal di tre ore anche se mi dovesse filmare in mutande in cucina che mi cucino due uova. E troverebbe il modo di complicare la cosa con qualche sfalsamento temporale, come siamo abituati a vedere da sempre.

 

scena di nudo in oppenheimer censurata in india e in medio oriente

Possiamo anche dirci che ci sono parecchie ingenuità, le visioni post bomba, i dialoghetti con Tom Conti/Albert Einstein (che ha il potere di rievocare però il Tom Conti di “Furyo” di Oshima), l’anticomunismo da bravi democratici, e che il costruire gran parte della storia sulla tripla linea della costruzione della bomba a Los Alamos e i due processi/non processi a J. Robert Oppenheimer, un grande Cillian Murphy dagli occhi sempre aperti, e al suo Salieri, il Lewis Strauss di Robert Downey Jr, fa diventare il film spesso un legal thriller alla Martin Ritt.

 

IL CAST DI OPPENHEIMER

Possiamo anche dire che sentiamo forte la nostalgia dei primi quindici minuti di “Hiroshima, mon amour” di Alain Resnais e del bianco e nero di Sacha Vierny (e poco ci importa che la Kodak abbia concesso di sviluppare in Imax il bianco e nero per la prima volta), e che il non vedere nulla, ma proprio nulla di Hiroshima, è una scelta forse giusta ma discutibile.

 

Ma “Oppenheimer”, anche rispetto al recente “Tenet”, ha una forza, un vigore di racconto, una costruzione di attori, e tutti ruotano attorno a Cillian Murphy, bravissimo, da grande cinema americano classico. Anche se, ripeto, alla fine, la storia spinge molto sulle fasi processuali che coinvolgono il candido Oppenheimer, per Nolan diventa un eroe americano puro alla Alan Ladd e il pessimo e contorto Strauss, un rancoroso che punta alle coperture mediatiche e alla politica.

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E quanto più funziona, nel meccanismo di genere, più il film si distacca dalle ambizioni autoriali del regista-sceneggiatore. Non è Resnais non è Duras. Si sa,, anche se Paul Schrader lo ritiene “il più importante film del secolo”. E non gioca sugli effetti della bomba, in Giappone e in Europa, tra i sopravvissuti e i perdenti, ma sugli effetti nella testa e nella vita di chi l’ha inventata.

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Ma quando mai avevamo visto Nolan mettere in piedi un personaggio vero, con le sue debolezze e la sua umanità, e non un burattino alla Batman o alla Joker? Cillian Murphy si muove da essere umano, riprese e fotografato come fosse Batman, con pipa e cappello, ma rimane un essere umano, che si divide tra due donne, Florence Pugh e Emily Blunt, una serie di giganti della fisica mondiale, collaboratori fedeli e infami, militari amici e pezzi di merda. Lo scontro di Nolan con l’umanità, fatta di desideri-tradimenti-errori sembra quasi riportarlo sulla terra, dopo tanto cinema di genere giocato al massimo.

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Credo che il trattamento che Nolan riserva alla storia di Oppenheimer, super-eroe che si rende conto totalmente del male e della morte che la sua intelligenza ha portato all’umanità, funzioni benissimo a livello di racconto, tratto in gran parte dal libro di Kai Bird e Martin Sherwin, "American Prometheus" e davvero molto simile al film del 1989 di Roland Joffé “L’uomo di mille soli” con Paul Newman come Leslie Groves e Dwight Schultz come Oppenheimer, ma che finisca per dimostrarci i limiti del cinema di Nolan e del cinema che si può fare oggi, a freddo, su un tema che qualsiasi ragazzino cresciuto negli anni ’50 vedeva perfettamente nella sua potenza di vita e nella sua potenza di morte.

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Detto questo, il film gode di un casting spaziale, con sorprese di ogni tipo, Matt Damon, Rami Malek, Matthew Modine, James Remar, Jason Clarke, Kenneth Branagh, Gary Oldman, è un piacere per gli occhi. Insomma, ce ne fossero di Oppnheimer…

 

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Christopher Nolan
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