IL CINEMA DEI GIUSTI – ARRIVA SUGLI SCHERMI “COMANDANTE”, IL FILM PATRIOTTICO CHE AVEVA APERTO LA MOSTRA DI VENEZIA, DEDICATO ALLE IMPRESE PER MARE DEL CAPITANO DI CORVETTA SALVATORE TODARO, INTERPRETATO DA UN PIERFRANCESCO FAVINO CHE PARLA IN VENETO (PUR NON ESSENDO VENETO!) – A DETTA DEGLI AUTORI NON È UN FILM SULL’EROISMO DI GUERRA, QUANTO SULL’EROISMO DI CHI MANTIENE L’UMANITÀ ANCHE IN GUERRA E SALVA I DISPERSI IN MARE, ALLA CAROLA RACKETE. ANTISALVINIANO QUINDI. MA È ANCHE FORTEMENTE PATRIOTTICO, INSISTO. COME VUOLE IL MINISTRO GENNY SANGIULIANO... – VIDEO
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Marco Giusti per Dagospia
“Fascista! – “Io sono un uomo di mare!” Ci siamo. Arriva domani sugli schermi italiani il film patriottico che aveva aperto l’80a Mostra del Cinema di Venezia, “Comandante”, diretto da Edoardo De Angelis, che lo ha scritto assieme a Sandro Veronesi, dedicato alle imprese per mare del capitano di corvetta Salvatore Todaro, interpretato da un Pierfrancesco Favino al meglio della sua forma che parla in veneto (pur non essendo veneto!), comandante del sottomarino Cappellini che, nel 1940, dopo aver affondato il mercantile belga Kabalo, che trasportava armi inglesi, decise di salvare i marinai dispersi in mare.
“Noi affondiamo il ferro nemico, senza pietà”, dice nel film, ”ma salviamo l’uomo”. Chi vuol capire, capisca, si dirà. Visto che a detta degli autori, che aprono il film con una frase di un marinaio russo salvato dagli ucraini in mare, non è un film sull’eroismo di guerra, quanto sull’eroismo di chi mantiene l’umanità anche in guerra e salva i dispersi in mare, alla Carola Rackete. Antisalviniano quindi.
E infatti proprio alla prima veneziana, il poro Salvini presente storse un po’ il naso su tutta questa poetica del salvar gente in mare. Ma è anche fortemente patriottico, insisto. Come vuole il ministro Genny Sangiuliano, in fondo, che ha appena presentato al Rome Film Fest, mentre io e Dago presentavamo “Roma santa e dannata” con un parterre che andava da Previti a Bettini, il restauro addirittura di “Divisione Folgore” di Duilio Coletti, filmone patriottico sui ragazzi della Folgore sacrificati a El Alamein.
Insomma, mentre infuriano guerre vere, di là e di qua, noi ci trastulliamo con il patriottismo. E la cosa, al di là dell’essere di destra e di sinistra, risveglia tra chi è nato nel primo dopoguerra tutta una serie di racconti eroici e canzoncine che ci raccontavano e cantavano i nostri padri cresciuti nel ventennio con l’idea dell’amor della patria e della bella morte. Sentimenti che il Comandante di Favino, in senso di film, ha ben presenti, forte di motti retorici che ci vengono risparmiati (“Osare l’inosabile”).
Come ha ben presente la lezione di classicismo che gli impartisce in greco antico il vecchio professore di Paolo Bonacelli (non avete idea del piacere di vederlo sullo schermo…) che descrive con un passo dell’Iliade l’eroe puro, Bellerofonte, uccisore della Chimera.
Girando oggi un film su Salvatore Todaro e le imprese dei nostri sommergibilisti della X-Mas, di 112 sommergibili ne rimarranno intatti solo 19 a fine della guerra, senza essere né l’ammiraglio Francesco De Robertis o l’ammiraglio Marc’Antonio Bragadin, autori di grandi film realistici sulla marina italiana (ma Bragadin è uno dei dieci sceneggiatori anche di “Divisione Folgore”), dovendo fare i conti, ahimé, con una situazione politica piuttosto confusa, è ovvio che le contraddizioni, anche del personaggio, vengano fuori.
Per non parlare delle cose non dette o non spiegate che vengono buttate qua e là per mantenere un qualche equilibrio non dico ideologico, ma almeno di impostazione storica. A cominciare dalla X-Mas, o Decima Flottiglia Motoscafi Armati Siluranti, che nel film non viene mai nominata, e che, come ben si sapeva, aveva una parte sana, patriottica ma non fascista, e una parte terribile, i mai-morti di Carrara che si macchiò di terribili delitti contro i partigiani.
Todaro, che morirà per le bombe inglesi in mare nel sonno nel 1942, non farà parte della X-Mas di Junio Valerio Borghese, che ne prese il comando nel 1943, né ovviamente di quella successiva che si legò ai nazisti, ma è lui a inventarsi il vessillo della bandiera nera col teschio e la scritta X (alla Elon Musk), e una serie di motti latini. Prima di entrare in battaglia Todaro fa suonare l’inno dei sommergibilisti, “Andar pel vasto mar / Ridendo in faccia / a monna Morte e al destino / Colpir e seppelir /Ogni nemico che s'incontra sul cammino”, ma si permette di accompagnare i suoi uomini nel porto di La Spezia, al ritmo di “Un’ora sola ti vorrei” di Umberto Bertini, che venne incisa per disco nel 1938 da Pippo Barzizza, canzone celebre ma bollata di antifascismo per la frase “Un’ora sola ti vorrei per dirti quello che non sai”.
Riempie di frasi storiche il suo sommergibile, neanche fosse Genny Sangiuliano, “L’arte del marinar morire in mar”, “La mia vittoria è la mia battaglia”, “Non basta nascondersi per non essere visti”, ma poi ha un triste distacco, molto dandy, dalla vita, sicuro come è della sua stessa morte in mare. Detto questo, e ricordando che stiamo parlando di un film che vede protagonisti dei ragazzi di venti-trent’anni cresciuti nell’Italia fascista che sono appena entrati in una guerra sanguinosa, il film, proprio come tanti film di sommergibili (funzionano sempre, si sa, come i film carcerari), funziona perfettamente nella sua costruzione più di genere.
E trionfano i personaggi stereotipati, anche se forse un filo troppo intinti nel sugo napoletano. Il fedelissimo secondo di Massimiliano Rossi, altro napoletano che fa il veneto, il cuoco Gigino del bravissimo Giuseppe Brunetti (“L’amica geniale”, “Finalmente l’alba”), quello che tiene il mandolino in cucina sempre pronto, il corallaro di Torre del Greco di Gianluca Di Gennaro, ma anche il sardo, il livornese.
Funziona anche come cinema di guerra, anche grazie alla fotografia di Ferran Paredes. Funziona meno quando alla retorica, ovvia, del film di guerra aggiungiamo la retorica, altrettanto ovvia, del film di buona umanità. Il dialogo con voce off del marinaio napoletano che si sacrifica per il gruppo, i sentimenti delle ragazze che accompagnano i loro uomini al porto e sanno che potrebbero morire.
Perché si rischia un po’ un minestrone di sentimenti. In questo l’ormai lontano cinema di marinai italiani dei già nominati Bragadin, Coletti e De Robertis sapevano di non dover cadere. Puntando a un realismo dei fatti parecchio asciutto. Mentre il curioso “Vino, whisky e acqua salata” di Mario Amendola, versione comica del salvataggio di un ufficiale inglese, Raimondo Vianello, da parte di un sottomarino italiano, mostrava un simil Todaro, interpretato da Tino Buazzelli, orgogliosamente fascista (e i cuochi erano gli strepitosi Franco e Ciccio).
Invece, De Angelis e Veronesi cascano un po’ nella trappola del minestrone. Forse perché si trovano a reinventarsi un genere. E l’Italia non è mai un paese in pace con il proprio passato. Anche se, in fondo, le contraddizioni di Todaro, raffinato classicista che sventola la bandiera nera della X-Mas mentre salva i marinai belgi, sono anche le nostre che cerchiamo di capire quanto l’apertura della Mostra con un film con personaggi così patriottici, non diciamo fascisti (però…), pur se ammansito da un messaggio umanitario di solidarietà, vada o non vada incontro al nuovo corso della cultura della destra di governo dei Buttafuoco-Sangiuliano-e dell’ormai fuori dai giochi Sgarbi.
Alla fine questo teatrino può non fare bene nemmeno al film. Ma, sulla scia del coraggio del comandante Todaro, devo dire che è innegabile anche il coraggio di tutta l’operazione. Coraggio anche nell’esagerare coi napoletani e con l’idea che i belgi hanno inventato le patatine fritte.