COSE DI COSA NOSTRA - IL RITORNO DEI FEDELISSIMI DI TOTO' RIINA: 11 FERMI. “AVEVANO RIORGANIZZATO IL CLAN IN PROVINCIA” - TORNA IN CELLA MICO FARINELLA: ERA STATO SCARCERATO NEL 2019, DOPO 25 ANNI. DA VOGHERA (AL SOGGIORNO OBBLIGATO) AVEVA RIPRESO IL COMANDO DEL MANDAMENTO DI SAN MAURO CASTELVERDE. AFFARI CON LE FORNITURE DI CARNE E CON L’OKTOBERFEST…
-SALVO PALAZZOLO per repubblica.it
Era tornato in libertà nell’aprile del 2019, dopo 25 anni. Il boss Domenico Mico Farinella, fedelissimo del capo dei capi Totò Riina, aveva scansato l’ergastolo grazie a un ricalcolo della pena basato sull’indulto.
E subito aveva ripreso il controllo del suo clan, nel paese di San Mauro Castelverde, il cuore della provincia di Palermo, fra le Madonie, i Nebrodi e il mare. Questa notte, i carabinieri del nucleo Investigativo del comando provinciale e della Compagnia di Cefalù lo hanno riarrestato, era a Voghera, dove era stato inviato al soggiorno obbligato dopo la scarcerazione: da lì comandava, attraverso il figlio Giuseppe, 27 anni, che stava in Sicilia. Sono 11 complessivamente i provvedimenti di fermo, uno eseguito a Vicenza.
L’ultima indagine della direzione distrettuale antimafia di Palermo, diretta dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Salvatore De Luca, racconta di un clan che era tornato a pressare imprenditori e commercianti della provincia, per il pagamento del pizzo. Ma questa volta, quattro operatori economici si sono ribellati e hanno denunciato gli uomini di Cosa nostra ai carabinieri: fra loro, c'è Francesco Lena, il patron dell'Abbazia Sant'Anastasia, che nel 2010 era stato arrestato per mafia, ma poi era stato assolto.
“Le denunce sono un segnale importante – dice il generale Arturo Guarino, il comandante provinciale di Palermo – perché arrivano da persone che lavorano in quel territorio che i mafiosi volevano conquistare nuovamente”. Nei giorni scorsi, altri due imprenditori, a Palermo, hanno detto no alle richieste degli esattori del racket, denunciando. “Nel momento in cui più persone si ribellano alle logiche del pizzo – dice ancora il comandante provinciale dei carabinieri – abbiamo la possibilità di dare colpi sempre più importanti all’organizzazione mafiosa, che intanto non si rassegna e fa leva sulla propria memoria storica per essere riconoscibile e imporsi”.
Farinella è un cognome che da diverse generazioni vuole dire mafia in provincia di Palermo. Il padre di Mico era Peppino Farinella, componente della commissione provinciale di Cosa nostra, la Cupola di Riina che decise le stragi del 1992. Un tempo, u zu Peppino era amico del “papa” di Cosa nostra, Michele Greco, a cui aveva assicurato un rifugio sicuro fra le campagne delle Madonie. Quando gli equilibri cambiarono nell’organizzazione, Peppino Farinella non esitò a passare con i vincenti, i Corleonesi Riina e Provenzano.
Un patto rimasto sempre saldo. E tanti anni dopo, all’indomani del delitto dell’europarlamentare Dc Salvo Lima e alla vigilia della stagione delle bombe del 1992, Farinella esultava (e non sospettava di essere intercettato): “Finalmente si sono messi a romperci le corna, cioè finalmente abbiamo messo mano. Se c’è bisogno sono a disposizione”. Più di recente, uno dei mafiosi del clan si vantava: "Sono i numeri uno del paese, non si è pentito nessuno... qui non si pente nessuno.. San Mauro numero uno, perché mi voglio vantare". A Corleone e a San Mauro non c'è mai stato un pentito di mafia.
Oggi, alle vittime di Cosa nostra era imposto di pagare il pizzo o di acquistare forniture di carne da una macelleria di Finale di Pollina gestita da Giuseppe Scialabba, il braccio destro di Farinella junior. Pressioni mafiose si erano manifestate anche nell’organizzazione dell’Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina: era stato devastato lo stand di un commerciante che non si era piegato al clan.
Oltre ai fermi è scattato anche il sequestro di un’agenzia di scommesse che i Farinella gestivano a Palermo e di un’attività di prodotti sanitari, a Finale di Pollina. Valore stimato dei beni, un milione di euro.