1. DAGO NEL PAGLIAIO - INTERVISTA DI REPUBBLICA.IT PER IL VENTENNALE E RICICCIANO LE VECCHIE SOLFE – ‘’DAGO-PORNO’’? INTANTO IL SESSO E’ LA BENZINA DELLA VITA. SECONDO: PER CHI VUOLE GODERE CULI E TETTE CI SONO CENTINAIA DI SITI E HUB PRONTI PER IL MOUSE, NON VA SU DAGOSPIA – POI CONCETTO VECCHIO FA LA VECCHIA DOMANDA: “IL FACCENDIERE LUIGI BISIGNANI È IL DEUS EX MACHINA DI MOLTE TRAME EDITORIALI?”. RISPOSTA: DATO CHE BISIGNANI ERA IL BRACCIO DESTRO DI GIANNI LETTA ALL’EPOCA DEL GOVERNO BERLUSCONI, UN GIORNALISTA PER AVERE NOTIZIE A CHI TELEFONA, ALLA PARRUCCHIERA DI LILLI GRUBER?
2. MA LA RUOTA GIRA: OGGI NELLE INTERCETTAZIONI DI PALAMARA BRILLA IL NOME DELLA MILELLA (''REPUBBLICA''), “REA” DI AVER CHIESTO NOTIZIE ALL'EX PRESIDENTE DELL’ANM. ERGO: PALAMARA È IL DEUS EX MACHINA DI MOLTE TRAME EDITORIALI DI "REPUBBLICA"? - VIDEO
20 ANNI DI DAGOSPIA - IL SERVIZIO DEL TG2
Concetto Vecchio per “Rep – la Repubblica”
"Io all'inizio ero partito con l'idea di fare un blog, una rubrica di costume, tipo quella che facevo per l'Espresso, poi la grande finanza ha cominciato a inondarmi di notizie riservate. Mi usavano, ma sempre notizie erano".
Sabato pomeriggio. Dagospia oggi compie 20 anni e il suo padre, Roberto D'Agostino, è a Sabaudia, per una prima fuga al mare. "Sentiamoci tra qualche minuto, che non trovo le chiavi per entrare nella proprietà, mannaggia".
Poi richiama lui e racconta come tutto è iniziato: la storia di un sito del costume italiano, che mescola senza sovrastrutture alto e basso, politica e sesso, scoop e pettegolezzi maligni. "Una grande portineria digitale", come l'ha definita il suo autore una volta.
Dice: "La svolta è avvenuta quando un giorno Francesco Cossiga mi ha spiegato come funzionava il potere in Italia. Lì ho capito tutto".
E com'è il potere? "Non è Conte che sta a palazzo Chigi, il vero potere è nelle mani di chi ce l'ha messo lì. Da allora le mie fonti sono i capi di gabinetto o i capi delle segreterie, mai i ministri: anche perché quelli passano e i burocrati restano. Del resto, diciamolo, se non ci fosse stato il virus, Conte sarebbe già a casa da un bel pezzo".
Quando nasce, il 23 maggio 2000, culturalmente sono gli anni del berlusconismo trionfante. Il suo simbolo è una bomba dispettosa, pronta a deflagrare dietro le quinte del proscenio.
Denuncia sin dal nome - spia - di giocare a carte scoperte, senza ipocrisie. I temi del primo numero furono lo scontro tra Carlo Rossella e Cristina Parodi, rispettivamente responsabile e conduttrice di "Verissimo".
I retroscena della causa di Donatella Dini a "Striscia la notizia". Le polemiche sulla terza media di Ottaviano Del Turco. Il gossip sulle vicende matrimoniali di Umberto Veronesi. Le foto delle nozze di Claudio Martelli. In fondo, non è cambiato molto nel teatro pubblico italiano.
Roberto D'Agostino, romano di via dei Volsci, nel quartiere di San Lorenzo, famoso per essere stato il quartier generale dell'Autonomia operaia, a luglio compie 72 anni. Il padre era un saldatore, la mamma bustaia. È ragioniere. Fino a 30 anni ha lavorato in banca, alla Cassa di Risparmio di Roma. Poi ha fatto il disc jockey del programma radiofonico "Bandiera Gialla", l'inviato per la trasmissione tv "Mister Fantasy", prima di iniziare a fare "lo scemo in televisione".
È Renzo Arbore a lanciarlo, come lookologo a "Quelli della Notte". E' il 1985, gli anni del riflusso e della Milano da bere. D'Agostino inventa un neologismo, edonismo reaganiano, che definisce un'epoca e fa la sua fortuna. E' irriverente, spiazzante, eccessivo. Tre anni dopo è ospite fisso a "Domenica In", diretta da Gianni Boncompagni. E' il momento della notorietà. Sono anni selvaggi, in cui tutta l'architettura della cultura novecentesca italiana, fatta di ideologie pesanti e morale cattolica, viene smontata pezzo dopo pezzo.
La televisione rispecchia questo smontaggio. Lo schiaffo che D'Agostino infligge a Vittorio Sgarbi durante "L'istruttoria" di Giuliano Ferrara nel 1991 segna il passaggio di una linea d'ombra. Poi D'Agostino ha scritto nove libri e diretto persino un film, nel 1992: "Mutande pazze", con Monica Guerritore, Eva Grimaldi, Raoul Bova.
Dago, come lo chiamano tutti, esalta il pettegolezzo come bisogno primario. Un taglia e cuci di indiscrezioni, per un pubblico fatto di establishment e media, avido di indiscrezioni e cattiverie su politica, finanza, Vaticano, economia. La guida spirituale, agli inizi, è Francesco Cossiga, "noto spione", come disse D'Agostino. Il suo slogan è sempre stato: "In un Paese serio Dagospia non esisterebbe". E' invece diventa presto un fenomeno da studiare.
Un anno fa lo hanno invitato a Oxford, a tenere una lectio magistralis, e i più grandi giornali del mondo, dal New York Times allo Spiegel, vi hanno dedicato lunghi articoli. La sua linea editoriale è presto riassunta: "Il lettore vuole leggere qualcosa di intelligente e un minuto dopo vuol sapere chi ha dormito con chi". Perciò l'Herald Tribune lo ha paragonato ad Andy Warhol e Tom Wolfe.
La sua specialità, talvolta discutibile, sono i soprannomi. Monti è Rigor Mortis. Berlusconi Pompetta o Banana. Bertinotti Berti-Nights. Romano Prodi Mortadella. Alemanno Aledanno. "L'Italia in questi venti anni è cambiata in un aspetto decisivo: la finanza e l'economia hanno preso il sopravvento sulla politica. Io all'inizio confesso che non ci capivo nulla. E' stata una scoperta. E del resto siamo un paese dove Cuccia contava più di un premier. E' l'economia che finisce per rovesciare Berlusconi. Quello che non mi sarei mai aspettato che un Conte o una Azzolina avrebbero un giorno governato il Paese, ecco lì ti cadono le braccia".
Come lavora Dago? "Per i primi 15 anni la mia redazione era in una stanza, io e pochi collaboratori, ma sembrava un capannone di cinesi. Poi mia moglie, stanca del fatto che quasi ogni giorno si presentassero poliziotti e finanzieri con in mano una querela o una citazione danni, ha minacciato di cacciarmi di casa. Allora me ne sono andato al piano di sotto. Ho una squadra di cinque persone. Prima del Covid avevamo una media di tre milioni di pagine viste al giorno, col lockdown sono schizzate a 5 milioni. Gli utenti unici sono 700mila.
Campiamo grazie alla pubblicità. Abbiamo un record: siamo il sito dove in media un utente si sofferma più di tutti, 8 minuti. Il pezzo che ha fatto più audience di sempre è stata una ricerca, ripresa dal Daily Mail, secondo la quale le uova non bisogna metterle in frigo". D'Agostino ride. "Le uova in frigo! Capisce? Ha battuto tutte le aperture su Rocco Siffredi e Valentina Nappi".
È diventato ricco? "Magari!. In America lo sarei già da un pezzo. Ho avuto un sacco di guai. Mi hanno querelato tutti, dai Savoia a Cossutta. Querele spesso temerarie, infondate, come spesso avviene col potere italiano. Se non mi aiutava mia moglie, riempiendo ogni sera il frigo, sarei finito sul lastrico".
"Non so bene, perché ha avuto successo. Quando partii Paolo Mieli mi mise in guardia: "Internet è come il borsello, una moda stagionale". Ma io leggevo eccitato tutto quello che poteva trovare su questi della Silicon Valley e mi pareva che fosse un mondo che valesse la pena esplorare".
Forse Dagospia ha avuto successo perché in un paese cattolico vellica l'animo pecoreccio, per cui la buona borghesia vi ritrova ogni giorno il suo lato oscuro camuffato da sito di notizie? Roberto D'Agostino ha inventato del resto un neologismo, Cafonal, per dare corpo a questo sentimento.
"Cafonal non vuol dire cafone. E' invece il buffo e grottesco di un ceto che vuole imitare un modello più alto senza averne le qualità. E' un parterre che conosco benissimo, avendo frequentato per una vita le feste romane. Era l'Italia di Capital, la rivista che celebrava i condottieri. Figure che aspiravano ad essere l'avvocato Agnelli, senza averne il talento, e che correvano da Caraceni a farsi i vestiti sui misura come lui, senza averne la classe".
E poi, una volta giunti ai ricevimenti, si avventavano sul buffet senza ritegno, ripresi dall'obiettivo del fotografo Umberto Pizzi. "Quando Paolo Sorrentino girò "La Grande Bellezza", venne prima da me, e mi chiese una consulenza. Gli dissi: "Roma è difficile e complicata, per il semplice fatto che i romani non confondono mai la cronaca con la storia. Roma non è mica Posillipo, comunque poi me lo portai in giro lo stesso, e lui in effetti capì che era una città molto più complessa di come l'aveva immaginata".
Senza Dagosex, la sezione porno del sito, i numeri sarebbero gli stessi? "Ora, premesso che il sesso è il motore della vita, aggiungo subito che non è vero che vengono sul sito per questo, se vuoi vedere il porno vai su Youporn, che fa 3 miliardi di pagine".
Resta il fatto che Dagospia vive spesso dei pezzi altrui: del copia e incolla delle fatiche dei giornalisti. Le sembra corretto? "Ma io ci metto i titoli più eccitanti e vi do un'interpretazione che fa rivivere il pezzo. Ci sono fior di giornalisti, di cui non faccio i nomi, che chiamano per farsi riprendere da Dago, del resto siamo noi una boutique, non un supermarket".
E il faccendiere Luigi Bisignani è il padrone occulto, il deus ex machina di molte trame editoriali? D'Agostino si inalbera. "Ecco un'altra cazzata!". Però spesso, insistiamo, non si capiscono quali sono i confini tra una notizia e gli avvertimenti anonimi spediti al malcapitato di turno. "Ma almeno i politici li avviso dei guai che potrebbero combinare", taglia corto Dago.
Insomma, pur con i suoi vizi e i suoi eccessi, Dago è pur sempre una storia di successo, un pezzo del carattere italiano, di cui amplifica vizi, provincialismi e ossessioni. "Ho un solo padrone ed è algoritmo: mi dà in tempo reale il gradimento di ogni pezzo, sul sito e sui social. Internet ha questo di rivoluzionario: il cliente ha sempre ragione, e noi dobbiamo servirlo".