DIVERSI CARDIOLOGI HANNO CONFERMATO CHE IL VINO NON FA PER NIENTE MALE" - ANTONIO RIELLO POLEMIZZA CON ANTONELLA VIOLA SECONDO CUI IL VINO DANNEGGIA IL CERVELLO: "TROVO SBAGLIATO ETICHETTARE COME DANNOSO IL CONSUMO DI ALCOL A PRESCINDERE DALLE QUANTITÀ ASSUNTE E DALLA TIPOLOGIA DELLA BEVANDA SCELTA. SENZA CONTARE CHE LA FILIERA DEL VINO IN ITALIA VALE ALMENO 14 MILIARDI DI EURO. E L’EXPORT, NEL 2022, HA RAGGIUNTO LA CIFRA RECORD DI 8 MILIARDI DI EURO..."
-Antonio Riello per Dagospia
Infuria la polemica su quanto possa ledere la nostra salute il vino e – paradossalmente – a scatenarla – sulle pagine dei media italiani – è stata una biologa che da anni vive e lavora in Veneto. Patria del Prosecco e dell’Amarone.
Essendo cresciuto anch’io nel Veneto, sono conscio e preoccupato - come tutti del resto - dai molti e infidi danni procurati dall’abuso di alcoolici. Allo stesso tempo mi sento di aggiungere che, se la biologa in questione avesse per davvero ragione, le campagne delle Tre Venezie dovrebbero essere deserte da secoli. Insomma, la popolazione si sarebbe da tempo tranquillamente auto-estinta.
Seriamente vale la pena forse di dare voce a quelli che, con tutta la prudenza e la responsabilita’ che il caso richiede, hanno deciso di mettere in risalto i pregi e i benefici che ne possono derivare dall’alzare un buon calice di rosso o di spumante. Tra loro anche una pattuglia di medici (delle più disparate specializzazioni mediche, finanche dermatologi, urologi e oculisti) protagonisti di un librino, Calici & Camici (edito da Cinquesensi) scritto da Paolo Brinis. Un giornalista televisivo con una lunga militanza tra vigneti e cantine, che da diversi anni cerca di promuovere la cultura enologica, all’insegna del bere consapevole.
Ebbene, tutti i professionisti intervistati, a cominciare dai cardiologi (fatto salvo il veterinario, che però faceva riferimento ai nostri amici a quattro zampe), hanno confermato che un approccio olistico al vino non fa per niente male.
Insomma, il vino ci può essere amico. E a dircelo non sono frequentatori di osterie e incalliti wine-bevar, ma primari e professori universitari. Certo, se teniamo alla nostra salute, bisogna bere poco e bere bene, cercando sempre la qualità, come peraltro dovremmo fare ogni giorno acquistando i prodotti dell’agro-alimentare.
Trovo quindi sia sbagliato etichettare come dannoso il consumo di alcol a prescindere dalle quantità assunte (senza distinguere tra uso et abuso) e dalla tipologia della bevanda scelta. Cercando di intimorire il consumatore con dei claim allarmistici sulle bottiglie di vino, come quelli che campeggiano sui pacchetti di sigarette, e dimenticando tutto ciò che sta intorno al “pianeta vino”.
Trascurando la necessità di educare ad un bere corretto, affinché le nuove generazioni possano comprendere che dentro ad un bicchiere di vino troviamo cultura, tradizioni, terroir, socialità, famiglie, ricerca, arte. Penso ad esempio al Museo Lungarotti, in Umbria, dove con rigore scientifico e qualità delle collezioni si raccontano 3000 anni di storia del vino. O ai vigneti sperimentali in alta quota, oltre i 1300 metri, a Cortina e Sappada. O alle cantine progettate da architetti e scultori come Zaha Hadid, Renzo Piano, Arnaldo Pomodoro, solo per citarne alcuni. Che dire poi di certe etichette che impreziosiscono le bottiglie? Gli artisti sono tanti, Fabrizio Plessi, Stefano Vitale, Luigi Ontani, Milo Manara, Gilbert & George solo per citarne alcuni.
Senza dimenticare l’economia. La filiera del vino in Italia vale almeno 14 miliardi di euro. L’eno-turismo ogni anno attira nel Belpaese milioni di turisti stranieri. E l’export, nel 2022, ha raggiunto la cifra record di 8 miliardi di euro.
Risulta evidente quindi quanto sia necessario comunicare, in maniera corretta ed equilibrata, i rischi, ma anche i benefici conseguenti all’assunzione di vino. Si puo’ ragionevolmente dubitare che la soluzione migliore – come vorrebbe l’Unione Europa – sia farlo con una serie di minacciose avvertenze, che potrebbero avere conseguenze davvero penalizzanti per la produzione vitivinicola dei maggiori produttori continentali, Italia in primis. La questione comunque non e’ solo di carattere igienico-sanitaria. La prevenzione e’ importantissima, ma non si vive solo di quella.
La questione e’ culturale e, in qualche modo, geopolitica. Il vino appartiene intimamente alla Civilta’ Europea, per un evidente intreccio di tradizioni religiose, agricole, sociali, alimentari (e perfino letterarie). Demonizzare il suo lato enologico equivarrebbe a demonizzare una parte importante della sua intima identita’ (soprattutto per quel che riguarda Francia, Italia e Spagna). Certo che la UE lo puo’ fare, ma allora risuona legittima la solita domanda: chi e cosa rappresenta davvero la UE?