GIORGIO ASSUMMA, MEMORIE DI UN AVVOCATO TRA LE STELLE DELLA RAI – “PINO DANIELE PREFERÌ DORMIRE DA ME DOPO UN'OPERAZIONE DELICATA - CLAUDIO BAGLIONI SI RUPPE IL LABBRO IN UN INCIDENTE E PER UN PO' DECISE DI NON FARSI VEDERE IN GIRO, COSÌ VENNE NELLA MIA CASA IN CAMPAGNA - ALBERTO SORDI? ERA OCULATO, NON TIRCHIO. IL CAMPUS BIOMEDICO DI ROMA NASCE GRAZIE A UN SUO LASCITO. OGNI MESE FACEVA RECAPITARE UNA BUSTA A UN COLLEGA INDIGENTE - MARIA DE FILIPPI MI CHIESE UN ESPERTO DELLA COMUNICAZIONE CHE PRESENTASSE UN NOIOSO CONVEGNO SUL DIRITTO D'AUTORE CHE LEI AVEVA ORGANIZZATO A VENEZIA. SUGGERII MAURIZIO COSTANZO” - “QUANDO DIVENNI PRESIDENTE DELLA SIAE, COSSIGA MI BUTTÒ GIÙ DAL LETTO ALLE SEI DEL MATTINO PER DIRMI “RICORDATI CHE IN ITALIA C'È UN SOLO PRESIDENTE: SONO IO", POI MISE GIÙ...”
-Concetto Vecchio per il Venerdì – la Repubblica
L'avvocato Giorgio Assumma, 87 anni, è piccolo e scattante. «Qui c'è la mia vita» dice aggirandosi con il sigaro tra le labbra nel suo studio dietro la Rai. Alle pareti, quadri di valore e foto ricordo con le star del cinema e della canzone di cui per sessant' anni è stato il legale e il confidente.
Ricorda il primo cliente?
«Giacomo Rondinella detto ‘o chiagnazzaro’ per il suo repertorio lacrimevole».
Ha appreso tanti segreti?
«Quando litigavano con le mogli o con le compagne si rifugiavano da me».
Chi?
«Non glielo dico. Però Pino Daniele preferì dormire da me dopo un'operazione delicata. Claudio Baglioni si ruppe il labbro in un incidente e per un po' decise di non farsi vedere in giro, così venne nella mia casa in campagna».
Il più simpatico?
«Forse Renato Zero. Guardi questa sua foto con dedica. Mi ha scritto: "Pensandoci su non avrò altro io al di fuori di te"».
È difficile trattare con i fuoriclasse?
«Naturalmente sono degli egocentrici e questo è un bene: perché se non sei concentrato totalmente sulla tua arte è difficile che tu possa poi realizzare grandi cose».
Chi è stato il più accanito di tutti?
«Ennio Morricone. Ripeteva sempre: "Io ogni giorno devo mettermi dinanzi allo spartito bianco anche se non ho la minima idea di come riempirlo"».
Il più avaro?
«Non Alberto Sordi».
Aveva questa fama.
«Era oculato, non tirchio. Il Campus Biomedico di Roma nasce grazie a un suo lascito. Ogni mese faceva recapitare una busta a un collega indigente. Un pomeriggio mi trovai in un istituto di bambini poveri gestito dalle suore e chiesi loro perché tenessero la foto di Alberto alla parete: "Tutto questo è merito suo", risposero».
Sordi era complesso?
«Embé, basti pensare che da cattolico andava a messa ogni domenica, ma decise di non mettere su famiglia».
Non voleva estranei in casa?
«Non si fece mai mancare le donne, ma accanto a sé volle solo sua sorella Aurelia, che visse per lui, rinunciando anche agli amori».
Lei ha assistito anche Renzo Arbore.
«Mi raccontò che sua madre ospitava una modista che da Bologna raggiungeva la Puglia per proporre alle signore di Foggia i cappelli che disegnava. Portò con sé il figlio, che però faceva i capricci. La madre allora disse a Renzo di andare a prendergli un gelato. Tanti anni dopo, a Roma, quel bambino, ormai uomo fatto, avvicinò Renzo: "Buonasera, sono Lucio Dalla"».
I suoi clienti erano cattolici o democristiani, come Pippo Baudo.
«Baudo è un genio. La Rai lo dovrebbe coinvolgere ancora. Facciamo spesso delle sfide intellettuali e non lo trovo mai impreparato».
Circolavano tanti soldi?
«Enormemente. Il mondo dello spettacolo negli anni del Boom fu un'industria grandiosa, gli attori incassavano anche le percentuali sugli incassi».
Oggi non è più così?
«Ma non abbiamo nemmeno più Sordi, Tognazzi, Gassman».
Frequentava via Veneto?
«Mi tenevo a distanza, costava tutto tantissimo. D'estate per rendermi più indipendente andavo a fare il cameriere a Ischia».
Non era sorprendente per un figlio della borghesia?
«Sì, ma furono esperienze formative. Servivo ai tavoli di "O' rangio fellone": mi davano solo la cena, però incassavo le mance dei turisti americani e tedeschi».
E dove dormiva?
«In tenda. Una mattina arrivò un signore atletico, faceva esercizi ginnici. Gli chiesi se volesse una tazzina di caffè: era Burt Lancaster».
Lei lavora ancora?
«Come un pazzo, ma con immutato piacere».
Come mantiene l'entusiasmo?
«Edilio Rusconi, con cui ci siamo sentiti ogni sera per più di vent'anni, mi ha insegnato che bisogna sempre porsi degli obiettivi nuovi: amare le sfide».
Vi sentivate ogni sera?
«Sì, e ci siamo sempre dati del lei. Rusconi come tanti grandi uomini era molto solo».
Volle produrre un film su De Gasperi.
«La regia venne affidata a Roberto Rossellini, che giunse dall'America e lo montò in un solo giorno. Venne proiettato in appena due sale. Un flop totale».
Perché farlo allora?
«Glielo aveva chiesto Fanfani; l'Italnoleggio, che lo distribuiva, per mezzo della Dc, coprì i costi di produzione. Rusconi non ci rimise».
Lei ha sempre votato Dc?
«Non sempre. Un po' più a destra all'inizio».
Cioè?
«Nel Dopoguerra una volta votai Movimento sociale italiano, stimavo Pino Romualdi».
È vero che Cossiga la chiamava alle sei del mattino?
«Quando divenni presidente della Siae, mi buttò giù dal letto per dirmi "Ricordati che in Italia c'è un solo presidente: sono io", poi mise giù».
Lei è dell'Opus Dei?
«Sì, mi piace la raccomandazione del fondatore Escrivá De Balaguer per cui bisogna santificare il lavoro con allegria».
L'Opus Dei è visto spesso con sospetto.
«È giudicato, a torto, un mondo di relazioni, una massoneria, ma è pieno di gente che invece fa bene il proprio lavoro. E coltiva il sentimento dell'amicizia».
Come diventò l'avvocato di Enzo Bearzot?
«Mi chiamò lui spaventatissimo, perché era stato citato come testimone nell'inchiesta sui presunti fondi neri agli azzurri che avevano vinto il Mundial 1982. Andai a Milano, lo tranquillizzai, ma quando entrò dal magistrato era pallido come un cencio; quando uscì disse: "Questo giudice capisce di calcio più di me"».
Com'era Bearzot?
«Onestissimo. Mi chiese di accompagnarlo al Coni per la festa di congedo da ct, nel 1986. Gli regalarono una penna. Uscendo la diede a me: "La conservi lei". Quando arrivai a casa la tolsi dall'astuccio e vidi che mancava il pennino».
È vero che ha fatto conoscere Maria De Filippi a Maurizio Costanzo?
«Indirettamente. Maria mi chiese un esperto della comunicazione che presentasse un noioso convegno sul diritto d'autore che lei aveva organizzato a Venezia. Suggerii Maurizio Costanzo».
Lei ha scritto anche il necrologio di Morricone.
«No, l'ha scritto lui: "Io, Ennio Morricone, sono morto". Io l'ho solo diffuso».
Eravate molto legati.
«Un giorno Ennio fu chiamato a rendere una testimonianza in tribunale, a Roma. Gli dissi di aspettarmi all'ingresso, che lo avrei raggiunto lì, finita la mia udienza, perché là dentro si sarebbe perso. Nel frattempo scoppiò un temporale mondiale. Uscii per andarlo cercare e Morricone era fermo laddove gli avevo chiesto di aspettarmi: tutto inzuppato».
Qual è la sua giornata tipo?
«Mi sveglio alle quattro e lavoro, studio, leggo, dirigo una rivista sul diritto d'autore».
A che ora va a letto?
«Alle nove e mezzo. Dopo i 40 anni ho smesso di mangiare i dolci, poca carne, tante verdure, soprattutto zucchine».
Perché continua a lavorare così tanto?
«Perché altrimenti muoio. Vorrei finire i miei giorni su questa scrivania, con un ultimo ruggito di orgoglio e con un sorriso di gratitudine verso il Signore».