IMEN CHE NON SI DICA - FULVIO ABBATE SU IMEN JANE: ''IL FALSO LAUREATO, COSÌ COME IL FALSO DENTISTA, È UN TOPOS, ANZI, UNA CARTA VALIDA E IRRINUNCIABILE DEL MERCANTE IN FIERA COMUNQUE PROFESSIONALE NAZIONALE. IL MODELLO BASE DI QUESTO GENERE DI VICENDE, SOLO IN APPARENZA AMORALI, MOSTRA IL DENTISTA, CON TANTO DI TARGA D’OTTONE VISIBILE A BORDO STRADA; IMPROVVISAMENTE, UNA MATTINA I SUOI AFFEZIONATI PAZIENTI, SE LO VEDONO PORTARE VIA, SCORTATO DA DUE SCONOSCIUTI, PROPRIO COME JOSEPH K. NEL RACCONTO DI KAFKA''
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Fulvio Abbate per www.huffingtonpost.it
Il falso laureato, così come il falso dentista, è un topos, anzi, una carta valida e irrinunciabile del Mercante in Fiera comunque professionale nazionale, egli o ella esistono ben al di là, meglio, come direbbe Totò, già cavaliere proprietario della Fontana di Trevi, a prescindere dall’agognato cosiddetto “pezzo di carta”.
Il caso più recente inquadra una giovane e apprezzata economista, che sembra avere conquistato direttamente in rete il suo palmarès professionale, la ventiseienne Iman Boulahrajane, alias Imen Jane. La stessa che sui social dichiara invidiabilmente di “insegnare l’economia in 15 secondi”. Roberto D’Agostino, dalle pagine del suo sito Dagospia, garantisce però che “Imen non solo non sia economista (come dichiarava nella biografia e in diverse interviste), ma non sarebbe nemmeno laureata in economia alla Bicocca, né in altre facoltà universitarie”. Anche la visura camerale presenta un buco nero.
Il castello è venuto giù durante un evento online della banca d’affari Goldman Sachs, quando qualcuno, per eccesso di minuzie, le ha domandato in cosa fosse laureata, ricevendo una risposta muta.
In questo genere di vicende l’attendibilità professionale, così come la fermezza moralistica possono davvero apparire simili a concetti fuori luogo. Innanzitutto perché, a dispetto di tutto, e dello stesso falso in atto pubblico, incredibilmente il talento non può essere censito da una norma, meglio, da un diploma, dunque perfino in assenza di un certificato, un’abilitazione potremmo comunque essere in presenza di un genio inarrivabile; tutti ricordano infatti che il nostro Benedetto Croce era sprovvisto di laurea.
Tornando alle bugie da applicare ai titoli, come nell’arringa dell’avvocato interpretato dallo stesso Vittorio De Sica nel suo “Giudizio universale” - i falsi cav., cav. uff., comm., gr. cr. - anch’io, se proprio vogliamo essere rigorosi, guardando dentro le zone d’ombra della mia stessa famiglia, avrei da raccontare storie di simili imposture. Penso a un parente che si è inventato chirurgo, perseverando nell’abominio pure in terra straniera perfino dopo essere stato scoperto e denunciato; addirittura pure l’avvocato che ne aveva assunto la difesa si scoprirà essere anch’egli, come in un ambo, estraneo a ogni ordine professionale.
Sembra tuttavia che quando i carabinieri gli si sono accostati per notificargli l’avviso di reato abbiano provato ammirazione per le sue capacità illusionistiche. E ancora vorrei ricordare il caso dell’amico Giannino, le mie convinte parole si sostegno pubblico affinché Oscar non si piegasse davanti a chi pretendeva da lui l’inutile ostentazione di chissà quali master. Nel difenderlo ho proprio detto che avrebbe dovuto insistere pervicacemente, sostenendo d’essere in possesso di titoli inoppugnabili. Come la patafisica insegna.
Il modello base di questo genere di vicende, solo in apparenza amorali, mostra il dentista, con tanto di targa d’ottone visibile a bordo strada; improvvisamente, una mattina i suoi affezionati pazienti, se lo vedono portare via, scortato da due sconosciuti, proprio come Joseph K. nel racconto di Kafka, loro che stavano, appunto pazienti, in fila non possono fare a meno di scuotere la testa, se non versare copiose lacrime al pensiero che un professionista così attento umano straordinario, e anche così garbato, difficilmente sarà sostituibile.
D’altronde, non posso dimenticare che un avvocato, in questo caso autentico e garantito, un tempo, davanti al mare della Costa Smeralda, raccontava che lui i truffati non li difendeva, in quanto responsabili d’essersi fatti fregare. Crudele considerazione eppure comprensibile nel Paese dove, nonostante le parole di Boccaccio sulla furbizia come sottomarca dell’intelligenza, ugualmente il furbo alla fine raccoglie pacche di incoraggiamento e, mentre si allontana di spalle come in un film di Hollywood, sembra quasi di sentirle le considerazioni d’apprezzamento, le voci di dentro che chiaramente pronunciano: “Chiamalo fesso!”