IRAMA, UN TIPINO ROMPINO: “LE FIDANZATE MI ODIANO, CON ME LE VACANZE FINISCONO DOPO 4 GIORNI. ANDAVAMO DALL’ALTRA PARTE DEL MONDO E DOPO 96 ORE ME NE DOVEVO GIÀ ANDARE” - MARIA DE FILIPPI LO HA SOPRANNOMINATO “IL RAGAZZO PARANOIA”: “HO MILLE FISIME, MANIE, A PARTIRE DALL’IPOCONDRIA” – “I SOCIAL? MI SONO SEMPRE SENTITO UN COGLIONE A FILMARE QUALSIASI COSA VEDESSI ANZICHÉ VIVERLA” – E POI RACCONTA I TATUAGGI ISPIRATI A… - VIDEO
Renato Franco per corriere.it
Vive di notte e dorme di giorno, è di buona famiglia ma è cresciuto in strada, i genitori a occhio li ha fatti diventare matti, Maria De Filippi lo ha soprannominato «Il ragazzo Paranoia», non ha finito gli studi ma si appassiona appena parla di antico Egitto. Camaleontico nella musica e nei look, si scioglie sempre quando ricorda sua nonna (che non c’è più e a cui ha dedicato «Ovunque tu sarai»). Irama — vero nome Filippo Maria Fanti — è nato a Carrara 26 anni fa ma è cresciuto a Monza. Nel suo curriculum di cantante ci sono 39 dischi di platino mentre gli streaming arrivano a oltre 1 miliardo e 600 milioni.
Per tanti ragazzi lei è un mito. Il suo qual è?
«Non penso ovviamente di essere un mito e non ho mai mitizzato nessuno, mi piace pensare che ci sono state persone che mi hanno cresciuto anche involontariamente a livello artistico. Da bambino Guccini e De André erano i miei punti di riferimento: Re Carlo di De André la vivevo come una favola, la ascoltavo in loop come fosse una storiella. Cirano di Guccini mi piaceva per l’immaginario creato dentro una storia meravigliosa».
La sua famiglia?
«Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di grande cultura. Mia nonna era un’insegnante di letteratura e se le portavo un libro lei non lo apriva nemmeno e mi raccontava subito il contenuto. Mio nonno mi parlava in latino e mi raccontava anche le cose sconce che accadevano all’epoca. I miei genitori sono avvocati, ma mia mamma ha lasciato il lavoro per crescere i figli, mentre mio padre lavorava in un’azienda. Il mio rammarico è non aver studiato di più...».
Che adolescenza ha vissuto?
«Sono cresciuto tanto per strada, ho vissuto il mondo dei quartieri nel bene e nel male. All’epoca a Monza sembrava di stare nel film I guerrieri della notte, una battaglia tra bande. Ho avuto esperienze molto brutte che mi hanno formato; ho anche rischiato di morire ma non voglio parlarne.
Chi ne parla di più è chi non sa un c... di strada, chi racconta di essere stato un gangster non sa neanche cosa sia. Andavo a casa di amici che non avevano nemmeno le porte, avevano genitori che erano una catastrofe, ho visto scene terribili ma molti di quei ragazzi erano migliori di altri, non enfatizzavano il concetto di criminalità e cercavano di uscirne. L’adolescenza è un momento delicatissimo, subisci influenze negative e positive e sta a te fare la sintesi, trovare le persone giuste. Per me è stato un bel bagaglio di esperienza».
La scuola che ruolo aveva?
«Iniziai con il Classico, poi ho frequentato tanti licei, ma a 17 anni ho avuto il mio primo contratto discografico e già mi dedicavo alla musica».
«Tanti licei»? Quante volte è stato bocciato?
«Non ci andavo proprio a scuola. A un preside chiesi se potevo fare gli esami quando avevo finito una serie di concerti: posso recuperare la settimana dopo? “No, se non vieni prendi zero”, mi rispose. Avrei dovuto fare le private, ma ero troppo preso dalla musica».
I suoi come reagirono?
«Quando a 17 anni ho dimostrato loro di sapermi mantenere da solo, che avevo trovato la mia strada, che avevo qualcosa di concreto in mano, si calmarono perché capirono che la musica era davvero quello che volevo fare. Non era solo un sogno ma stava diventando il mio lavoro. Ancora adesso però mi fanno le battutine perché non ho finito le scuole».
Ha esordito tra le Nuove Proposte di Sanremo. C’erano anche Mahmood, Ermal Meta e Francesco Gabbani.
«Fu un’annata magica grazie alle scelte di Carlo Conti che ci scoprì tutti quanti. Mi iscrissi mettendomi in fila come dal salumiere, prendendo il mio ticket e aspettando che qualcuno mi chiamasse. Mi notarono e da lì iniziò il mio percorso, travagliato, pieno di alti e bassi».
Nel 2018 vinse «Amici».
«Lì mi rimisi in gioco, facendo una scommessa con me stesso. E andò bene. L’ultimo disco di platino l’ho regalato proprio a Maria (De Filippi) pochi giorni fa ringraziandola ancora perché tanto del mio inizio lo devo sicuramente a lei. Mi sembra passato un secolo, ma penso che la vita degli artisti vada contata come quella dei cani: un anno ne dura sette».
È ancora «Il ragazzo Paranoia» come la soprannominava Maria De Filippi?
«Si, sempre. Sono un paranoico vivente, ho mille fisime, mille manie, a partire dall’ipocondria».
L’ultimo album si intitola «Il giorno in cui ho smesso di pensare»: non pensare aiuterebbe a vivere meglio?
«È una provocazione, è impossibile non pensare, ma mi piace il concetto».
Un giorno da rivivere?
«Più cresco e più capisco che le cose che mi piace fare sono quelle apparentemente più stupide. Non voglio fare il pesantone, ma mi piacerebbe rientrare nella cucina a Pontremoli di mia nonna. Ricordo nitidamente un giorno che le dissi che le volevo bene mentre l’abbracciavo e le toccavo le guance...».
Un lusso che si è concesso?
«Anche se non sembra lavoro tantissimo; non faccio una vacanza da quattro anni, al massimo mi concedo quattro giorni di pausa, infatti le mie ragazze mi hanno sempre odiato per questo: andavamo dall’altra parte del mondo e poi dopo 96 ore me ne dovevo già andare».
Su Instagram pubblica solo foto sue, mai la fidanzata, mai i momenti privati.
«La mia popolarità è legata alla musica, non al mio personaggio. Non ho nulla contro chi decide di fare della propria vita un reality sui social, ma io mi sono sempre sentito un coglione a filmare qualsiasi cosa vedessi anziché viverla».
Quanti tatuaggi ha?
«Non sono una macchia vivente, ma non so quanti ne ho. Sono tutti legati alla cultura egizia, sono appassionato della loro storia, della loro simbologia, ho provato anche a studiare l’egiziano antico ma è complesso, è un casino vero».
Si è pentito di qualche tatuaggio?
«Sì, per una piuma che mi sono autotatuato. Non ero palesemente in grado di farlo ed è venuta fuori una cosa orribile sulla coscia».
Un incubo ricorrente?
«Ne faccio tantissimi, tutti sempre diversi. È una maledizione. Vorrei capire perché mi succede: se è legato alla mia mente malata o alla mia vita sregolata. In questo sono lo stereotipo dell’artista: vivo di notte e dormo di giorno. Ma a mia discolpa c’è che lo faccio fin da bambino. Da ragazzino mi chiudevo in bagno fino alle 6/7 del mattino a cantare, cantavo e scrivevo e rimanevo sveglio. E mia madre sopportava questo mio disagio. Ancora oggi mi capita di entrare in studio a mezzanotte e uscirne alle 7 del mattino, sono l’incubo di tutti i fonici d’Italia».