IT'S ONLY ROCK'N'ROLL BUT WE LIKE IT - PAOLO GIORDANO: "IL CONCERTO DEI ROLLING STONES È L'ULTIMO GRANDE RITUALE CHE ARRIVA DAGLI ANNI SETTANTA. EPPURE NEL PUBBLICO NON CI SONO SOLO NOSTALGICI O SOPRAVVISSUTI AI BEI TEMPI CHE FURONO, ANZI. JAGGER BALLA NEPPURE FOSSE UN RAGAZZINO E, A UN CERTO PUNTO, È SCATTATO SULLA PASSARELLA COME UN CENTOMETRISTA. CANTANDO SENZA FIATONE. MAI VISTA UNA COSA DEL GENERE. PERÒ UNO CONTINUA A CHIEDERSI PERCHÉ I ROLLING STONES SIANO ANCORA IN GIRO DOPO SEI DECENNI. DI CERTO NON È UNA QUESTIONE DI SOLDI VISTO CHE…"
-Paolo Giordano per www.ilgiornale.it
Poi uno si chiede perché. Mick Jagger scorrazza sul palco di San Siro, una roba di 55 metri con una passerella che arriva al cuore della platea, e si muove come se non fosse appena uscito dal Covid e non stesse per compiere 79 anni, dicesi 79. Sta cantando l'iniziale Street fighting man, dietro di lui Ron Wood, sempre più scheletrico, e Keith Richards, con il solito orrendo berretto (stavolta giallo) sulla fronte, ruminano accordi mentre Steve Jordan, che ha la tremenda responsabilità di essere al posto di Charlie Watts morto l'anno scorso, picchia come un ossesso sui tamburi.
«Questo è il primo tour europeo senza Charlie, che ci manca tantissimo», dice sir Mick in italiano. Il concerto dei Rolling Stones è l'ultimo grande rituale che arriva dagli anni Settanta, la testimonianza di un tempo musicale che loro e pochissimi altri tengono vivo suonando le stesse canzoni di allora.
Eppure nel pubblico non ci sono solo nostalgici o sopravvissuti ai bei tempi che furono, anzi. Ci sono giovani nati ben dopo Start me up del 1981, che qui arriva tra i boati a due terzi del concerto quando «Milano è più calda del quinto girone dell'Inferno» come conferma Mick Jagger in un italiano migliore di tanti speaker in prima serata che manco conoscono Dante.
Il palco ha i colori rossogialloneri del Rock'n'roll circus (disco dal vivo registrato nel '68) e naturalmente gode di due megaschermi perché mica è facile seguire questo ossesso quasi 79enne avanti e indietro sulla passerella, e poi intercettare i suoi cambi d'abito e farsi divertire dalla nonchalance con la quale si cambia la giacca gettandola per terra (raccolta in tempo reale dallo staff). «55 anni fa abbiamo fatto il nostro primo concerto in Italia: grazie di essere ancora qui con noi» dice come se fossero passate due estati.
Poi però uno continua a chiedersi perché. Le smorfie del padre di tutte le rockstar sono le stesse di sempre, le ha usate anche nel video che confermava il loro ritorno sul palco dopo la «pausa Covid» e ci mancherebbe: questo giro di concerti si chiama «Sixty Tour» perché celebra i sessant'anni da quel primo concerto al Marquee Club di Londra. Non può esserci una Paint it black senza che lui la annunci con le sue movenze, né può iniziare Midnight rambler senza qualche gemito di quelli che oggi li copiano tutti ma lui è stato il primo.
Insomma, balla neppure fosse un ragazzino e, a un certo punto, è scattato sulla passarella come un centometrista. Cantando senza fiatone. Mai vista una cosa del genere. In poche parole, va in scena, in questa serata incandescente e bagnuzzata dalla pioggerella umida, una sorta di liturgia rock della quale si conoscono tutte le fasi ma ogni volta è come fosse la prima, persino stasera, persino mentre tutti pensano che questa sarà l'ultima perché come faranno questi a suonare ancora negli stadi a ottant'anni.
E lo spirito di Charlie Watts aleggia sospeso mentre il suo volto spunta ogni tanto sugli schermi, garbatamente come era garbato lui, il vero metronomo dei Rolling Stones. Non c'è, e si sente perché la batteria è molto rock ma ben poco jazz. Dopotutto You can't always get what you want, non puoi sempre avere ciò che vuoi, anche se basta sentire come il coro di San Siro accompagna questo brano per capire un'altra volta che ci sono ritornelli davvero «social», cioè capaci di far cantare tutti ovunque. Ovazioni del pubblico.
Però uno continua a chiedersi perché i Rolling Stones siano ancora in giro dopo sei decenni e non abbiano ancora voglia di «andare a letto presto» come scrisse Proust citato da Noodles di C'era una volta in America. Di certo non è una questione di soldi, visto che le rispettive dichiarazioni dei redditi sembrano il bilancio di una multinazionale. Tanto meno è bisogno di celebrità, dato che gli Stones sono «worldwide famous», famosi in tutto il mondo.
Forse c'è bisogno di attendere i bis, dopo due ore, e vedere come Mick Jagger aggredisce Gimme Shelter (con una corista nettamente inferiore alla leggendaria Lisa Fischer) o come ripete per l'ennesima volta Satisfaction che chiude il concerto. Allora si capisce che gli Stones vanno ancora avanti semplicemente perché sanno stare solo qui, sul palco con i riflettori accesi su di un tempo che sta passando per sempre.