E IL KUNG...FU: CINQUANT'ANNI FA MORIVA BRUCE LEE - L'ATTORE, MORTO NEL 1973 A 33 ANNI PER UN MALORE IMPROVVISO, HA RESO POPOLARE LE ARTI MARZIALI IN TUTTO IL MONDO - NONOSTANTE ABBIA GIRATO SOLO 4 FILM, È RICORDATO GRAZIE ALLA FILOSOFIA "SII COME ACQUA" E AL SUO "JEET KUNE DO", LA NUOVA FORMA DI COMBATTIMENTO CHE SI BASA SULL'ESPLORAZIONE DI TUTTI I MOVIMENTI DI CUI È CAPACE IL CORPO UMANO - UN NUOVO LIBRO RACCONTA LA GENESI DELLA FILOSOFIA DI BRUCE LEE… - VIDEO
-Estratto dell'articolo di Mirko Molteni per Libero Quotidiano
«Be water, my friend!». «Sii acqua, amico mio!», declamava Bruce Lee in un’intervista del 1971. Poche parole racchiudono il mistero di un uomo, che resta tale a 50 anni dalla sua prematura morte, il 20 luglio 1973, per un malore. Ricordare il maestro del cinema d’arti marziali solo per i quattro film che, dal 1971 al 1973, lo consacrarono, è riduttivo. Bruce Lee è stato attore, sceneggiatore, regista, ma anche filosofo e mistico. Lo schermo fu per lui veicolo per diffondere una sua concezione di vita tesa a recuperare nell’uomo una spontaneità non recintata da stili o regole fini a sé stesse.
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Bruce emigrò in America, dove emerse come istruttore di kung fu e attore. Nel 1967 inventò una sua corrente, il Jeet Kune Do, “La Via del Pugno che Intercetta”, nuova arte marziale estrapolata dal kung fu, ma depurata dei formalismi. Aveva trovato un modo per rendere popolari in Occidente le arti marziali, proponendo l’esplorazione di tutti i movimenti di cui è capace il corpo umano, a seconda delle necessità istantanee del combattimento. Come l’acqua che si adatta ai recipienti!
Tutta la genesi del pensiero di Bruce è ricostruita da un nuovo libro. In Bruce Lee. L'avventura del Piccolo Drago, edito da 66thand2nd (320 pagine, 19 euro), Michele Martino narra l’epopea di come Bruce, con perenni esperimenti su sé stesso, in allenamenti e diete, non smise fino alla morte di cercare l’optimus fra potenza, velocità, resistenza. […]
DALLA CINA...
Una di tali danze si vede in Dalla Cina con furore (1972), quando il protagonista interpretato da Lee, il giovane Chen, si trova circondato da una ventina di karateka giapponesi, dopo averli sfidati nella loro palestra. Come una ruota attorno al suo asse, i giapponesi giostrano attorno a Chen. Al girotondo, il cinese risponde ruotando anch’egli su di sé, per seguire con lo sguardo tutta la schiera nemica.
Era un mondo nuovo, per l’Occidente e l’Italia, dove l’autore Martino fu fin da ragazzo cultore del personaggio: «Quando ero piccolo, e in tv passavano i film di Bruce Lee, The Big Boss (Il furore della Cina colpisce ancora) era il mio preferito. Sapete perché? Perché per 40 minuti lui non combatte. Ma quell’energia trattenuta crea una suspense irresistibile, un senso d’attesa che vale più dell’azione che segue».
Come se Bruce fosse una balestra che accumula forza. L’autore spiega i trucchi del secondo, e un calcio rotante al terzo, il tutto senza stacchi e con velocità e precisione da capogiro». Il mito esplose già allora. All’uscita dai cinema, i ragazzi di borgata andavano a iscriversi alle palestre di kung fu, karate, judo. Molti erano di destra e se ne trova citazione nel film Romanzo Criminale, in cui il personaggio del Nero, il neofascista, è un judoka.
Intanto, in Giappone, i fumettisti Buron Son e Testuo Hara ricalcavano sulla figura di Bruce il loro più famoso eroe, Kenshiro della Sacra Scuola di Hokuto. Quando i cartoni animati di Kenshiro arrivarono in Italia, tutti riconobbero nel guerriero del futuro postatomico le stesse espressioni e movenze dell’attore cinese. Come l’acqua in mille rivoli, Bruce Lee ha seguitato a scorrere.