“GLI ARTISTI DOVREBBERO PREVEDERE I DISASTRI, SE SCRIVI UNA CANZONE IN QUATTRO QUATTR’OTTO PUÒ VENIR FUORI UNA CAGATA” – VENDITTI E DE GREGORI, INSIEME IN TOUR A 50 ANNI DAL 33 GIRI "THEORIUS CAMPUS", SI RIFIUTANO DI INFILARE NEI LORO SHOW UN BRANO PACIFISTA - DA "DA IMAGINE" A "LA GUERRA DI PIERO", PASSANDO PER "IL MIO NOME E' MAI PIU'" IN MOLTI C'HANNO PROVATO. E I RISULTATI...
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«Non sembriamo un po' Sandra e Raimondo?», scherza Francesco. «Per me ricordiamo, invece, Jack Lemmon e Walther Matthau ne La strana coppia», replica Antonello. E già, perché De Gregori e Venditti sono la nuova coppia della collezione musicale primavera-estate 2022. A mezzo secolo dal 33 giri in comune Theorius campus, e dopo decenni vissuti su binari separati, i due artisti romani tornano insieme.
Il 18 giugno prossimo partirà dallo Stadio Olimpico di Roma il loro tour 2022 che toccherà anche l'Arena di Verona. Un incontro artistico eccitante come, in passato, sono stati quelli tra Dalla e lo stesso De Gregori, tra Morandi e Baglioni, tra Gino Paoli e Ornella Vanoni. Contrariamente a tante operazioni simili, però, dopo la pubblicazione di un 45 giri in vinile con Ricordati di me da un lato e Generale dall'altro, i due non hanno previsto una canzone nuova nè tantomeno un brano pacifista - taluni se lo aspettavano - sulla guerra in Ucraina.
MAI FALSI
Francesco e Antonello hanno scelto così. E hanno fatto bene. Inutile cavalcare l'attualità, soprattutto da parte di due artisti che sono sempre stati sinceri, onesti e sensibili in tutto quello che cantavano. Mai falsi. «Le canzoni belle contro una guerra sono poche, si rischia la retorica», ha detto Venditti.
«Crearne una in fretta e furia non va bene, gli artisti dovrebbero prevedere i disastri, se lo fai in quattro quattr otto può venir fuori una cag...a», ha replicato De Gregori. Come dar loro torto? La musica è arte, serve a comporre note e testi ma soltanto se queste note e questi testi, sono indovinati. La storia è piena zeppa di canzoni pacifiste, di inni che condannano un conflitto, di brani che raccontano storie di giovani morti in battaglia.
Molte canzoni sono oneste, belle, alcune definibili come capolavori. Altre sono state composte e commercializzate take away in pochi giorni, per riempire le vetrine dei negozi di dischi. Diciamola tutta: per sfruttare il momento, per farsi notare. Inutile sottolineare come, nella storia della musica, la canzone pacifista al top sia Imagine. Scritta da John Lennon nel 1971 e suggerita da un passo contenuto nel libro Grapefruit della moglie Yoko Ono, è diventata il simbolo dei brani contro le atrocità della guerra.
Scritta in anni durante i quali abbondavano canzoni con questa tematica, non "contro" una guerra ma "a favore" della pace. Non politiche, non ancora almeno. Bob Dylan, già nel 1963, era già uscito con un altro capolavoro: Blowind in the wind; i Doors avevano risposto con The unknown soldier, primo accenno sui disastri in Vietnam mentre i Rolling Stones avevano puntato il dito contro le violenze di tutte le guerre con Gimme Shelter. Senza però specificare quale guerra, Jagger d'altro canto non ha mai preso una posizione in 60 anni di carriera. Un democristiano di Manchester...
Paul McCartney, invece, ha imitato Lennon scrivendo Give Ireland back to the irish, brano rock sui drammatici eventi in Irlanda del Nord durante il tragico Black Sunday: la canzone venne bandita dalla Bbc e Sir Paul messo alla gogna.
PRECURSORE
In Italia è impossibile dimenticare La guerra di Piero del 1969, nella la quale De Andrè ricalcò splendidamente gli argomenti pacifisti espressi da Dylan e anticipò, persino, quelli di Lennon. Amatissima resta ancor oggiC'era un ragazzo che come me, con la quale Gianni Morandi prese posizione contro le atrocità del Vietnam. All'epoca mobilitarsi su disco era di moda, come un eskimo: puntuali, quindi, i Nomadi con Contro e Guccini con Auschwitz, inno sull'olocausto.
Più recente Il mio nome e mai più del trio Jovanotti-Ligabue-Pelù (1991) contro il dramma del Kosovo. Oppure Follie preferenziali di Caparezza. Non siamo in zona capolavoro. Brani smaccatamente politici, più che pacifisti, invece furono altri spuntati in seguito, meno belli dei capolavori di Lennon e Dylan.
I Black Sabbath hanno firmato War pigs, dimenticabile nenia sui "maiali della guerra". Non a livello di Imagine neppure Civil war dei Gun's Roses, e neppure War, del 1986, con cui Bruce Springsteen non perse l'occasione di bacchettare Ronald Reagen, impegnato in frizioni militari in Centroamerica. Dello stesso periodo Russians con cui Sting cantò la Guerra Fredda tra Usa e Urss. Le Torri gemelle del 2001, invece, furono al centro di Cry, di Michael Jackson. Anche qui, niente capolavori in giro. Hanno ragione De Gregori e Venditti: se l'ispirazione non c'è, meglio soprassedere. Tutto il resto è retorica. O, peggio ancora, noia.