“CARLO, STASERA VOGLIO SUCCHIARE IL TUO ASTICE: CON CRACCO LE DONNE ITALIANE, FINO A QUEL MOMENTO A DIETA, HANNO COMINCIATO AD APPASSIONARSI PERFINO ALL’UOVO MARINATO” – IL RITRATTO AL VELENO DEL "MASTRO CUCINIERE" CARLO CRACCO BY "IL GIORNALE": “HA APERTO E CHIUSO PIÙ LOCALI CHE CASSETTI DELLA CUCINA. FU ALLIEVO DI MARCHESI, POI LO TRADÌ. E IL MAESTRO SI VENDICÒ STRONCANDO LA CENA NEL SUO LOCALE. I DETRATTORI DICONO CHE LA SUA CUCINA SIA PURO MARKETING” - QUELL’AGLIO NELLA RICETTA DELL’AMATRICIANA CHE GRIDA VENDETTA
-Estratto dell'articolo di Luigi Mascheroni per “il Giornale”
Poi è arrivato Carlo Cracco e le donne italiane, fino a quel momento in dieta permanente, hanno cominciato ad appassionarsi all’uovo marinato.
Che è un pessimo attacco per un articolo, ma un ottimo incipit per una carriera da mastro cuciniere.
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Più macho rispetto a mamma Barbieri; meno internazionale rispetto all’ambassador Locatelli, homme du monde anche se l’è de Vergiàa; più ingessato e meno verace del Monzù Cannavacciuolo; infinitamente più populaire dell’intellettuale Bottura (un guru che ti impiatta insegnamenti di vita conditi di retorica e di cazzate come quella della cucina sostenibile e responsabile), Carlo Cracco, assurto a divinità in un Paese di affamati che parla solo di calcio, fig* e di cosa ha mangiato la sera prima, non si sa se sia migliore come cuoco, come imprenditore o come attore.
Come cuoco - insalata russa caramellata, minestra di parmigiano con fiori misti e polpettone con una salsa persino superiore a quella che Miguel de Cervantes diceva essere la migliore del mondo: la fame – Cracco ha una squadra blu di ammiratrici e una rossa di detrattori.
La prima vorrebbe assaporarselo tutto: «Carlo... uhmmm... stasera voglio succhiare il tuo astice»... La seconda sostiene che la sua cucina sia puro marketing: manca il retroterra culturale, un assembramento di ingredienti costosi senza tradizione né fantasia. E poi Cracco, 1,83 per 78 chili e due etti di prosciutto veneto berico dop, è fisicamente magro, quindi non credibile. E anche affascinante, e come ha fatto notare qualcuno, non va bene: quando porti una donna a cena fuori, il più bello devi essere tu. Come imprenditore invece è coraggiosissimo: la sua storia di ristorazione è una carta di sfide, fallimenti, successi e perdite. Ha aperto e chiuso più locali che cassetti della cucina, a volte azzeccando il piatto (Carlo e Camilla in Segheria o il ristorante marinaro a Portofino) altre meno (la chiusura di Garage Italia col divorzio da Lapo Elkann o il super Cracco in Galleria a Milano: il sogno di una vita, poi è arrivata la pandemia e l’insostenibile pesantezza dei debiti). E poi c’è l’attore, che, va detto, è imbattibile: tanto di cappello Che in cucina di dice Toque blance.
Carlo Cracco è bravissimo. Masterchef assoluto. Come appare in tv, è esattamente il contrario di come è. Tanto sembra sgradevole, scontroso, sadico - «La carbonara te ghe fè ai to amici», «Veloceee!!! Veloceee!!! Veloceeee!!!», «Te lo tiro drio» – quanto in realtà è gentile, umile, garbato. Ma costretto a fare la parte. Che gli riesce benissimo. Paranza e paraculo. In cucina non si può ingannare, ma davanti alle telecamere vince il più bravo a far finta di essere quello che non è.
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Cracco ha fame e sete. Si scola due stelle all’Enoteca Pinchiorri a Firenze, torna da Marchesi, poi lo tradisce – da cui la celebre frase Tu coquus, fili mi! – quindi apre Le Clivie a Piobesi d’Alba, dove s’appunta al grembiule un’altra stella, poi lancia a Milano il Cracco Peck. E dopo, da via Victor Hugo alla Galleria è un lungo percorso di degustazione.
Applausi, salassi (pesanti, per i clienti), critiche e lodi (uguali), invidie (tante), copertine (quella di GQ con la cernia e le modelle nude fu censurata dal Giurì perché lesiva della dignità femminile), polemiche (lo stucchevole tormentone della pizza Margherita a 16 euro, poi è arrivato Briatore e l’ha fatta pagare 22, e fra le due non si sa quale sia meno peggio), pubblicità (dalle patatine croccanti di San Carlo Cracco al Coltello Masterpro “by Carlo Cracco” in acciaio inossidabile con manico soft-touch, perfetto per tagliare, sminuzzare e frantumare piccole ossa, e anche i coglioni...) e abilissime operazioni di réclame, come «il panino allo zafferano Oro Rosso». Non ne sentivamo il bisogno, ma ci tocca anche il caviale di senape e l’oro commestibile.
Un dubbio. Ma chi sperimenta locuste brasate al vino rosso e crema di riso cosparsa di larve cotte è un genio o un furbo?
(...) I debiti coi ristoranti si ripagano in tv e sui set pubblicitari.
Per il resto, al netto di qualche performance non proprio azzeccata (il suo menù sul Frecciarossa non raccolse il plauso dei clienti, nemmeno tra i suoi fan più accaniti, e sorvoliamo sull’uovo di cioccolato extra lusso firmato, la Pasqua scorsa, con Fabio Fazio), al netto degli ospiti-prezzemolo scelti per il suo Dinner Club (Littizzetto, Favino, Zingaretti...), e al netto dell’aglio nella ricetta dell’amatriciana, Carlo Cracco è persona, dicunt, con la quale se ci esci a cena, meglio in un ristorante di qualche suo collega, ti diverti.
Anche se risponde a monosillabi (ma non è un male: Cracco piuttosto che parlare per niente parla poco, mentre Bottura che crede di avere molto da dire alla fine parla per niente), e il suo senso dell’ironia è pari al tartufo che mette nei tagliolini d’uovo marinato (pochissimo). Ed è anche particolarmente permaloso. Se gliela fai, poi se la lega al mestolo. Come con il suo primo maestro, Gualtiero Marchesi. Il quale, per i suoi ottant’anni, era il 2010, andò a cena da Carlo Cracco. «E come ha mangiato?», gli chiesero. «Non ricordo» fu la risposta.
Che è la peggiore delle stroncature.
Va bene. L’articolo è finito. Come si dice dopo aver cenato in un ristorante stellato: e se adesso andassimo a farci una pizza?