“NELLE GUERRE TRA DUE GENITORI NON C’È NIENTE DI PIÙ FALSO DI CHI DICE LO FACCIO PER I FIGLI” - LA NUOVA LEGALE DI TOTTI, ADRIANA BOSCAGLI, INTERVISTATA A OTTOBRE SULLA "STAMPA", SPIEGAVA: “NELLE SEPARAZIONI I DANNI AI FIGLI SONO ENORMI. E LA CONSAPEVOLEZZA DEI DUE LITIGANTI, MINIMA, ADDIRITTURA ASSENTE” – E TOTTI PER IL “BENE” DEI SUOI RAMPOLLI HA PENSATO BENE, IN UN'INTERVISTA AL "CORRIERE", DI ACCUSARE LA LORO MADRE DI TRADIMENTO, INSENSIBILITÀ E ANCHE SOTTRAZIONE DI ROLEX CON SCALTREZZA. CHISSÀ CHE GIOIA PER CHANEL, CHRISTIAN E ISABEL…
-Maria Corbi per www.lastampa.it
“Lo faccio per i figli”. E’ probabilmente la frase più usata in un divorzio belligerante, quello che procede a suon di colpi bassi, dispetti, denunce, richieste assurde. Quel che è certo è che se i figli potessero dire la loro chiederebbero pace. Purtroppo in questo tipo di separazioni non si fanno prigionieri e le prime vittime sono proprio loro, i tanto evocati e figli.
Lo abbiamo visto nel divorzio Totti, dove il Francesco nazionale per il “bene” dei suoi rampolli ha pensato di accusare la loro madre di tradimento, insensibilità e anche sottrazione di Rolex con scaltrezza. Chissà che gioia per Chanel, Christian e Isabel. Ma non solo i ricchi piangono, perché queste dinamiche, come ci dice una delle più note avvocate matrimonialiste italiane(o divorziste, se preferite), Adriana Boscagli, non risparmiano nessuno.
Avvocata Boscagli, quanto male si può fare ai figli litigando malamente?
«Tanto. Purtroppo vediamo spesso separazioni dove il dolore non controllato, la rabbia, il litigio, le pretese reciproche, il rifiuto di accettare un nuovo status alla fine travolgono la serenità dei figli».
E’ vero che spesso anche gli avvocati non aiutano i loro clienti a intraprendere una via pacifica alla separazione e al divorzio?
«Purtroppo sì. Un buon avvocato dovrebbe contenere con convinzione, investendo tempo prezioso per spiegare le conseguenze di un conflitto. Spesso le conseguenze dannose per i figli non sono evidenti nell’immediato e questo induce a ritenere che non vi sia danno, ma non è così».
Ecco, il danno. Cosa ha capito dalla sua esperienza?
«Il danno non è la separazione in sé, quanto piuttosto il disprezzo che i genitori manifestano l’uno nei confronti dell’altro, esponendo tutto il loro privato e, quel che è peggio, cercando di portare il figlio dalla propria parte, anche con piccoli regali, con promesse di libertà, con consensi ad oltranza, con una serie di indulgenze, oppure sottolineando costantemente di non condividere il parere dell’altro genitore, che viene più o meno evidentemente denigrato. Ecco, lì arriva la disgregazione di tutte le regole di una buona crescita».
Quali sono le conseguenze più gravi quando il divorzio diventa una guerra?
«Il rischio minore è già una tragedia. Significa non fare il bene dei figli ma dare priorità ai propri interessi. Per bambini e ragazzi crescere in questo clima è devastante, anche per la serenità dei rapporti sentimentali che costruiranno nel futuro. L’incapacità di trovare un terreno comune in cui discutere civilmente spesso comporta inoltre che il giudice decida per percorsi, spesso pesanti, di vigilanza degli assistenti sociali.
E questi non avendo spesso mezzi e tempo adeguato alle reali esigenze a disposizione, rischiano anche di peggiorare il disagio dei minori. La più tremenda delle conseguenze è quella che induce il giudice che non ha ottenuto il contenimento del conflitto genitoriale né con inviti, né con ammonimenti a disporre l’affido dei figli ai servizi sociali o a terze famiglie».
E’ vero che accade sempre più spesso?
«Purtroppo sì, anche se dovrebbe essere l’extrema ratio. Questo è il vero fallimento della famiglia, la vera distruzione della crescita e formazione dei figli. Altro che il loro interesse!».
Lei ha e ha avuto tra i suoi assistiti diversi vip: la litigiosità è maggiore quando ci sono soldi e fama di mezzo?
«No, non credo. La fama diventa senz’altro uno strumento di pressione e di esasperazione del conflitto, ma la litigiosità si distribuisce in forma orizzontatale, non risparmia alcun ceto sociale. La litigiosità nasce dalla difficoltà di cambiare lo status economico, sociale, la casa, ma anche dalla perdita di potere sull’altro, dalla fatica a lasciarlo andare, dalla difficoltà ad accettare che l’altro sia felice. Poi c’è la voglia di punire l’altro per l’aver lasciato esaurire un rapporto. Nessuno fa mai veramente “mea culpa”. Si fa fatica a ritenere che un rapporto possa esaurirsi e basta».
In letteratura si parla di «legame disperante» quando la coppia cerca inconsciamente di mantenere un legame attraverso il litigio. E’ così o invece le persone litigano solo per case e soldi?
«C’è sicuramente anche la dinamica perversa del “legame disperante”, ma rappresenta una minoranza e comunque l’effetto non cambia, poiché porta comunque alla contesa sui beni materiali.
Nella stragrande maggioranza dei casi si discute della nuova destinazione della ex casa familiare. Sappiamo che va assegnata (lasciata in uso esclusivo) al genitore che ha con sé i figli; e ciò indipendentemente dalla proprietà e dai mutui da continuare a pagare. Questo sta creando una tendenza gravissima che riscontriamo sempre più spesso: la gara a tenere i figli con l’obiettivo recondito e inconfessato di conservare la casa. Così come si litiga per gli assegni di mantenimento di moglie o marito, ma anche dei figli, perché è diffusa la diffidenza che quel denaro non sia usato esclusivamente per loro. In tutti i casi i danni ai figli sono enormi. E la consapevolezza dei due litiganti, minima, addirittura assente».
Una storia che la ha particolarmente colpita?
«Potrei raccontane tante. Non dimenticherò mai però la disperazione negli occhi di un giovane di 17 anni che aveva vissuto tutto il peggio di un divorzio sulla sua pelle: gli assistenti sociali, la consulenza psichiatrica, il mediatore familiare, l’audizione in tribunale, e soprattutto la manipolazione di uno dei genitori contro l’altro. Sette anni in mezzo alla guerra tra i suoi genitori, che si è conclusa purtroppo in tragedia. E nella lettera che ha lasciato, c’era tutto il dolore per essere stato usato e manipolato».