“PER ME CARLO VANZINA ERA UN MITO” – LUCA GUADAGNINO IN LODE DI “VACANZE DI NATALE”, CHE TORNA AL CINEMA PER UN GIORNO IN OCCASIONE DEL QUARANTENNALE, E DEL SUO REGISTA: “ERA UN TALENTO VERO, IN GRADO DI RICAVARE BOZZETTI FULMINANTI E DI COGLIERE NON TANTO IL PRESENTE, MA LA COSCIENZA ANCORA INESPRESSA DEL PRESENTE, LA SUA INCOSCIENZA” – “E POI, DEL CINEMA DI CARLO, AMO L’ASSOLUTA MANCANZA DI GIUDIZIO. NON C’È MAI LA VOLONTÀ DI DISTRUGGERE IL PERSONAGGIO. NON È QUESTIONE DI PROGRESSISMO, È SOLO AMORE PER IL CINEMA. E NON HA EREDI…” – VIDEO
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Estratto dell'articolo di Luca Guadagnino per “Film Tv”
Vidi Vacanze di Natale al cinema, a 12 anni, già appassionato cinefilo, per quanto adolescente. Ero giovane, entusiasta, viscerale. Per me era importante, a quel tempo, leggere i grandi critici. Serge Daney era il canone, ovviamente. E poi tutti coloro che andavano oltre la forma-recensione, operando un’analisi […] studiasse i modi con cui il linguaggio cinematografico produce senso. Roberto Silvestri, per esempio.
È così che ho cominciato ad amare i Vanzina. Le sceneggiature di Enrico, certo, ma soprattutto l’occhio di Carlo. Perché per me il cinema è dei registi, e mai degli sceneggiatori. Non basta essere autori di un copione, per essere depositari dello sguardo di un film.
Il cinema di Carlo Vanzina, e non solo Vacanze di Natale, aveva una sintesi formale per me illuminante, una capacità incredibile di pittura dell’ambiente, la dote assoluta di lavorare su personaggi bidimensionali per farli diventare iconici.
Tutti caratteri che non trovo nel cinema italiano post-berlusconiano, il cinema nato dopo la televisione commerciale. Quella di Vanzina era una forma, un linguaggio, che certamente era erede biologico e spirituale del grande cinema di commedia italiano, ma che trovava una sintesi espressiva solamente sua. Unica.
Il suo era un talento vero, in grado di ricavare bozzetti fulminanti e di cogliere non tanto il presente, ma la coscienza ancora inespressa del presente, la sua incoscienza, quel che il presente non sa ancora di essere. Il che è un carattere essenzialmente cinematografico.
Ma non solo. Di lui stimo il modo in cui usava le canzonette, come una sorta di jukebox della nostra identità. L’idea di costruire il tormentone e non di demolirlo. Il modo in cui approdava in maniera delicata, pudica, toccante nel sentimentalismo.
La capacità di ribaltare le icone che gli passavano tra le mani, trasformandole in miti propri (si pensi a come lavora in Vacanze di Natale con Stefania Sandrelli). Vanzina ha attraversato il tempo […] ed è presente ancora oggi, al netto di queste ridistribuzioni per i quarantennali che durano un giorno […] e sono solo il segno di una decadenza culturale, come se fosse un privilegio concedere a un autore abituato a lunghissime teniture questa brevissima uscita speciale.
Vanzina aveva il mandato commerciale di lavorare su una comunicazione estremamente diretta, ma era capace di stratificarla. Non era mai di primo grado. Pensate ai primi piani di Claudio Amendola che guarda Karina Huff: sono pantografati come potrebbero esserlo certi primi piani desideranti di Paul Vecchiali, e basterebbe guardare oggi Lo strangolatore […] per confermarlo.
E poi, del cinema di Carlo, amo l’assoluta mancanza di giudizio. Non c’è mai la volontà di distruggere il personaggio, come vedo troppo spesso nel cinema italiano […]. Vanzina faceva esattamente il contrario. Non è questione di progressismo, è solo amore per il cinema. E non ha eredi.
[…] Io credo che il cinema sia da separare da chi lo fa, l’autore dalla persona, ma mi piace concludere con un pensiero, il ricordo di un incontro con lui avvenuto tramite Fernanda Perez, che è stata una sua collaboratrice e una mia carissima amica: per me lui era un mito, e la sua incredibile gentilezza borghese mi lascia tutt’oggi commosso.