“MI PREOCCUPA LA STUPIDITÀ UMANA” - A 87 ANNI MARIO VARGAS LLOSA MOLLA CEFFONI: “IL SOCIALISMO PORTA SOLO POVERTÀ E HA LIMITATO IL FUTURO DELL’AMERICA LATINA. PENSO CHE I PAESI DEBBANO ATTRARRE CAPITALI, SOPRATTUTTO SE SONO NECESSARI PER LO SVILUPPO - LA DEPLOREVOLE MISERIA DELL’AMERICA LATINA È FRUTTO DELLE RIFORME DELLA SINISTRA E DELLA COSIDDETTA RIVOLUZIONE SOCIALISTA - IL PREMIO NOBEL? HA RIVOLUZIONATO LA MIA VITA ALMENO PER UN ANNO - MI STO BATTENDO PERCHÉ VENGA DATO ANCHE A CLAUDIO MAGRIS…”
-Estratto dell’articolo di Nuccio Ordine per “La Lettura – Corriere della Sera”
«Mi preoccupa la stupidità umana che, lasciandosi sfuggire meravigliose opportunità di condurre una battaglia vittoriosa contro la fame, la povertà o la discriminazione a favore della convivenza, della pace e della cultura, continua a praticare il fanatismo, l’intolleranza e il razzismo e tutte le altre fonti di infelicità»: Mario Vargas Llosa, Nobel per la Letteratura nel 2010, è un fiume in piena. I suoi 87 anni — li compirà il 28 marzo — non sembrano sminuire l’entusiasmo per la cultura e la politica.
Da poco l’editore Mimesis ha pubblicato la traduzione italiana delle interviste che il celebre scrittore peruviano ha concesso, in oltre trent’anni, al giornalista spagnolo Juan Cruz ( Davanti allo specchio. Conversazioni con Juan Cruz Ruiz ). In collegamento da Madrid, Vargas Llosa risponde alle domande de «la Lettura».
Lei ha scritto che la letteratura possiede una forza morale in grado di contribuire a migliorare la società...
«È così. Il romanzo è il genere che agisce in modo più immediato sul pubblico. […] Ho l’impressione che un buon romanzo possa essere più incisivo per agitare le coscienze».
Come sarebbe il mondo senza letteratura?
«Terribile, privo di desideri e di ideali. Ecco perché è pericolosa la censura: perché, di fatto, uccide la letteratura, impoverendo l’arte e la società. […]».
Dopo avere perduto nel 1990 le presidenziali in Perù, ha dichiarato: «I peruviani mi hanno restituito alla letteratura». Cos’ha imparato da quell’avventura elettorale?
«È stata un’esperienza molto intensa. Avevo già lottato nel passato contro il progetto del presidente Alan García di nazionalizzare le banche. Questo disegno politico, proprio in Perù, avrebbe dato al governo […] un’autorità straordinaria per usare i media in modo arbitrario. Questo è stato il motivo della mia candidatura. […] non ho accettato la sfida elettorale con molta convinzione […] È per questo che la sconfitta non ha avuto un grande peso. […]».
Dalla caduta del Muro di Berlino il neoliberismo domina incontrastato: questo pensiero economico contribuisce a superare le disuguaglianze o può renderle ancora più drammatiche?
«Io sono un liberale. Non sono affatto favorevole al socialismo. Penso che il socialismo porti solo povertà e abbia limitato il futuro dell’America Latina. Penso che i Paesi debbano attrarre capitali, soprattutto se sono necessari per lo sviluppo. […] Allontanare gli investimenti significa correre verso il suicidio. Il caso del Venezuela è eloquente. […] Il suo drammatico impoverimento ha scatenato un enorme flusso migratorio […] la deplorevole miseria dell’America Latina, frutto delle riforme della sinistra e della cosiddetta rivoluzione socialista».
Lei ha elogiato grandi pensatori liberali come Isaiah Berlin e Karl Popper. Come considererebbero adesso questi autori l’operato di tante multinazionali che stanno distruggendo il nostro pianeta con l’obiettivo di fare molti soldi nel minore tempo possibile? E cosa c’entra il neoliberismo di oggi con le idee di Berlin e Popper?
«All’America Latina servono capitali, soprattutto capitali da investire. Perché c’è una ricchezza che non si alimenta da sola, ma ha bisogno di massicce iniezioni di denaro. […] aprire agli investimenti di denaro non significa rinunciare a difendere i propri interessi nazionali […]».
[…] Qual è il ricordo più importante della generazione del boom?
«La generazione del boom ha permesso di fare scoprire l’America Latina. Per i peruviani, che vivevano molto isolati, leggere improvvisamente scrittori cileni, colombiani, messicani ha prodotto qualcosa di splendido, di meraviglioso. […] Ora però l’America Latina sta un po’ regredendo rispetto alla vivacità intellettuale e letteraria […] degli anni Cinquanta e Sessanta. […] Stiamo vivendo […] un provincialismo che è in gran parte figlio delle politiche culturali della sinistra, con la sua ostinazione a considerare i Paesi in modo isolato e non l’intero continente. […]».
[…] Non crede che le vicende di Macondo raccontate in «Cent’anni di solitudine» rappresentino un «locale» che, magistralmente, finisce per esprimere anche l’«universale»?
«Ma certo, la letteratura è sempre universale […] Il romanzo apre sempre le frontiere. E Cent’anni di solitudine , anche se ambientato in una periferia della Colombia, avrebbe potuto raccontare, nello stesso tempo, il Perù o il Messico o altre realtà più distanti […]».
[…] Il conferimento del premio Nobel ha cambiato la sua vita e il suo modo di scrivere?
«Ha rivoluzionato la mia vita almeno per un anno! Il Nobel prevede un’agenda piena di impegni: conferenze nelle università, interventi nelle fiere del libro, discorsi e incontri... Senza contare le interviste. Certo: tutto ciò implica una grande notorietà e una diffusione ancora più massiccia delle proprie opere […]».
[…] Quali sono gli autori italiani che hanno attirato la sua attenzione?
«Ho sempre ammirato Claudio Magris, scrittore straordinario. Da molti anni mi batto per fargli concedere il Nobel. Finora la giuria non mi ha ascoltato, ma continuerò la battaglia per sostenerlo».
Cosa può dire ai giovani per incoraggiarli a leggere i classici?
«Shakespeare e Molière e Dante e Cervantes sono autori di opere vive. Senza i classici è difficile immaginare una classe dirigente in grado di innovare e affrontare i problemi dell’umanità».