“È IL MOMENTO DI LASCIARE IL PALCO” - UMBERTO TOZZI E LA TOURNÉE MONDIALE CON CUI DÀ L’ADDIO ALLE SCENE – “LA MALATTIA, AFFRONTATA NEGLI ULTIMI DUE ANNI E FORTUNATAMENTE SUPERATA, MI HA SPINTO A RIPENSARE LA MIA VITA. MI SONO DETTO: “UMBERTO, VIVI SERENAMENTE QUEL CHE TI RESTA DA VIVERE, FAI QUELLO CHE SENTI, NON SBATTERTI PIÙ” - HA DEFINITO “RIDICOLI” I CANTANTI DELLA NUOVA GENERAZIONE: “NON LI CONOSCO. OGNI TANTO VEDO QUALCUNO IN TV... NELLA MIA PLAYLIST RESTANO I GRANDISSIMI, DAI BEATLES AI COLDPLAY. E LUCIO BATTISTI, UN GENIO CHE HA CAMBIATO LA MUSICA ITALIANA” - VIDEO
-Caterina Ruggi d'Aragona per corrierefiorentino.it - Estratti
L’ultima notte rosa arriva a Firenze. Venerdì al Mandela Forum la tappa toscana della tournée mondiale con cui Umberto Tozzi dà l’addio alle scene. Un lungo giro per chiudere mezzo secolo di carriera, punteggiata da più di 80 milioni di dischi venduti e oltre 2 mila concerti. Un successo esploso in Italia con Ti amo, nel 1977, e poi in America con la cover realizzata nel 1982 da Laura Branigan della sua Gloria, che rimase nella classifica Billboard Hot 100 per 36 settimane ed entrò nella colonna sonora di Flashdance, mentre nella versione originale, nel 2013, l’ha scelta da Martin Scorsese per il film The Wolf of Wall Street.
Dopo le prime date a Milano e Torino, entra a nel vivo «L’ultima notte rosa — The Final Tour»: Firenze, Bologna (sabato all’Unipol Arena), poi in quattro continenti. E di nuovo in Italia...
«È una gioia immensa sentire l’affetto del pubblico. C’è grande energia. E ci divertiamo tantissimo, anche perché sono accompagnato dall’Ensemble Symphony Orchestra, una grande orchestra di 21 elementi».
Cantare con l’orchestra è sempre stato un suo sogno nel cassetto?
«Sì. In verità sono stato accompagnato da big orchestra in alcuni festival internazionali. Ora mi ha gasato l’idea di un mio tour in cui l’orchestra possa esaltare la componente sinfonica della mia musica. Credo che, oltre al pop e al rock, molti miei brani abbiano uno sviluppo armonico, melodico e sinfonico. In questi live, ne ascolterete un’esplosione».
Agli inizi non pensava di diventare cantante. È vero che si vergognava della sua voce?
«Ci ho messo un po’ a digerire la mia voce, a capire che aveva personalità, poteva essere originale. In fondo cantavo bene e, per me, oggi meglio».
La svolta della sua carriera arrivò a Firenze.
«Facevo da anni il chitarrista e il corista in gruppi di successo. La voglia di scrivere canzoni arrivò quando incontrai il produttore Giancarlo Bigazzi, che mi diede appuntamento a Firenze, dicendomi “Vieni a casa mia, in via Santa Marta”. Senza navigatori, trovare quell’abitazione su una delle bellissime colline sopra Firenze con la mia Fiat 127 fu un’impresa. Con Bigazzi, che ha subito creduto in me, ho scritto canzoni per 17 anni e condiviso momenti di un ventennio (gli anni 70-80) irripetibile. Ho bellissimi ricordi fiorentini».
Perché ora ha scelto di ritirarsi dalle scene?
«Secondo me tutto deve avere il suo tempo. In verità avevo deciso di lasciare già a 50 anni, ma avevo ancora progetti da sviluppare, e sono andato avanti. Poi la malattia, affrontata negli ultimi due anni e fortunatamente superata, mi ha spinto a ripensare la mia vita. Mi sono detto: “Umberto, vivi serenamente quel che ti resta da vivere, fai quello che senti, non sbatterti più”».
Però ha raccontato che, durante la malattia, ha trovato forza nel desiderio di ritornare sul palcoscenico...
«Temevo di non risalirci. Ho rivisto davanti agli occhi il bello vissuto grazie a una professione che mi ha dato tanto».
Proprio sicuro di voler lasciare il pubblico?
«Ora non ci voglio pensare. Mi godo il tour che durerà almeno un anno».
Molte date all’estero. Ha avuto più successo fuori?
«Non saprei. Ovunque ho trovato un pubblico fantastico che mi aspettava. Ho avuto la fortuna di esportare la mia musica nel mondo, tra diversi Paesi e almeno tre generazioni. Da Ti amo in poi ho avuto un successo internazionale che tuttora mi sorprende. Mi sento un privilegiato».
Che cosa l’ha spinta a vivere fuori dall’Italia?
«Ho fatto questa scelta 33 anni fa, con mia moglie. Abitavamo a Roma con i bambini piccoli, e più volte i ladri avevano tentato di entrare in casa. Pensammo di trasferirci in un posto più tranquillo, non lontano dall’Italia. Scegliemmo Monaco: lì i ragazzi hanno frequentato le scuole internazionali, è rimasta una città a noi molto congeniale».
La sua musica è diventata un «affare di famiglia».
«Gianluca, il mio secondogenito, gestisce la produzione e gli aspetti manageriali del mio lavoro, compresa l’organizzazione degli ultimi concerti. Mia moglie Monica, che in 38 anni ho sposato 5 volte, collabora in toto ai miei progetti: dai consigli sui testi delle canzoni al mio look. Anche la decisione di registrare un nuovo album di inediti, che uscirà entro fine anno, è stata presa in una riunione di famiglia».
Qualche anticipazione sul nuovo album?
«In tournée sto presentando due inediti. Il primo, Vento d’aprile, è venuto fuori quando è mancata Elisa, una bambina conosciuta mentre era ricoverata in terapia intensiva. La sua storia mi ha colpito; ora cerco di fare il possibile per sostenere la ricerca sul trapianto di midollo osseo e sensibilizzare sulle malattie dei bambini. L’altro è Torna a sognare, che porta nei giorni nostri Gli altri siamo noi, con un bel messaggio. E poi l’album parlerà di amore, il sentimento più importante della vita».
Continuerà a registrare canzoni?
«Non so. Ci ho messo 7-8 anni a concepire l’ultimo progetto discografico. La musica è cambiata, ma io non potrei avventurarmi a fare rap o altri generi che non mi appartengono. Ho pensato a rifare Tozzi con suoni più moderni: il risultato è secondo me forte».
Ha definito «ridicoli» i cantanti della nuova generazione. Non salva nessuno?
«Non li conosco. Ogni tanto vedo qualcuno in tv... Io ho vissuto un’epoca epica, di creatività irripetibile. Nella mia playlist restano i grandissimi, dai Beatles ai Coldplay. E Lucio Battisti, un genio che ha cambiato la musica italiana».
(…)