“NESSUNO COME MUGHINI HA SCOVATO IN ITALIA LA BELLEZZA” – VITTORIO FELTRI IN LODE DI GIAMPIERO MUGHINI E DEL SUO LIBRO “MUGGENHEIM”: “HA COLTIVATO L'AMICIZIA FUORI DAGLI SCHEMI DELL'IDEOLOGIA, DA LUI RITENUTA VERA CACCA, RISPETTO AGLI AUTENTICI TESORI DELLA VITA. HA UNA STIMA DELLA GENIALITÀ ITALIANA, SPECIE NEGLI ANNI 50, CHE È PARI SOLO ALLA NOSTRA INCOMPETENZA, PER CUI ABBIAMO LASCIATO DEPREDARE IL NOSTRO PATRIMONIO NOVECENTESCO DA MUSEI AMERICANI CHE FANNO INCETTA DI LIBRI, DISCHI IN VINILE, MANIFESTI”
-Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
Il titolo del libro va letto per intero, è come un quadro che non si può tagliare con il forbicione, è un'opera d'arte in sé stessa. Non ci sono titolo e sottotitolo. Sono fusi in un unico concetto che esprime la certezza che di noi, che tanto ci arrabattiamo a vivere specie da vecchi, non resterà altro che cenere. Di noi nulla. Però la bellezza resterà, e se saremo noi ad averla cercata, trovata (o forse è lei che ci ha voluto incontrare), acquistata pagandola fior di quattrini, e quindi conservata quasi fosse una persona divina, ma non impalpabile, bensì toccabile, sperimentata come oggetto finito ma anche infinito, dolore compreso; quindi offerta a chi verrà dopo di noi: ecco, moriremo ma saremo meno morti.
Non perché ci ricorderanno (chi se ne frega, se non ci siamo più) ma perché avremo impedito al nulla di vincere. Noi umani, che siamo ombra e polvere, abbiamo lo straordinario potere di creare la bellezza che spargerà emozioni per sempre a chi le vorrà cogliere. Risultando alla fine meno bestia, un po' più sensibile, e capace di respirare poesia, che nell'autore del volume- e del titolo è sempre anche mescolanza di dolore, amore, solitudine, amicizia. Ecco il suo libro comunica tutto questo.
Mi rendo conto che a questo punto la maggior parte delle persone sensate, che molto hanno da fare, ad esempio rispondere alla telefonata di uno o più spesso di una che ci vuole piazzare un suo libro idiota, avranno già abbandonato la lettura del mio pistolotto. Un attimo. Almeno segnatevi titolo e autore: Giampiero Mughini, Il Muggenheim. Quel che resta di una vita, Bompiani, pag. 288, 20,00, e-book 12,99.
L'AMICO PITTORE
Muggheneim è il nome dato alla sua casa-museo da un suo amico pittore, fumettista e poeta, Pablo Echaurren: ha qualcosa insieme di spiritoso, ironico, perché il nome rievoca ovviamente il Guggheneim, stabilendo così un rapporto insostenibile tra l'elefante onnivoro e la gazzella mughiniana. Mughini ha il senso delle proporzioni, non è uomo che si sottostimi, ma ha il senso delle proporzioni. Eppure la quantità, l'accumulo, non è il criterio decisivo; il peso in tonnellate del pachiderma paragonato all'esilità della creatura giampieresca non stabilisce una graduatoria. Ma è un timbro irripetibile, quel nome: dice che ella casa è un unicum, è un tutt' uno con la persona che la abita, «Quel che resta di una vita». Una vitissima vissutissima, se si può dire.
La casa-museo dove lui vive con la moglie, cercando il più possibile, con il suo modo di vestire, con i suoi occhiali, di trovare la rima con gli oggetti raccolti nelle numerose stanze, è lo sfondo imprescindibile in cui immaginarsi seduti, in piedi, andando in bagno, sedendo alla scrivania-capolavoro, mentre si legge il volume.
Trattasi di una scorribanda divinamente scritta - anche se non sopporto l'indulgere di Mughini in qualche francesismo - in decenni che lui vede in una luce completamente diversa da quella che si trova nei resoconti di storici e giornalisti, ma - lo ammetto - anche nella mia testa.
Nemmeno lui a quel tempo sapeva bene cosa stesse vivendo, ma anche allora ha avuto il dono di vedere la bellezza dove gli altri scorgevano l'ideologia. E così racconta gli anni 70 - lui che era parte del mondo della sinistra, firma di punta di quel mare magnum che invadeva urlando le strade inneggiando a Mao e a Lenin - in modo totalmente alternativo.
Il suo genio della lampada che gli consente di scoprire realtà a me francamente ignote del rock demenziale è Freak Antoni, capace di trasmettere quella «febbre» che per Mughini è il solo modo di vivere degnamente, e che costituisce la grandezza del popolo italiano. Non dell'italiano medio, per carità, impastato com'è di luoghi comuni (in questo Mughini è un aristocratico), ma di quel filone straordinario di italiani che sempre hanno innestato nel sottobosco mediocre del Novecento fiori di eccezionale bellezza.
Il disegn, la pittura, l'architettura, il rock, la fotografia, il trasformare un oggetto come una putrella in un capolavoro, con coraggio, e nella dimenticanza dei più, compaiono con i nomi degli artisti in un caleidoscopio stupefacente.
Mi chiedo, e si chiederà ciascun lettore: dov'ero quando quel tal Gianni Mantero raccoglieva la più clamorosa e preziosa messe di ex libris del secolo. E perché mai non mi sono - non ci siamo - mai accorti dell'importanza di questi pezzi di carta che dicono il proprietario di un libro? E perché un albero di ferro color blu posto su un terrazzo (quello del Muggheneim) non ci siamo mai accorti che è puro genio italico.
Ecco, Mughini è in questo davvero sovranista. Nessuno come lui ha scovato in Italia la bellezza, e coltivato l'amicizia fuori dagli schemi dell'ideologia, da lui ritenuta vera cacca, rispetto agli autentici tesori della vita, anche se come le donne talvolta tradiscono.
Ha una stima della genialità italiana, specie negli anni 50, che è pari solo alla nostra incompetenza, per cui abbiamo lasciato depredare il nostro patrimonio novecentesco da musei americani che fanno incetta di libri, dischi in vinile, manifesti, prime edizioni di Ungaretti, fasci di lettere di Marinetti, nella nostra totale indifferenza, anzi con il beneplacito dei critici d'arte di regime che bocciano un capolavoro perché fascista. Niente di tutto questo in Mughini.
POESIA OVUNQUE
Mi piace qui riprodurre la pagina in cui racconta di palazzo Terragni, casa del fascio sì, autore proprio lui, Giuseppe Terragni, cui il federale di Como commissionò la progettazione dell'edificio: «Una sera tarda con Ico (Parisi, architetto, fotografo, creatore di bellezza, ndr) andammo a venerare la Casa del Fascio nella piazza di Como dove in quel momento non c'era anima viva.
E mentre noi due stavamo girando attorno a quel cubo di cemento la cui "cristallina bellezza" era intatta a così tanti anni di distanza dalla sua nascita (lo aveva scritto una volta Luciano Caramel), Ico andava ripetendo a voce alta: "Ma che razionalismo e razionalismo. Non una delle quattro facciate è identica alle altre. Questa architettura era poesia e basta".
Se c'era uno alla cui opera creativa fosse impossibile applicare gli "ismi" e la loro perentorietà era Parisi. Poesia e basta le sue creazioni, fossero una seggiola di design o un albergo da costruire lungo l'autostrada o gli arredi della casa apprestata per un amico. Erano poesia e basta le sue foto» . Questo è Mughini, 80 anni, un fanciullo incantato, un cacciatore di bellezza, come fossero farfalle. Ma le lascia vive, non le infilza. Le regala come «ciò che resta della vita».