“NON HO FATTO NIENTE STAVOLTA, È STATO MUGHINI A COLPIRMI” – SGARBI FA 70 E RACCONTA LA RISSA SUL PALCO DEL COSTANZO SHOW: "HO SOLO DIFESO AL BANO CHE STAVA RACCONTANDO DEL SUO RAPPORTO CON PUTIN" - LA TV FATTA DI "IMPREVISTI E INCIDENTI", LE DONNE (NE HO AVUTE PIÙ DI 1.500"), IL CANCRO ("HO SMESSO DI RITENERMI INVINCIBILE"), L’ARTE E IL GIUDICE CHE CHIESE DI SOTTOPORLO A PERIZIA PSICHIATRICA: “NON SONO MATTO, SONO LIBERO"
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Concetto Vecchio per la Repubblica
L'appuntamento con Vittorio Sgarbi, che domani compie 70 anni, è a mezzogiorno a Firenze. Ma alle quattro del mattino ha inviato questo messaggio Whatsapp: "Non ce la faccio ad arrivare. Sentiamoci al telefono".
Che cosa le è successo?
«Certe notti combatto con un residuo del cancro alla prostata, che ho sconfitto. Spesso devo correre alla toilette e quindi non ho chiuso occhio».
Quando ha scoperto la malattia?
«Durante il lockdown facevo fondo ad Asiago. Mi si sono gonfiate le caviglie. Il medico, l'ex parlamentare Mario Pepe, quando ha visto l'esito delle analisi mi ha abbracciato: "Hai un tumore, ma non vedo metastasi"».
Che cure ha fatto?
«Quaranta radiazioni, al Sant' Elena a Roma, seguito dal professor Giuseppe Sanguineti. Ho fatto portare un quadro di Adelchi-Riccardo Mantovani e l'ho appeso al soffitto: lo guardavo mentre mi bombardavano».
Cosa pensava in quei momenti?
«Ho smesso di ritenermi invincibile. Già nel 2015 avevo rischiato di morire».
Come andò?
«Ero a Brescia, e di notte aprirono le chiese solo per me. Poi, sfinito, dissi all'autista di portarmi a Firenze. Lungo il tragitto cominciai a sentire un gran peso sul cuore, dopo Mantova gli chiesi di uscire dall'autostrada e di raggiungere l'ospedale più vicino, a Modena. Svegliarono il primario e mi operarono. "Ancora mezz' ora e lei sarebbe morto", mi disse il dottor Cappello. "Sarei morto a Roncobilaccio, non mi sembrava il caso", risposi».
Ma lei non è cambiato, a giudicare dalla rissa con Mughini.
«Non ho fatto niente stavolta, è stato lui a colpirmi».
Non l'ha provocato?
«Ho difeso Al Bano che stava raccontando del suo rapporto con Putin».
Cosa deve dimostrare ancora a se stesso con queste gazzarre?
«Niente, ma la mia tv è fatta di imprevisti e incidenti».
Maurizio Costanzo cosa le ha detto?
«Ci vuole in trasmissione per fare pace. È un po' una sceneggiata, vediamo, dai».
Com' era da ragazzo?
«Mi chiamavano Ucialina , perché portavo gli occhiali. Mi piaceva stare con quelli più grandi. Quando venne Montale a Ferrara si divertì perché fu interrogato da Pazzi, Felloni e Sgarbi. Roberto Pazzi poi divenne poeta e scrittore».
Che ambizioni aveva?
«La mia unica regola morale è rispettare le scadenze. Presi la patente a diciotto anni, la laurea a 22, a 40 ero parlamentare».
È vero che mandò a quel paese il relatore della tesi di laurea?
«Era un importante storico dell'arte, Carlo Volpe. Mi cacciò dicendomi che avevo un brutto carattere, salvo poi richiamarmi per darmi 110 e lode».
Primo lavoro?
«A 24 anni ero ispettore delle Belle Arti a Venezia, conobbi Pasolini, Borges, Arbasino. Giulio Einaudi mi chiedeva di accompagnarlo per le calli, era attratto dal mio dongiovannismo, le donne della bella società veneziana volevano conoscermi, ogni tanto ne incontro qualcuna, signore che oggi hanno 80 o 90 anni: "Vittorio, ti ricordi di me?". «Eh!», faccio io. Lì realizzo quanto sono diventato vecchio».
È cresciuto in una famiglia colta.
«Papà giocava a tennis con Bassani».
Suo padre confessò ad Antonio Gnoli di essere in ansia per i suoi eccessi.
«Chi fosse veramente mio padre l'ho scoperto leggendo i suoi libri. Il primo l'ha pubblicato a 93 anni. Era uno scrittore e non lo sapevo».
Che genitore è stato?
«Aveva in casa l'intera collezione della Biblioteca Bur, leggeva Anatole France, m' introdusse a Céline; era un borghese abitudinario, il farmacista di Ro Ferrarese, un uomo che privilegiava l'ombra, con un suo senso intimo della tradizione».
Pupi Avati ha fatto un film dal libro "Lei mi parla ancora".
«Sì, il racconto di sessant' anni di matrimonio con mia madre».
Ha avuto una vita sentimentale che è l'opposto rispetto a quella dei suoi genitori.
«Forse è stata una reazione».
In che senso?
«Assistendo alle tensioni tra mia madre e mio padre ho capito che la vita di coppia non faceva per me. Vede, l'eros è anche una forma di conoscenza dell'altro, ed è quel che si addice alla mia natura inquieta».
Perché litigavano i suoi?
«Conflitti caratteriali. Mamma voleva muoversi, papà preferiva pescare. Mia madre era una forza della natura, ha sempre parteggiato per me, quando tornavo a casa dicendo che mi ero picchiato con un compagno mi difendeva: "La prossima volta dagli due pugni in più", diceva».
Quindi ha cercato un modello di vita non borghese?
«Sì, vedevo mio padre vittima di mia madre, l'uomo in un certo senso era lei. E come se per tutta la vita avessi sentito il bisogno di riscattare questa condizione di minorità».
Una rivalsa?
«Tutte le donne che ho avuto, sono più di 1.500 credo, le ho conquistate e dedicate a mio padre e a mio zio, Bruno Cavallini, grande letterato, lasciato dalla moglie perché gli aveva trovato le lettere d'amore scritte dall'amante».
Un giudice chiese di sottoporla a perizia psichiatrica
«Non sono matto, sono libero. Ho fatto quello che volevo».