“NON C’È UN MONUMENTO NELLA STORIA CHE RIPOSI IN PACE” – L’EX SINDACO E MINISTRO FRANCESCO RUTELLI INTERVIENE SULL’ONDATA ICONOCLASTA DOPO L’OMICIDIO FLOYD: "NON DIMENTICHIAMO CHE NOI CRISTIANI ABBIAMO BUTTATO GIÙ TUTTI GLI OBELISCHI ROMANI CONSIDERANDOLI UN SIMBOLO PAGANO - NON POSSIAMO CONSIDERARE COL METRO DI OGGI L’INTERPRETAZIONE STORICA DEL PASSATO, DIAMO PROVA DI IMMATURITÀ" – IL CASO BOTTAI E QUELLE SCULTURE FATTE DA MARIO RUTELLI CHE…
-Giuseppe Fantasia per huffingtonpost.it
“Continuiamo a demolire i monumenti. Disfare e rifare la storia”. Si intitolava così la conferenza di Francesco Rutelli ospitata lo scorso anno a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia.
In quell’occasione, ricordiamo bene che fu lui stesso a sollevare il tema che nelle nostre città ci piace colpire o demolire monumenti che non sembrano corrispondere ai nostri convincimenti contemporanei.
Alla luce di quanto è avvenuto negli Stati Uniti negli ultimi giorni e di quanto sta avvenendo anche in altre parti del mondo, ne parliamo a telefono proprio con lui, ex sindaco della Capitale, ex ministro, scrittore e attuale presidente dell’Anica, grande esperto e studioso di Storia, un uomo, prima che un politico, che ha sempre voluto affermare attraverso la tutela del patrimonio culturale, i valori di tolleranza, libertà e democrazia.
Perché continuano ad esserci questi atti vandalici nei confronti dei monumenti?
“Perché nessun monumento può riposare in pace come fosse un corpo inanimato. I monumenti sono fatti viventi che si misurano con la reinterpretazione della Storia e anche con le polemiche del momento.
Nella mia biografia familiare, ho qualcosa di rilevante e le posso raccontare delle tante sculture fatte dal mio bisnonno, Mario Rutelli, nessuna delle quali è rimasta immune dal dramma se la raffigurazione scultorea e monumentale fosse la migliore o fosse criticabile. Ovviamente, non dal punto di vista estetico, ma storico e politico.
Il mio bisnonno ha fatto un monumento ad Anita Garibaldi, al Gianicolo, e Mussolini impose che Anita – che raffigura mia nonna Graziella, perché non c’è un’iconografia di lei visto che morì giovanissima – fosse rappresentata cavallerizza e combattente, ma anche madre e che allattasse il figlio. Ancora: l’unico monumento di Edoardo VIII, in Inghilterra, nel Galles, lo ha fatto proprio Mario Rutelli, e gli studenti hanno tentato di decapitarlo, perché non riconoscevano l’autorità di Londra rispetto all’aspirazione indipendentista e nazionalista gallese.
Altro monumento è quello ai caduti in guerra che si trova ad Agrigento, un pezzo del quale, un pannello in marmo, è stato eliminato perché raffigurava un soldato italiano che trafigge un soldato austriaco, gesto all’epoca dell’asse con la Germania divenuto politicamente scorretto. Questo per dirle che non c’è un monumento nella Storia che abbia riposato o riposi in pace”.
C’è dunque, alla base di tutto, un problema sociale e politico, come dice lei, un problema infinito, eterno.
“Sì, perché l’interpretazione del monumento che si erige è data dal potere esistente. È il potere che esiste che vuole celebrare qualcosa, che è in linea con una personalità e che, attraverso la sottolineatura di questa personalità, compie un atto politico.
In alcuni casi la Storia rappresenta un giudizio definitivo e indisputabile, ma nessuno mai si sarebbe aspettato, ad esempio, che cogliendo uno o l’altro aspetto a distanza di secoli di un’ esperienza storica, qualcuno potesse – come è avvenuto in Africa – eliminare il monumento a Gandhi, simbolo della liberazione e della non violenza universale, oppure, che si mettesse in discussione a Londra il monumento a Churchill, salvatore della Patria, o – aggiungo io – che si mettano in discussione i monumenti a Cristoforo Colombo con l’argomento ridicolo che lui, esploratore, navigatore, espressione della cultura e dell’arte della navigazione di fine Quattrocento, sia responsabile nei confronti dei diritti dei nativi americani di cui lui, come si sa, all’inizio, ignorava addirittura l’esistenza.
Accusarlo di essere l’artefice del genocidio - che c’è stato eccome e di cui portano la responsabilità molti governanti americani degli ultimi tre secoli - è veramente ingeneroso ed arbitrario, è una cosa ridicola. Dovrebbe essere invece fatta una lettura storica più corretta. Qui viene un altro aspetto”.
Qual è?
“Esiste un utilizzo strumentale dell’interpretazione storica che è una prova di immaturità culturale, di faziosità e di polarizzazioni che per un verso è inevitabile. Come detto, nessun monumento della storia riposerà in pace sul proprio piedistallo, perché tutte le vicende saranno assoggettate ad una valutazione critica e questo è un bene.
Il monumento sta lì anche per poter essere giudicato nel corso del tempo e non solo dal punto di vista estetico e artistico, oltre che della firma di chi lo ha realizzato.
Però, non bisogna cadere nella catastrofica pretesa per cui dobbiamo adattare al politically correct di un determinato periodo storico interpretazioni che non possono essere più complesse.
La cultura nei confronti delle donne ad esempio, o nei confronti del pluralismo religioso, delle popolazioni ‘altre’ da noi…non possiamo certamente applicare il frutto di processi storici drammaticamente complicati che ci hanno portati a una maggiore sensibilità e applicarli a loro volta tout court retrospettivamente a sei secoli fa o più.
Non dubiterei che si possa trovare qualcuno che voglia eliminare il monumento al grande Imperatore Marco Aurelio, icona di saggezza, stoicismo, di una filosofia molto aperta e illuminata, perché fu anche un combattente. Se dobbiamo quindi considerare con un metro di oggi l’interpretazione storica del passato, non diamo prova di maturità, ma di immaturità e finiamo con l’alimentare, tra l’altro, una pretesa che è anti-storica”.
I monumenti della storia sono presenze importanti nelle nostre città, ma sono stati e sono in tanti coloro che vogliono che gli stessi non portino contraddizioni: perché?
“I monumenti sono vivi proprio perché ci permettono di riflettere, di vedere le luci come le ombre. Posso citare un episodio bizzarro e molto divertente, un’operazione furba. A Roma, davanti la sede del Palazzo degli Uffici dell’Ente autonomo EUR, il primo a essere innalzato tra gli edifici del grande progetto E42, c’è Il Genio dello sport, una scultura che rappresenta un giovane con un guanto da lottatore e l’alloro in testa.
È una scultura arditamente ribattezzata con un altro nome, perché in realtà, si chiamava Il Genio del Fascismo, e fu messa lì nel 1939 dopo che fu realizzata dallo scultore toscano Italo Griselli. Ha il braccio teso, fa il saluto romano. Nel dopo guerra si domandarono se toglierla o ribattezzarla. Come hanno risolto? Gli hanno messo il guanto dell’atleta e l’hanno chiamata Genio dello Sport”.
Geniali davvero.
“Assolutamente. È stata un’operazione che ha salvato la scultura dandole un nuovo significato. Quando leggiamo che il monumento di Accra a Gandhi “deve cadere”, è perché quel pensiero rispecchia la cultura di un indiano educato secondo gli stilemi britannici.
Quando viveva in Sudafrica, prima di divenire il liberatore della sua nazione e il profeta della non violenza per ogni persona, anche per me, come Radicale nelle battaglie che ho fatto, quel Gandhi giovane non aveva una lettura come la abbiamo oggi rispetto alle popolazioni africane che sono autoctone.
Si pensi, poi, anche all’eredità post sovietica, al soldato di bronzo a Tallinn, in Estonia, che raffigura la liberazione dal nazismo: è stato rimosso perché è stato voluto dai regimi del dopo guerra comunisti che oggi, ovviamente, in Estonia, detestano come dittatura. Quell’uomo si era però anche battuto contro il nazismo.
Lo stesso è successo per il monumento a Budapest al martire Imre Nagy per volere di Stalin, rimosso dal governo di Orbàn nonostante Nagy fosse stato impiccato dai sovietici nel 1958. La colonna di Place Vendôme a Parigi fu abbattuta dalla Comune di Parigi, perché ritenuta simbolo del militarismo. Appena finita la comune fu ricostruita”.
In Italia, immaginiamo, si sono verificati episodi simili.
“Sì. Non dimentichiamo che noi cristiani abbiamo buttato giù tutti gli obelischi romani considerandoli un simbolo pagano. C’è voluto un Papa, Sisto V, a ritirarli su, a mettere la croce in cima, a ribattezzarli e ad usarli come indicatori per i pellegrini per la città davanti alle grandi chiese”.
Sono diversi, invece, i casi in cui sono stati abbattuti i monumenti di Stalin, di Gheddafi e di Hussein, o no?
“Certo, perché in quei casi c’è stata la liberazione e quindi la caduta del monumento del dittatore. È comunque importante dare un’interpretazione della Storia che tiene conto di questa complessità e del contributo che anche gli sconfitti della stessa – o quelli che oggi non sono mainstream – danno a tutti noi.
Se non ci fossero stati coloro che hanno combattuto il nazismo, incluse le truppe sovietiche, non avremmo avuto la caduta del nazismo. È chiaro che se oggi giudichiamo le truppe sovietiche un’espressione di una dittatura totalitaria che ha creato anche orrore e i gulag, allo stesso tempo dobbiamo avere una capacità di lettura più storica, più equilibrata perché altrimenti rischiamo di fare come i talebani e l’Isis che stabiliscono la loro verità religiosa che non consente monumenti altri da quelli che vogliono loro, ovvero nessuno.
Ci sono delle cose che è giusto che vengano messe in un magazzino o defilate in un giardino. Penso ai generali della secessione o a personalità che sono state anche mercanti di schiavi come è avvenuto a Bristol, dove la statua di Edward Colston è stata abbattuta.
Quell’uomo ebbe però grandi meriti: trafficava gli schiavi, ma ha lasciato delle istituzioni benefiche e filantropiche molto importante. In ogni città è giusto che prevalga una lettura della negatività rispetto a quella della positività che si dava all’epoca. Discuterne è positivo, ma l’idea che si possa fare giustizia sommaria e buttare in un fosso una scultura anziché mettere in discussione questa interpretazione e la gloria che è stata attribuita con il monumento, è sbagliato. Fare giustizia da soli è sbagliato”.
Il caso Colston ricorda in qualche maniera anche il caso Bottai che la vide coinvolto quando era Sindaco di Roma. Anche lì la situazione era al limite.
“A Roma abbiamo una strada intitolata al governatore Boncompagni Ludovisi dell’età fascista e nessuno ha avuto niente da ridire visto che non è che poi abbia fatto tantissimo.
C’è stato invece un governatore che ha fatto molto per Roma ed è stato proprio Giuseppe Bottai, ma rispetto la decisione che si è presa per la fortissima ribellione della comunità ebraica. Alla fine, Gianni Borgna ed io che volevamo intestagli un largo, abbiamo rinunciato a farlo, perché Bottai si dissociò dal regime, ma formò le Leggi razziali. Un argomento pesantissimo.
Si è dimenticato, però, quello che ha fatto di positivo: ha dato origine alle leggi del 1939 sul Paesaggio e la Tutela del Patrimonio Culturale, quelle con cui in Italia ancora oggi tuteliamo e difendiamo i monumenti. È stato colui che ha voluto Cinecittà e l’Istituto Centrale del Restauro e fu lui a creare la rivista “Primato”, vera palestra del pensiero antifascista, perché vi scriveva, tra gli altri, Giulio Carlo Argan. Bottai votò al Gran Consiglio per la caduta di Mussolini e andò a combattere i nazisti nella legione straniera per espiare in qualche modo la sua partecipazione al regime.
Un caso, il suo, che a mio avviso avrebbe meritato una lettura complessa e non monocroma. Fu una personalità che non può essere letta solo in bianco o in nero. Queste letture ci aiutano a contestualizzare e a rispettare la complessità in un mondo, il nostro, in cui tutto è immediato (Rutelli è autore, tra gli altri, del libro Contro gli immediati, La nave di Teseo, ndr)”.
Cosa bisognerebbe fare secondo lei?
“Se si vuole riflettere e contestare le cose che ci troviamo davanti, è assolutamente rispettabile. Se si vuole diventare iconoclasti e distruttori senza ascoltare le ragioni dell’altra parte, diventa un caso di polarizzazione estrema che contraddice quest’ansia di ricerca della verità.
Questi movimenti americani sono molto importanti. In America i neri sono discriminati e c’è un grande movimento che rivendica i diritti delle persone di colore tuttora discriminate. Questo porta a riesaminare alcune figure storiche, ma non ci dimentichiamo che i primi presidenti degli Stati Uniti, i fondatori della democrazia americana, avevano tutti degli schiavi in casa propria perché quella era la società del tempo”.
Stiamo entrando in una fase adulta per giudicare i monumenti che abbiamo nelle nostre strade oppure no?
“La fase adulta significa che li sappiamo giudicare, ma senza ergerci a giudici definitivi con una sega elettrica in mano. Un monumento non si elimina come un tweet. Un monumento o il ricordo di una personalità, ci dicono chi siamo noi oggi, oltre a dirci chi era quella persona rappresentata.
Ci fanno riflettere su di noi e sulla complessità della Storia. Non ci deve, poi, scandalizzare perché quella pretesa e quella volontà pedagogica che hanno possono scontrarsi a distanza di tempo con la loro stessa negazione. Si pensi all’adulterio che fino al 1968 era un crimine punito dal codice penale. La donna adultera, fino alla riforma del codice penale, finiva in carcere.
Al contrario, invece, l’uomo non veniva punito. Ci sono voluti i Radicali per abolirlo. Questa era l’Italia fino a pochi anni fa. Questo c’entra poco con i monumenti e più con il costume: piuttosto, col fatto, che se se ci mettiamo a fare i giudici superficiali della Storia, finiamo come i talebani, con l’avere una visione estremista e fondamentalista, e questo può essere solo un danno”.