“PAPA’, STO CON UNA DONNA”; “MA VAFFANCULO, MI HAI FATTO SPAVENTARE, NON POTEVI DIRMELO PRIMA?” - FRANCESCA VECCHIONI, FIGLIA DEL CANTAUTORE ROBERTO VECCHIONI, RICORDA IL GIORNO IN CUI HA DETTO A SUO PADRE DI ESSERE LESBICA: “ERO APPENA USCITA DALL'ADOLESCENZA E TEMEVO LA SUA REAZIONE. LUI AVEVA PAURA CHE STESSI CON UN DROGATO, UN POCO DI BUONO. SI HA SEMPRE PAURA DI FARE COMING OUT PERCHE’…”
Elena Tebano per il “Corriere della Sera”
«A dire la verità non avevo nessuna intenzione di fare coming out con mio padre, perché avevo paura della sua reazione. È stato lui che è venuto a chiedermi». Francesca Vecchioni, 47 anni, figlia del cantautore Roberto Vecchioni e presidente della Fondazione Diversity - no profit che promuove la cultura dell'inclusione nei media, nelle aziende e nella società - ricorda così il giorno in cui ha detto a suo padre di essere lesbica.
Come è successo?
«Era maggio, io ero appena uscita dall'adolescenza. Mi chiese se frequentavo qualcuno: mi rovesciai addosso il succo che stavo bevendo. Fino ad allora non avevo detto nulla della mia vita sentimentale: non volevo mentire e quindi omettevo».
Cosa rispose?
«Che era complicato. Si allarmò subito: "Perché non me lo vuoi dire, cosa c'è che non va? È un drogato, un poco di buono?! Non sarà mica in galera, vero?". Era troppo, non potevo non dirglielo: "È che non sto con un uomo, papà, sto con una donna!". Rimase un attimo in silenzio. Poi mi disse: "Ma vaff... mi hai fatto spaventare... Non sapevo più cosa pensare! Ma non me lo potevi dire subito?!».
Era preoccupata che non la accettasse?
«Si ha sempre paura di fare coming out: dipende dalle aspettative che credi che i tuoi genitori abbiano su di te. Ma le aspettative sono plasmate dalla società e quindi siamo noi stessi responsabili di questa cosa: la politica, i media e ognuno di noi. Era così anche trent' anni fa: oggi dovrebbe essere diverso, anche se purtroppo ci sono molti casi in cui fare coming out con i genitori significa trovarsi di fronte a un muro insormontabile. Adesso che sono madre ho capito ancora di più l'importanza di quelle domande.
E della reazione di mio padre e di mia madre: anche lei è stata subito accogliente».
Perché sono importanti?
«So che un genitore non può realizzare appieno il rapporto con i propri figli se non lo rende autentico. Nessuno può star bene con un padre o una madre che non lo ama per quello che è. E i genitori che non hanno la capacità di comprendere com' è il loro figlio o la loro figlia rischiano di perderli. Anche perché nessuno diventa gay o trans per le influenze esterne, come qualcuno ancora pensa: non lo scegli come non scegli il colore della pelle».
Lei ha avuto due gemelle, che adesso hanno dieci anni, con la sua ex compagna Alessandra Brogno: avete mai subito discriminazioni?
«No. Tutti, dai vicini di casa ai genitori dei compagni di scuola delle bambine sono sempre stati aperti. La società è più avanti della politica».
Poi vi siete separate, come succede a molte coppie: questo vi ha creato problemi a livello burocratico?
«Abbiamo avuto la fortuna di essere residenti nel comune di Milano, con figlie nate nel comune di Milano: ci ha riconosciuto il sindaco, un processo immediato che ci ha permesso di evitare i lunghi ricorsi in tribunali per l'adozione in casi particolari. E l'assurdità che Alessandra dovesse "adottare" le sue figlie, magari dopo anni di attesa e incertezza. Nella maggior parte delle città non è così».
A proposito di madri: la ministra della Famiglia Eugenia Roccella ha detto che non modificherà il decreto Salvini del 2018 che ha imposto di scrivere «madre» e «padre» sulle carte di identità dei minori nonostante una sentenza del Tribunale di Roma che ne ha sancito l'illegittimità. E nonostante il parere del Garante per la Privacy secondo cui questa dicitura potrebbe limitare i diritti dei figli delle coppie dello stesso sesso.
«Sono andata a rivedere la mia prima carta di identità, rilasciata più di quarant' anni fa: c'era scritto "genitori o chi ne fa le veci". Poi sono andata a vedere la carta di identità delle mie figlie, che sono nate nel 2012, e anche lì c'era scritto "genitore o chi ne fa le veci".
Prima del decreto Salvini nessuno riteneva un problema non avere "madre" e "padre" sui documenti. E non per via delle famiglie omogenitoriali, ma perché il concetto di genitore è inclusivo. Riconosce tutte le famiglie: quelle etero, quelle omogenitoriali, quelle in cui c'è un solo genitore o genitori affidatari».
La ministra dice che chi vuole la dicitura genitore può fare ricorso.
«Mi preoccupa che un ministro spinga i cittadini a rivolgersi ai giudici. Intanto perché costringe i tribunali, già intasati, a intervenire a spese dei contribuenti per far riconoscere un diritto che i bambini e le bambine dovrebbero già avere acquisito nel momento in cui sono stati riconosciuti. E poi perché così mette in conto l'esistenza di bambini di serie A e di serie B: crea una difformità di diritti e tutele tra quelli che hanno bisogno del tribunale per avere la carta di identità scritta correttamente e quelli che ce l'hanno subito».