“ROMA SANTA E DANNATA È UNA SPECIE DI GIOIELLO CHE RICORDA LE PIETRE ECCESSIVE SULLE DITA DEI CARDINALI” – “L’ESPRESSO” IN LODE DEL DOCU-FILM DI DAGO E MARCO GIUSTI: “OGNI EPISODIO, ANEDDOTO, RICORDO, DA VERDONE A VANZINA, DA LUXURIA A VERA GEMMA, REGALA PILLOLE DI GIOIOSA FOLLIA. MA AL TEMPO STESSO SI TRASFORMA IN UNA RADIOGRAFIA DEL POTERE DI IERI, SINTOMO ESPLICITO DI QUELLO DELL’OGGI” – “UN RISULTATO ELEGANTE COME SOLO IL POP PIÙ LIMPIDO RIESCE A ESSERE” - VIDEO
-ROMA SANTA E DANNATA - TRAILER
Estratto dell’articolo di Beatrice Dondi per https://lespresso.it/
Helmut Berger nudo che tira ghiaccio e noccioline dal tavolino di un locale, una pornostar che gioca con le candele sulla musica dei Carmina Burana, il principe Giovannelli che porta Ceccherini alle due di notte a casa di Vittorio Sgarbi e lo trova sdraiato su un divano rosso con una signora tra le gambe.
Detta così sembra di sfogliare le tavole di Asterix sulle orge degli imperatori romani, quell’eccesso paradossale rinchiuso in un cubetto di formaggio da sciogliere nella fonduta come un proiettile mancante nella roulette russa.
Invece è l’immaginifico racconto di “Roma santa e dannata”, il documentario di Roberto D’Agostino e Marco Giusti che prende la schiuma in superficie per farne un affresco profondo, capace di scivolare via come un battello sul Tevere.
È l’insostenibile leggerezza di Roma, una parafrasi del romanzo di Kundera che lo stesso D’Agostino aveva eletto ai tempi di “Quelli della notte” a icona pop dello spirito del tempo, un libro ridotto a titolo per voce di un intellettuale post-tutto e post-niente.
Diretto e fotografato da Daniele Ciprì, il documentario che ha scatenato il disgusto dell’ex ministro Carlo Giovanardi («Qui ciò che viene descritto è la depravazione», ha detto sdegnato ai microfoni dalla radio di Pro-Vita & Famiglia) è una specie di gioiello che ricorda le pietre eccessive sulle dita dei cardinali. Ogni episodio, aneddoto, ricordo, da Verdone a Vanzina, da Luxuria a Vera Gemma, regala pillole di gioiosa follia.
Ma al tempo stesso si trasforma in una lente, sotto la quale il dettaglio si ingrandisce per arrivare al di là, una radiografia del potere di ieri, sintomo esplicito di quello dell’oggi, in tutto il suo peso. La Roma di Craxi, De Michelis e poi di Berlusconi, quella esagerata, sguaiata, a tratti ridicola («a guardarla dal buco della serratura non sai se chiamare i carabinieri o gli infermieri») che si addormenta all’ombra del Vaticano per svegliarsi pagana, un giorno dopo l’altro, come la chiesa che diventa un cinema porno, che ridiventa un locale simbolo della trasgressione e infine il luogo dell’ufficio stampa del Giubileo. O la Roma in cui il Papa polacco esce in incognito per respirare la libertà e al suo rientro gli vengono chiesti i documenti. «Ma io sono il Papa», risponde. «E allora possibile che nun c’hai le chiavi de casa?».
Insomma, il “Diario notturno” di due autori marziani, un po’ Ric e Gian, un po’ Dante e Virgilio, un po’ proprio Dago e Giusti, esatta via di mezzo tra spirito critico e trionfo cafonal, che chiudono il cerchio con un risultato elegante come solo il pop più limpido riesce a essere. Perché si sa che alla fine a Roma, tra destra e sinistra, la scelta cade sempre sul centrotavola.