“LA SCENA DI MEDITERRANEO IN CUI FUMAVAMO L'HASHISH? NON C'ERA NIENTE, ERA TUTTO FINTO” - DIEGO ABATANTUONO PARLA DEL "DERBY" E DEL RE DELLA MALA TURATELLO, DI POZZETTO ("AVANTI 30 ANNI) E DEL NO DI LINO BANFI A AVATI PER "REGALO DI NATALE" - "VIVEVAMO FRA GENTE DIVERTENTE. IN GIRO COI GATTI DI VICOLO MIRACOLI AVEVAMO UN'AGENDINA DOVE C'ERA L'ELENCO DEI RISTORANTI E DELLE RAGAZZE CHE VIVEVANO IN ZONA. NON ERA L'EPOCA IN CUI I CUOCHI DILANIAVANO L'INGUINE COME OGGI" – E POI IL MILAN E SAN SIRO CHE NON DEVE ESSERE ABBATTUTO...

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Franco Giubilei per “Specchio - la Stampa”

 

mediterraneo diego abatantuono

Studente occasionale alle scuole ufficiali, Diego Abatantuono racconta di aver "fatto il liceo" frequentando i Gatti di Vicolo Miracoli da amico - «stavo alle luci durante gli spettacoli senza capirci granché in impianti elettrici» -, e l'università al Derby. Qui Diego giocava in casa, oltre a giocare a bigliardo nel bar vicino all'istituto industriale cui era iscritto: il locale era degli zii e ci lavorava pure la madre, dunque il passo per salire su quel palco venne naturale, all'inizio per presentare spettacoli altrui e poi, di battuta in battuta, fino a costruire un monologo proprio.

 

PAOLO MALDINI DIEGO abatantuono

Intorno a lui, personaggi che solo la Milano di allora: Enzo Jannacci, Beppe Viola, Cochi e Renato, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Faletti, i Gufi, Bongusto, Califano, Funari, ma anche personaggi della Milano di notte come "il Bistecca", «uno il cui lavoro era venire al Derby, un grandissimo umorista e amico», ricorda Abatantuono.

 

Fra il pubblico del Derby pittori, scrittori, la crème della città, ma anche boss della mala come Francis Turatello: «E tu crescevi lì dentro, imparando ad avere a che fare con personaggi di ogni tipo e di ogni fascia sociale. Imparavi anche a mediare e prevenire problemi con i balordi della notte, e a saperti muovere con le donne», racconta Diego dalla sua villa sui colli di Riccione.

 

 

attila abatantuono

Alle sue spalle, cento film e un personaggio di enorme successo che poteva bruciarlo: il terrunciello venne sfruttato intensivamente, invadendo i cinema italiani al ritmo di dodici pellicole in due anni. «C'è stata una gestione pessima, il mercato è stato saturato di quel personaggio», dice l'attore, che seppe sottrarsi all'abbraccio soffocante della sua maschera grazie a Pupi Avati, il primo a vedere la sua vena amara nel farne il protagonista sofferto di Regalo di Natale, «peraltro dopo aver incassato il no di Lino Banfi», ricorda.

 

Quindi è arrivato Salvatores: «Nell'88 avevo lavorato ne Il segreto del Sahara di Alberto Negrin con un cast pazzesco: Andie Mac Dowell, Michael York, Ben Kingsley. Dopo l'incontro con Salvatores, ho fatto io i sopralluoghi per Marrakesh Express. Con Salvatores siamo andati a girare fra le stesse dune, negli stessi posti». Milanista doc, ha messo il suo tifo in Eccezziunale veramente e come scenografia ha scelto la vera curva sud del Milan andando a girarci la scena del derby, quando l'Inter segna e lui, il "Ras della Fossa", si sente male.

diego abatantuono

 

Come è stato portare il set in una curva di calcio durante una partita vera?

«Gli ultrà del Milan sono stati molto gentili con noi e ci hanno aiutato, così con la produzione gli abbiamo regalato un furgoncino che serviva per bandiere e tamburi da portare allo stadio. La mia disperazione al gol dell'Inter era reale, perché loro avevano segnato sul serio. Da ragazzino, la prima volta che sono andato a San Siro ci sono andato per conto mio, la prima partita un Milan-Cagliari, avevo 13 anni. Era una Milano in bianco e nero, coi tram, il grigio e la gente col cappotto. Entrato a San Siro mi sono detto: "ma questo ha i colori…". Segnò Riva, che era il mio mito dopo Rivera, e vinsero loro 1-0».

BISIO ABATANTUONO MEDITERRANEO

 

A proposito di San Siro: vogliono buttarlo giù, cosa ne pensa?

«Che non andrebbe abbattuto, anche perché la demolizione danneggerebbe l'aria di Milano per anni. Che costruiscano il nuovo stadio e intanto continuino a giocare lì, poi valuteranno cosa farne. Non sto neanche a dire cosa vuol dire per Milano: sette coppe dei campioni vinte dal Milan, l'Inter con tre. Io non solo lo terrei, ma metterei 500 alberi nel parcheggio attuale, Ne farebbero un parcheggio-bosco, ombroso per le macchine, io poi metterei grandi alberi anche al terzo anello dello stadio e tutto attorno, il bosco San Siro come il bosco verticale».

 

DIEGO ABATANTUONO - CAMERIERI

Dai derby di calcio all'altro Derby, il locale simbolo del cabaret milanese, il passo è breve, considerata anche la vicinanza fisica dello stadio.

«Si chiamava così perché era vicino all'ippodromo, oltre che allo stadio. Fino a prima del '68 era un locale jazz, l'Intra's Derby Club, ci suonavano musicisti come Enrico Intra e Franco Cerri, quello della pubblicità dell'uomo in ammollo. Poi con Jannacci è avvenuto il passaggio al cabaret, sono arrivati Cochi e Renato ed è arrivata anche la cultura milanese. Il Derby diventò un porto franco, fra il pubblico c'erano gente del bel mondo così come balordi o malavitosi, ma è sempre stato un posto tranquillo.Era il posto più straordinario e io, che lì dentro ero il più giovane di tutti, ho cominciato ad andarci a 15 anni».

diego abatantuono

 

Chi ha scoperto il suo talento nel cabaret?

«Mio zio mi ha fatto fare il direttore artistico al Derby, presentavo un cast di giovani, fra cui Porcaro e Faletti, Mauro Di Francesco e altri: salivo sul palco, loro dicevano una battuta, io aspettavo la reazione del pubblico e intervenivo: se ridevano dicevo "te l'avevo detto che la gag era buona", se invece non faceva ridere, gli davo addosso: "te l'avevo detto che non funzionava".

 

Era il metodo dell'interruzione, lo stesso che avrebbe usato Bisio a Zelig anni dopo. In quel periodo - era il '75 - Jannacci, Boldi e Beppe Viola lavoravano a uno spettacolo e venivano sempre al Derby, così mi videro e Jannacci si affezionò. Avremmo lavorato insieme per molti anni, c'era una grandissima stima».

 

Sembra un inizio casuale.

«Ho cominciato per caso, non ho mai pensato di fare questo mestiere, ma ho imparato presto che la chiave dell'umorismo è il senso dell'umorismo del pubblico, se tu dici una battuta e non la capiscono c'è qualcosa da rivedere, ma se il tuo umorismo non viene capito non ti devi demoralizzare.

 

Mi dava sicurezza guardare in fondo alla sala: se c'erano a vedermi Jannacci, Viola, Boldi o "il Bistecca" - un nostro caro amico del Derby e il più grande umorista mai vissuto, che di mestiere veniva al Derby, non faceva altro e viveva con la mamma portinaia -, voleva dire che funzionava».

diego abatantuono grand hotel excelsior

 

Al Derby c'erano tanti talenti e personalità, fra voi non c'erano anche rivalità, o magari invidie?

«Le rivalità erano molto poche, poi c'era quello che aveva un carattere più acceso, ma non invidie vere e proprie, e comunque nessuno l'ha mai palesato. C'erano anche differenze profonde di genere nell'umorismo: Funari e Tony Santagata facevano altre cose rispetto a un Pozzetto, che era avanti trent'anni».

 

I film di Salvatores riflettevano anche una visione politica precisa. Lei aveva fatto politica negli Anni 70?

«Tutto il cinema è politico in senso lato. Quanto a me, a scuola parlavo alle assemblee perché mi piaceva discutere i problemi, seguivo la politica perché mi interessava, ma non frequentavo un gruppo extraparlamentare in modo particolare. Andavamo al cinema e anche lì discutevamo quattro ore del film. Coi Gatti ci andavo tutti i pomeriggi e ne parlavamo sempre. I film allora erano così importanti che venivano citati e capiti al volo anche quando vi accennavamo nei nostri spettacoli, e appena usciva l'ultimo libro di Woody Allen lo leggevamo insieme ad alta voce».

 

Ci fa un esempio?

DIEGO ABATANTUONO

«Io cominciavo il mio monologo in italiano, poi mi incazzavo e cominciavo a parlare meridionale, raccontavo di un'astronave che - "svulaz, svulaz, svulaz" -, si trovava sopra la Puglia, atterrava e i pugliesi offrivano da mangiare al capitano: questo si beveva una tanica di olio d'oliva, lo stomaco si gonfiava e invece che Alien usciva Vito, un bambino insopportabile. E tutti capivano il riferimento».

 

Cosa è rimasto di allora nei suoi rapporti attuali?

«Coi Gatti, i vecchi amici e i sopravvissuti del Derby, artisti e clienti, ci continuiamo a frequentare. Fra noi, coi Gatti e gli altri, a quei tempi dicevamo che il primo che avesse avuto successo avrebbe preso una casa grande, in modo da viverci tutti insieme, e in un certo senso è andata così, anche se sembrava un'utopia da ragazzi: ai primi Anni 80, quando ho avuto una casa grande, si sono sempre avvicendati i miei amici e i nostri figli sono diventati amici. Anche oggi, quando è possibile, noi sopravvissuti continuiamo a vederci a casa di qualcuno. Il precedente più clamoroso è Tognazzi, che faceva anche i tornei di tennis a casa sua, cucinava lui e aveva tutti gli amici a casa».

 

(...)

 

In una scena di Mediterraneo vi fumavate l'hascisch di un turco: l'euforia collettiva sembrava autentica, che cosa vi siete fumati veramente?

«Non c'era dentro niente, era tutto finto, e lo dico anche perché se fosse stato vero non avrei avuto nessun pudore, ma lì proprio non c'era niente. Invece qualche altra volta in qualche altro film è successo, ma in Mediterraneo era tutto frutto della nostra grande recitazione».

(...)

Allora ci dica le sue passioni, cinema e Milan a parte.

«Prima le ragazze: stare sul palco dava visibilità e aiutava, io poi ero bellissimo e avevo un discreto successo. Poi il calcio e il biliardo, giocati e visti, e la play station finché i miei figli dieci anni fa mi hanno impedito di farlo. L'ultima mia passione sono gli alberi: ne avrò piantati cento nel mio terreno a Riccione, cinquanta ulivi con cui faccio l'olio, e lecci, castagni, querce. E poi cantare, ridere, queste sono le mie passioni. Non conosco nessuno che si sia divertito come noi al Derby, dove il senso dell'umorismo ce l'avevamo tutti. Vivevamo fra gente divertente. In giro coi Gatti avevamo un'agendina dove c'era l'elenco dei ristoranti e delle ragazze che vivevano in zona. Non era l'epoca in cui i cuochi dilaniavano l'inguine come oggi, avevamo i nostri vini e ristoranti».

 

(…)

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