“SEMBRAVO KIRK DOUGLAS E MI SENTIVO FANTOZZI” - URBANO BARBERINI SI RACCONTA IN UN LIBRO: “AL MIO PRIMO LAVORO D’ATTORE DISSI AL REGISTA CHE SAPEVO RECITARE. MI SBRICIOLAI. ERO UN CARTONATO DA COCKTAIL – HO 4 PAPI TRA I MIEI AVI MA NASCERE NOBILE FU UN DISASTRO – MIA MADRE SPARI' CON L'INDUSTRIALE MILANESE GIORGIO ‘BABY’ PERELLI, MIO PADRE FECE IRRUZIONE NELLA LORO CAMERA DA LETTO E SI PARLO' DI TENTATO OMICIDIO – MIA NONNA PRINCIPESSA DISSE A DARIO ARGENTO DI NON FARMI RECITARE NEI SUOI FILM – FRANCA VALERI MI HA GUARITO. IL REGISTA PATRONI GRIFFI, SUO AMICO, LE SUGGERÌ DI VENIRMI A VEDERE A TEATRO IN ‘SULLE SPINE’ DOVE INTERPRETAVO UN UOMO TRAVESTITO”
-Valerio Cappelli per corriere.it - Estratti
Urbano Barberini, principe di nascita e attore per sopravvivenza, ha scritto un libro, La bellezza nel destino (Sperling & Kupfer) per suo figlio Maffeo, che ha 6 anni.
È come se il padre, davanti al camino, gli raccontasse la storia secolare di una delle famiglie più importanti d’Italia, con cui quel batuffolo biondo, crescendo, «con umiltà e grandezza», dovrà fare i conti. Nel suo albero genealogico ci sono quattro papi, a cominciare da Sisto IV promotore della Cappella Sistina. Ma Urbano al piccolo figlio racconta anche la sua storia, così tribolata.
Come non farsi schiacciare dal suo cognome?
«Ognuno ha la sua storia e per tanti anni l’ho gestita con difficoltà. Ci ho messo tanto tempo per farmi rispettare nel mio lavoro di attore».
Sulla copertina del libro c’è la foto di nonna Nadia.
«Sono cresciuto con lei, donna emotivamente selvaggia, brusca, amica dell’alcol».
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Mia nonna, Barberini Colonna di Sciarra, voleva il controllo; quando nacqui mi afferrò come se fossi una palla da rugby. La primogenitura di casa Barberini era salva. Cercò di compensare l’assenza dei miei giovani genitori.
Si impossessò di me, da ragazzo conobbi il coproduttore di James Bond ma lo scoraggiò dal farmi lavorare e a Dario Argento che avevo conosciuto disse: pronto, è lei il regista Argento? Sono la principessa Nadia, nonna di Urbano, invece di quei film pieni di sangue, perché non propone a mio nipote una bella storia d’amore?».
E lui come reagì?
«Mi richiamò infastidito: Urba’, nun me devi fa’ chiama’ da tu’ nonna alle sette de mattina. Nell’educazione di mia nonna c’era anche il risentimento per la famiglia di mio padre, Alberto Riario Sforza. Sono dei mascalzoni, mi diceva. Ma quando li vedevo mi sembravano carini; duchi che vivevano in modo spartano, militaresco, mio nonno paterno era generale dei corazzieri del re. Mi sembrava di vivere a Downtown Abbey».
Perché il matrimonio presto naufragò?
«Mia madre desiderava un marito che la ponesse su un piedistallo, amava la mondanità, la libertà, le feste e il divertimento. Mio padre era riservato, completamente dedicato ai suoi cavalli. Erano immaturi e inesperti. La loro felicità durò il tempo di mettere al mondo un figlio maschio. Dopo l’ennesima lite e incomprensione, lei andò via di casa, lui la denunciò per abbandono del tetto coniugale, dopo che era sparita con l’industriale milanese Giorgio “Baby” Perelli, e dovette tornare. Fino alla famosa notte del 1966, di cui parlarono tutti i giornali».
Famosa perché?
«Mamma (ma non mi era concesso di chiamarla così, era considerato un appellativo troppo ordinario, la chiamavo mamy o Mirta) si recò in ospedale per farsi medicare, accusando mio padre d’aver fatto irruzione nella loro camera da letto e di averla picchiata duramente. Per forzare la porta della stanza, chiusa da dentro, il duca, mio padre, adoperò la sua spada d’ordinanza che nella furia dell’assalto rimase conficcata nel pannello della porta. Si parlò di tentato omicidio».
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È diventato padre tardi.
«A 57 anni. Prima di fare mio figlio Maffeo ci ho messo parecchio. Non avevo un modello maschile in casa. Consideravo la famiglia un luogo pericoloso da cui difendermi. In amore ero insicuro, quando mi innamoravo affioravano dinamiche distruttive. Mi hanno guarito mia moglie Viviana e Franca Valeri».
Come ha conosciuto quella regina dell’esistenza?
«Il regista Patroni Griffi, suo amico, le suggerì di venirmi a vedere a teatro in Sulle spine. La trama prende spunto da episodi di bullismo e racconta le ripercussioni in età adulta, un personaggio scabroso e irriverente divenuto il mio cavallo di battaglia. Un uomo travestito. Cercavo un tailleur rosa tipo Chanel della mia taglia, Donatella Rettore ci regalò la canzone originale. Fu un successo incredibile. Franca a fine spettacolo mi disse che avrebbe volentieri lavorato con me».
E cosa ha significato?
«Ha incarnato un esempio di figura materna di cui avevo bisogno, e lo ha fatto con la sua implacabile intelligenza, crudele e umanissima, con la sua capacità di renderci più consapevoli e spiritosi, e forse anche più in grado di perdonarci e di perdonare. Conosceva la svagata crudeltà dei nobili.
Diventammo una coppia anomala in scena, 7 spettacoli, 1000 repliche. In un testo devo dire mamma; era la prima volta che pronunciavo quella parola in modo esplicito. Il giorno in cui conobbi Franca, incontrai l’altra donna più importante della mia vita, mia moglie Viviana».
Lei racconta di vacanze a Gstaad e Monte Carlo. Com’è una vita di privilegi?
«Sono nato in una famiglia sconquassata ma benestante che mi ha portato a frequentare certi luoghi, ma non avevamo sostanze economiche che ci permettessero di condurre quella vita con spensieratezza. Ero un fustacchione timido con dentro una grande fragilità. Sembravo Kirk Douglas e mi sentivo Fantozzi. Al mio primo lavoro d’attore, mentendo dissi al regista Duccio Tessari che sapevo recitare. Mi sbriciolai. Ero un cartonato da cocktail».
E poi?
«Sudavo, mi ero incarnato in Mr Bean, i ciak si susseguivano, ero come paralizzato, non riuscivo a muovere un passo fino a che scivolai sul nevischio e caddi, trascinando con me l’attrice che si ruppe tre costole, mentre io poco prima, alla scena del baciamano, afferrai la mano sbagliata, quella di Massimo Ranieri, che mi guardò perplesso e disse: ma che fai?».
Il titolo del libro...
«Il nuovo scopo del Baliaggio Barberini nato nel 1633, è la tutela di ciò che resta dell’Agro Romano antico, in particolare di Ponte Lupo, dove si trova un colossale frammento dell’acquedotto Marcio costruito nel 144 a.C.
Ci fu una battaglia per salvare un bene prezioso e fragile, quando nel 2011 si stabilì di trasferire la discarica di Malagrotta a 4 km da Ponte Lupo, nel mezzo di quello spicchio di Agro Romano rimasto intatto. Era come mettere un immondezzaio accanto alle piramidi. La battaglia è stata vinta. Ma il nostro Paese deve ripartire dal suo capitale più prezioso, i beni culturali e il paesaggio, perché la bellezza obbliga a un senso di responsabilità».