“SONO UN ‘CRONISTA CRONICO’, E’ IL NOMIGNOLO CHE MI HA DATO ROBERTO D’AGOSTINO” - INTERVISTA AL GRANDE FOTOGRAFO E GIORNALISTA SALVATORE TAVERNA BY DOTTO: “MIA MAMMA MI DAVA I SOLDI PER ANDARE ALLA “BRITISH SCHOOL”, MA IO LI SPENDEVO IN MIGNOTTE - DE CRESCENZO MI SCAMBIÒ PER UNO MATTO AL MANICOMIO - NAOMI CAMPBELL LANCIAVA DI TUTTO A BRIATORE - BRUCE WILLIS MOLLÒ DUE PIZZE A UN MIO ASSISTENTE, GLI STRAPPÒ LA MACCHINETTA E CI ZOMPÒ SOPRA. RINO BARILLARI? UNA BELVA: ALL’AEROPORTO CON I GORILLA DI RICHARD GERE, CON UN BRACCIO SI DIFENDEVA, CON L’ALTRO SCATTAVA - CLOONEY DI GIORNO NON BEVEVA, MA DI NOTTE GOCCETTAVA - PIERO ANGELA SBROCCÒ DI BRUTTO PERCHE’…”
Giancarlo Dotto per Diva e Donna
Quasi sempre in coppia con Rino Barillari, il King dei Paparazzi, o con il suo vice, Luciano di Bacco, inviati de “Il Messaggero”, hanno raccontato e fotografato per decenni le notti mondane a Roma, a caccia di divi, con l’attitudine dei predatori, per lo più blanditi, spesso temuti, cercati, evitati, inventandosi agguati, travestimenti, raggiri, astuzie bertoldiane, per portare ogni volta all’alba il loro bottino a casa. Imbucandosi nei locali, nelle feste, salotti e terrazze, setacciando d’estate litorali, spiagge, discoteche, rischiando ogni volta e qualche volta beccandoli insulti, schiaffoni, ombrellate e borsettate. L’adrenalina e l’alcol a fiumi. Anni irripetibili.
Salvatore Taverna, tipo a dir poco eccentrico, si è impegnato per “Diva” a riesumare tanti anni di scorribande da esploratore della giungla urbana, tutte le tacche del suo mestiere di collezionista di scalpi celebri. “Prima o poi, scriverò un libro. Comincerà così: Mi chiamo Salvatore Taverna e m’ingegno da sempre a fare il giornalista…”, fa lui che si definisce genericamente “un settantenne”, avendo fermato il tempo che invece ha preso a precipitare.
La pandemia ha trasformato le sue abitudini. Da nottambulo girovago è diventato un casalingo a tempo pieno. Passa il tempo a leggere romanzi e a farsi coccolare dalle donne di casa, la moglie Gina e la figlia Sveva, fotografa. Le camminate dentro casa, da ergastolano, su e giù, dalla camera da letto al salotto, alla cucina e di nuovo alla camera da letto, l’unica attività fisica che si concede. “Sto qua sbragato a letto, in pantofole, mutande a righine blu e maglietta di cotone…”. Chiama le cose per nome, nella lingua delle sintesi brucianti.
“Quando sarò morto, ho già pronto il mio epitaffio”.
Sarebbe?
“Salvatore Taverna, il poeta della notte. Cronista cronico”.
Farina del tuo sacco?
“Il primo me lo mise Federico Fellini, il secondo Roberto D’Agostino”.
Racconta.
“Fellini m’incontra sulla spiaggia di Sabaudia e mi fa: “Che ci fai qui alle dieci del mattino, caro poeta della notte”. Indossavo il panama, una giacca di lino beige, una camicia crema e i bermuda. Da allora questa cosa me lo so’ giocata in tutte le interviste”.
Autunno, inverno e primavera e fare la ronda nei locali di Roma, d’estate a fare razzia sulle spiagge.
“L’allora direttore mi spedì tre mesi come inviato a Sabaudia. Lavoravo 18 ore al giorno, la mattina sulle dune, la sera e la notte nei locali e nelle ville a pescare personaggi. Intervistai tutti, Mario Schifano, Paolo Portoghesi, Alberto Moravia, Carmen Lleira, Giovanni Malagò, Ornella Muti, quella sventolona di Serena Grandi…”.
Cronista mondano, ma lavoratore instancabile.
“Non mi stancavo mai, non andavo a dormire. Poi, ogni tanto crollavo. Paolo Villaggio mi consigliò un trucco per fregare la concorrenza. “Quando noi ti diciamo che veniamo, tu ci fai l’intervista il giorno prima al telefono, esci la mattina del nostro arrivo e bruci tutti”. I colleghi impazzivano. Non capivano come facessi”.
Cronista e pirata.
“La guerra è guerra, era lo slogan del mio amico e compare Barillari. Divento un selvaggio come lui nel lavoro”.
Amico di Renzo Arbore e di Luciano De Crescenzo.
“Stavano chiudendo i manicomi con la legge Basaglia. Avevano invitato i due, Arbore e De Crescenzo, a salutare i matti del “Santa Maria della Pietà”. C’era quello vestito da Napoleone, l’angelo rincorso dal diavolo con un forcone di plastica, la ragazza che si credeva la Madonna alla vigilia di Natale. E poi c’ero io con il mio solito panama gigante e il taccuino in mano”.
Giornalista al seguito?
“De Crescenzo mi scambiò per uno dei matti e mi chiese: “Quanti anni sei stato chiuso qui dentro?”. Tempo dopo, Renzo Arbore, con cui nel frattempo eravamo diventati amici, mi disse: “Sembravi un matto perfetto travestito da giornalista”.
Quella volta che ti sei travestito da mendicante.
“Un cappotto vecchio, la coppola ciancicata di mio padre, in via Frattina, a fare il mendicante. Feci in un giorno 7 mila lire, una cifra folle per l’epoca. Una settimana dopo ci provò Paolo Fraiese della Rai e non raccattò quasi niente”.
Credibile da matto e da mendicante.
“Presi 500 lire pure da Luciano De Crescenzo che passò di lì e stavolta mi riconobbe. M’avevano adottato nella loro comitiva, lui, Arbore, Mariangela Melato”.
Quella volta che Julia Roberts venne a Roma.
“Venne a presentare un film. La sera tutto al locale vicino a piazza Navona di Jeff Blynn, americano, ex attore di fotoromanzi caduto in disgrazia. Ostriche, caviale, champagne. Dischi su dischi, me butto a balla’ vicino a Julia, scatenata. Le si rompe un tacco, me’ piomba addosso…”.
E tu?
“La prendo al volo e la salvo. Era magrissima. Un fuscello. Non sapevo una parola d’inglese. Solo sorrisi su sorrisi. Francesco Palazzi, road manager dei divi a Roma, svegliò un calzolaio in piena notte. Si presentò alle 4 del mattino con il tacco riparato”.
Un handicap non sapere l’inglese con tutti questi divi.
“Mia mamma Assunta mi dava i soldi per andare alla “British School”, ma io li spendevo in mignotte. Avevo 15 anni. Ricordo una cinquantenne, Adalgisa. Aveva un materassino sulle sponde del Tevere. Mille lire a botta. Ci andavo quasi tutti i pomeriggi”.
Grande scoop con Manuela Arcuri.
“Aveva fatto diecimila fiction con Garko. Era già famosa. La pediniamo io e Di Bacco, il fotografo. Questi grandi seni, il viso da bambolona. Una Serena Grandi super chic ai miei occhi. La convinsi a posare da attrice intellettuale in una libreria. Porto un articolone al direttore Pietro Calabrese, il mio pigmalione, e lui: “Tu sei matto, ma chi la conosce questa?”.
E tu?
“Quasi me metto a piagne. Mi rifaccio due mesi dopo con uno scoop pazzesco. Becco l’Arcuri a Porto Cervo, al “Billionaire” di Briatore, che stava con questo arabo straricco, Mohamed Al Habtoor. Scrissi che aveva al collo il collier di 200 milioni di lire che lui le aveva regalato per due mesi d’amore”.
Tutto vero?
“Non mi ricordo se me l’aveva detto lei, l’ufficio stampa o se me l’ero inventato. Sta di fatto che scoppiò il finimondo. Tutti dietro. Compresi “Panorama” e l’”Espresso”. Un casino assurdo”.
Naomi Campbell e Flavio Briatore?
“Un’altra storia come quella dell’Arcuri con l’arabo, o della Canalis con Clooney. Ci sono sempre dei contratti firmati dietro. Ricordo Naomi che faceva la deejay nel locale di Briatore. Era sempre incazzata con lui. La vidi con i miei occhi che gli tirava di tutto, lattine di Coca, arance. Lui che si riparava con la spalliera del trono da vippaio”.
Vippaio?
“Un neologismo che ho inventato io. Fu inserito nella sua rubrica sull’”Espresso” da Tullio De Mauro”.
Una finta pure le risse con Briatore?
“No, queste erano verissime. Naomi era famosa per come s’incazzava con tutti. La sua vittima preferita era il segretario”.
Sabrina Ferilli, un’altra tua amica.
“Eravamo amici. Sapevo che andava in un circolo romano, il “Due Ponti”. Si sarebbe sposata a giorni con Andrea Perrone, tecnico delle luci, fidanzato devoto. Mi nascondo sotto il bancone dell’entrata. Spunto fuori…”.
Un agguato.
“Le faccio: “Sabrina siamo amici, so che te sposi tra una settimana, me devi dare un’intervista esclusiva”. E lei: “Non posso Salvatore, l’ho già data a un altro giornale. Facciamo così: ti parlo e tu scrivi che te le ha dette una mia cara amica. Così non mi rovini”.
Tu, naturalmente, dici di sì e fai il contrario.
“Vado dal direttore e gli dico: “Me gioco l’amicizia con la Ferilli, ma pubblichiamola che è lei a parlare, non l’amica. Famo il botto!” Lui quasi me mena. “Ma che scherzi?! Il padre è amico. Siamo due comunisti seri”. Uscì come voleva lui, ma era una cosa moscia”.
Bruce Willis, un tipo sanguigno.
“Fu ingaggiato per rilanciare “Planet Hollywood” a Roma. Passai clandestinamente una macchinetta fotografica a un mio assistente. Bruce se ne accorse. Gli mollò due pizze, gli strappò la macchinetta e ci zompò sopra. Era ubriaco dalla testa ai piedi. Lo portarono a braccia in macchina”.
Un tipetto niente male anche Demi Moore.
“Io e il King le facevamo la posta. Lei entra da Bulgari, comincia a provarsi decine di collier, orologi. Partono i flash di Barillari dalla vetrina. Lei impazzisce. Cominciò a lanciare in aria di tutto, perle, orologi, collane. Una furia”.
Il tuo sodalizio con il King, Rino Barillari.
“M’ha fatto da maestro. Mai entrato prima in una discoteca in vita mia. M’ha presentato a direttori e pierre dell’ “Open Gate”, “Jackie O’”, il “Gilda”. Il King è una belva nel lavoro. Mi ricordo quella volta all’aeroporto con i gorilla di Richard Gere, dei bestioni. Con un braccio si difendeva, con l’altro scattava”.
George Clooney era un’altra vostra vittima.
“Di giorno non beveva, ma di notte goccettava, eccome. Una mattina all’hotel “De Russie” lo vidi scagliarsi contro un uccellino che gli aveva portato via la briciola di un cornetto. Sembrava un pazzo. Forse erano i postumi di una sbornia”.
Quella volta che hai portato Jessica Rizzo, la pornostar, al “Messaggero”.
“Si scatenò un assembramento. Più di quando venne, anni dopo, il Papa”.
Alberto Sordi t’aveva preso in simpatia.
“Ero diventato mezzo amico suo. Mi faceva invitare sempre quando c’era la presentazione di un suo film e mi faceva sedere al suo fianco. Così, riuscivo a sentirlo. So’ diventato mezzo sordo con le discoteche che m’hanno sfondato tutte le trombe. Albertone era una furia di battute e io prendevo appunti. Alla fine mi salutava e mi allisciava la schiena”.
Perché?
“Me lo spiegò la sua addetta stampa storica, Maria Ruhle. “Ti vede curvo, pensa che sei gobbo e allora ti tocca perché è convinto che gli porti fortuna”.
Hai fatto arrabbiare Piero Angela
“In una delle tante feste a casa di Arbore. C’era queste jam session. Piero Angela era pazzesco al piano a suonare il jazz, ma è un tipo strano. Quando si accorse che c’ero io in mezzo alla ciurma, sbroccò di brutto. Non voleva che apparisse che stava in una festa cazzara di Arbore”.
Quella volta che Patricia Millardet ti prese a schiaffi…
“M’incontrò al “Gilda” e mi diede due pizze, una destra e una a sinistra, per un mio articolo che non le era piaciuto. Mi fece volare gli occhiali. Finii su tutti i giornali”.