LET IT BE, PAUL - McCARTNEY PARLA DELLA LEGGENDA DELLA SUA MORTE E DEL SOSIA: “OVVIAMENTE NEL MONDO ESISTONO DUE PERSONE CHE CANTANO ALLO STESSO MODO, COMPONGONO LE STESSE MERAVIGLIE E SONO DUE GOCCE D' ACQUA” – “DOPO LA MORTE DI LINDA HO PIANTO PER 15 MESI, ANCHE SE SAPEVO CHE GLI UOMINI NON PIANGONO. MI HANNO INSEGNATO COSÌ, MA NON CE LA FACEVO. PROVAVO A VENIRNE FUORI, MA NON TROVAVO NELLA MIA ANIMA NESSUN CARTELLO CON SU SCRITTO: USCITA DAL DOLORE. SAI COSA TI DICO? PIANGERE FA BENE” - “I BEATLES? UN BUON GRUPPO, NON CREDI?” – E RIVELA IL SUO RIMPIANTO – VIDEO
-Massimo Cotto per il Messaggero
L' INCONTRO Cominciamo dalla fine. L' intervista è conclusa. Dalla finestra si vede la pioggia cadere pesante, perché Londra non è Parigi, dove la pioggia si muove quasi danzando. Paul McCartney mi chiede se ho voglia di bere qualcosa. Ovviamente sì. Siamo nel 2001, lui è in un momento delicato.
Da tre anni è morta Linda e c' è una nuova storia, che poi naufragherà tra le polemiche. Durante l' intervista, mi ha detto che vive un periodo di strana fragilità. Mi guarda, sgrana gli occhi come solo Paul McCartney sa fare e poi chiede: «Hai ancora i tuoi genitori».
Rispondo di sì. «Bene, non avere mai paura di dire che li ami. Rimpiango di non averlo detto ai miei. Penso a mia madre, che è morta quando ero ragazzo; a lei non ho mai detto: Mamma, ti voglio bene. Ma ero un ragazzo e i ragazzi non dicono queste cose alle loro madri».
LA REALTÀ Siamo seduti su uno sgabello. Paul continua: «Fin da piccoli abbiamo sempre saputo che i nostri genitori sarebbero morti prima di noi. Guai a chi deve seppellire il proprio figlio, quello sì che è un castigo di Dio. Mi ricordo mio padre, quando gli domandavo che fine facessero le persone quando diventavano vecchie; lui rispondeva che, semplicemente, morivano, andavano via. È la realtà della vita, che tutti dobbiamo accettare.
Non ne parliamo spesso, forse perché ne abbiamo paura. La morte rimane un tabù linguistico forte, pensa solo ai sinonimi che usiamo: È mancato (passed away, in originale), invece di è morto, oppure male incurabile, per non usare la parola cancro. Io stesso non parlo mai della morte, perché ne ho paura.
Ma non sono pessimista, anzi. Nonostante i guai e i problemi che ho attraversato, so che per le sofferenze c' è sempre una fine, anche se non sempre sono capace di vederne il fine. Il sole sorge sempre dopo la notte, la luce nasce sempre dopo il buio».
Lo chiamano per un' altra intervista. Lui si alza, mi stringe la mano: «Ho pianto per quindici mesi, dopo la morte di Linda. Quindici mesi, anche se sapevo che gli uomini non piangono. Mi hanno insegnato così, ma non ce la facevo. Provavo a venirne fuori, ma non trovavo nella mia anima nessun cartello con su scritto: uscita dal dolore. Sai cosa ti dico? Piangere fa bene».
Esco nella pioggia. Penso all' amore.
Nell' intervista aveva raccontato del primo incontro con Linda.
«Una notte, in un club, uno dei pochi che potevamo frequentare perché rimaneva aperto fino a tardi, e io, con i Beatles, finivo sempre tardissimo. Quella sera ero lì e anche Linda era lì, seduta a un tavolo vicino. Si alzò per andarsene con gli amici con cui era arrivata. Io decisi di fare qualcosa, anziché rimanere lì seduto e vederla andare via. Così mi alzai e le andai incontro: Ehi, come va?. Lei mi guardò stupita.
Fortunatamente rispose e si fermò a parlare. Andammo in un altro club, aperto fino a tardi. Ai miei figli ho sempre detto che, se non l' avessi fermata, l' avrei rimpianto per la vita. Non mi comporto normalmente così, ma dovevo farlo».
Parlammo del nuovo disco, Driving Rain (ecco perché pioveva), ma ovviamente, soprattutto dei Beatles e del passato. Perché se ti chiami Paul McCartney non puoi chiedere a un giornalista di farti domande solo sull' ultimo album. Mi disse che uno dei momenti che i Beatles attendevano con impazienza era quando uscivano le recensioni.
E mentre il mio ego si gonfiava a nome di tutti i giornalisti del mondo, Paul aggiungeva: «Ci divertivamo un mondo a leggere le sciocchezze che scrivevano i critici, a vedere come interpretavano dei versi che erano nati molto semplicemente e dentro i quali, invece, loro inserivano qualsiasi cosa».
Accennai alla leggenda della sua morte. Gli chiesi se stavo parlando con il suo sosia. Rise. «Ovviamente.
Nel mondo esistono due persone che cantano allo stesso modo, compongono le stesse meraviglie e sono due gocce d' acqua».
Gli chiesi che cosa avrebbe voluto riportare in vita degli Anni Sessanta.
«Il vento nuovo che spazzò via quasi tutto. Non sono un nostalgico e penso che oggi ci sia molta buona musica, anche se penso che quasi nessuno di quelli che suona la chitarra elettrica valga un Hendrix. Però, è innegabile che i fermenti di quel decennio siano state scintille capaci di generare grandi fuochi.
La prova è che quelle vecchie canzoni sono ancora fresche, attuali, vere».
Una sola cosa non avrebbe rifatto.
«Con i primi soldi, corsi a comprare una pelliccia. Solo anni dopo ho capito la sciocchezza che avevo fatto e, da allora, mi sono battuto a lungo a favore degli ambientalisti. Anche con Linda».
Fu un' intervista bella e malinconica, dolce e divertente. Paul si divertiva a fare le sue espressioni buffe, quelle dove sembra che abbia un punto interrogativo sulla testa e che lui sia uscito da un fumetto. Fu lucido nell' analizzare le diverse fasi della sua vita.
I SOLDI «Nella prima, sono un ragazzino di Liverpool. La mia famiglia era modesta, non aveva soldi, non avevamo neanche la possibilità di comprare una macchina. Le prime sterline, la fama e tutto il resto è merito dei Beatles. Il successo dei Beatles caratterizza la mia seconda fase.
Nella terza, ho sposato Linda, avuto dei figli e guidato i Wings. Poi è arrivata la quarta fase. Mi ritengo fortunato a essere ancora vivo». Rideva parlando degli amici e dei giornalisti che, credendo di fargli un complimento, a volte commentavano un suo brano dicendo: «Sembra dei Beatles». «Non capiscono che non mi interessa fotocopiare Paul McCartney, perché sono io l' originale. Ho già dato con i Beatles, vorrei continuare a dare, ma in modo diverso».
L' ultima domanda fu: quando rivede in televisione vecchi filmati dei Beatles, che cosa pensa?
LA BAND «Penso: che grande band eravamo! Com' erano forti, quei ragazzi! Amo rivederli. Per me è come una riunione, un album di famiglia, un film dei vecchi tempi. Diverso è il discorso sui dischi. Non li ascolto molto.
Preferisco i film. È sempre una bella sensazione rivedere quelle immagini, perché mi riportano indietro a un grande tempo; ogni scena contiene vecchi ricordi e splendide memorie, il divertimento in sala d' incisione, la grandezza della musica. Sono felice e orgoglioso che la gente ancora ascolti i Beatles e che i Beatles ancora riescano a comunicare ai ragazzi.
Ho incontrato persone, in America, che mi hanno sorpreso, dicendomi che i loro figli di dieci anni amavano i Beatles, amavano le nostre canzoni. Credo sia il miglior omaggio che uno possa fare alla nostra musica, amarla pur senza sapere nulla degli anni Sessanta. La gente, per fortuna, ama per quello che una cosa è, non solo per ciò che rappresenta o perché l' ha vissuta all' epoca. Mi piace. E mi piacciono i Beatles. Un buon gruppo, non credi?».