Simona Antonucci per il Messaggero
La lirica trasloca. Assediata della pandemia, alza la voce davanti alle cineprese. A raccogliere acuti e arie d' avanguardia il regista Damiano Michieletto, veneziano, 45 anni, che vanta una collaudata e celebrata storia d' amore con il teatro musicale (e una passione per il musical).
E i produttori della Genoma di Paolo Rossi Pisu che hanno firmato il restauro di Pasqualino Settebellezze della Wertmuller, il lungometraggio Est, fuori concorso a Venezia, con Lodo Guenzi frontman di Lo Stato Sociale, la candidatura della stella per Pavarotti sulla Walk of Fame e ora questo progetto innovativo che troverà un suo momento di gloria anche a Los Angeles durante la cerimonia in onore di Big Luciano: un film che ha un libretto per sceneggiatura e uno spartito glorioso come colonna sonora.
Alla vigilia dell' uscita del West Side Story di Spielberg, un musical italiano, con le radici nella tradizione del melodramma che esportiamo da secoli. «Gianni Schicchi di Puccini sarà un' opera cinematografica.
A differenza di tanti altri lavori nati in ambito teatrale, il nostro si è liberato da quel mondo», spiega Michieletto. Set a maggio in Toscana, ville con piscina, studi notarili, conventi di frati, salotti di collezionisti d' arte, intrighi alla Agatha Christie e humour alla Monicelli. «L' orchestra del Teatro dell' Opera di Roma diretta dal Maestro Stefano Montanari registrerà la base sui cui, dal vivo, un cast tutto italiano interpreterà questo film, opera, musical», aggiunge il regista. Con un morituro e ricco mercante Buoso Donati che lascia la sua fortuna a un convento di frati, Gianni Schicchi, chiamato dalla famiglia diseredata a correggere il testamento, sua figlia Lauretta (Michieletto la presenta incinta), parenti assetati di dote.
Quando è nato il piano di fuga della lirica?
«Le prove generali forse le abbiamo fatte sul palco del Rigoletto al Circo Massimo, dove abbiamo lavorato in diretta con una steadycam che proiettava la scena sul grande schermo. In uscita anche il film su Rigoletto, prodotto dal Teatro dell' Opera di Roma e Indigo, realizzato con il materiale girato in estate. Ma lì, anche se l' allestimento era trattato in modo cinematografico, eravamo su un palco. Ora saremo su vari set con gli interpreti che canteranno live. Modulando interpretazione e voce al luogo, alla situazione, rendendo tutto totalmente credibile».
Rispetto ai film opera del passato, che cosa è diverso?
«La presa diretta. I cantanti, prima delle riprese, proveranno con direttore e orchestra all' Opera di Roma.
Quindi con una base costruita insieme canteranno sul set. Senza bisogno di spingere come se ci fosse il pubblico in sala, ma modulando la voce alla situazione e alla dimensione del luogo. Senza playback, sarà molto impegnativo, ma è uno sforzo necessario per restituire verosimiglianza».
Puccini sarebbe contento?
«Puccini ha cominciato a comporre negli anni in cui nasceva il cinema. È proiettato verso quel mondo.
E così Forzano: scrive un libretto che è una sceneggiatura. Sessanta minuti senza interruzioni che sembrano una fucilata. Il ritmo non si ferma, continua a girare come la pellicola. Avevo già affrontato Schicchi a Roma e a Vienna e mi è venuto naturale immaginare che potesse diventare un film, quasi un musical. Useremo coreografie e balletti, è una storia che ha una sua comicità e ho voluto contaminarla con un linguaggio brillante».
IL RIGOLETTO DI DAMIANO MICHIELETTO
Un musical? Resterà fedele alla versione originale?
«Assolutamente. Un film a prova di melomane. Nessun taglio, nessuna variazione. Ma con una sorpresa. Ho scritto un prologo di pochi minuti, interpretato da un attore, durante il quale Buoso Donati, poco prima di morire, fa valere le sue ragioni. In fondo è lui il vero protagonista.
La storia si consuma a casa sua, i soldi sono i suoi, i parenti pure, e tutto sommato è più vivo che morto visto che medico e notaio lo considerano ancora in vita. Schicchi, che si aggiudica il titolo all' opera, arriva a metà della storia.
IL RIGOLETTO DI DAMIANO MICHIELETTO AL CIRCO MASSIMO
Quindi regalo cinque minuti da protagonista a Buoso, collezionista d' arte, ricco e senza figli, che prima di morire, si presenta, introduce troupe e cast e spiega come mai si gira un film su di lui».
Una morte misteriosa? O ci sarà un colpo di scena?
«Il mio Buoso muore ammazzato. Altro che morte naturale o malattie. Tutti i parenti serpenti, stanchi di aspettare, bramano che vada all' altro mondo. E ognuno di loro può essere il colpevole. Un complotto. Un giallo, con toni da commedia».
Si sta tracciando un nuovo percorso per la lirica?
«Non credo. Questo lavoro nasce grazie a Puccini, alla natura della sua composizione. È un' operazione molto divertente. Ma non sempre è possibile. Il teatro è un rito e non credo debba trasformarsi in altro.
Mentre organizzo il piano delle riprese a maggio, sto lavorando a due opere di Janáek, a Berlino Jenfa, e Katia Kabanová per Glyndebourne, un autore con straordinarie capacità musicali e narrativi. E mi auguro che i compositori contemporanei sappiano prendere spunto da lui per costruire il patrimonio di domani. Teatrale o cinematografico. Più che il genere conta la potenza dell' emozione».
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