Filippo Facci per Libero Quotidiano
L' umiliazione, ora, è non poter passare subito all' insulto (ciò che unicamente meritano il sovrintendente del Maggio Fiorentino e il regista della Carmen di Bizet in programma dal 7 gennaio) perché prima ci tocca ricostruire l' antefatto, il chi, che cosa, dove, quando: sennò i lettori giustamente non capiscono.
Carmen - teatro del Maggio fiorentino 3f
Tuttavia vi scongiuro, lettori medesimi, concedete solo un rapidissimo anticipo, uno spoiler, un preview, piccolo come questo: signor sovrintendente del Maggio Fiorentino Cristiano Chiarot, e signor regista Leo Muscato, io prego perché voi possiate marcire all' inferno dei vivi, laddove Georges Bizet (compositore) e Prosper Mérimée (autore della storia) e Carmen stessa (la protagonista, animale selvaggio e immorale) provvedano a fustigarvi in eterno o a rinchiudervi per venti minuti in un campo rom autentico, non quello scenografato e puerilmente provocatorio che avete osato sbattere sul palcoscenico del Maggio con l' aggravante poi più grave, imperdonabile, da dannazione eterna e inferi dell' arte: cambiare la storia di Mèrimèe e Bizet, far sopravvivere Carmen che si mette pure a tirar pistolettate e ammazza quello che doveva uccidere lei.
Volevate farvi notare, bravi, che originali: ma siete come un ragazzetta che decide di mostrare le tette in prima serata e fare scandalo, nulla di più.
Bene, ora possiamo pacatamente esporre la notizia.
La mitica Carmen di Bizet, che verrà rappresentata a Firenze e ha già registrato il tutto esaurito, di norma finisce così, anzi finisce così e basta: ll cadavere di Carmen giace sul palcoscenico e Don Josè, assassino per troppo amore, è riverso su di lei e piange: «Arrestatemi, sono io che l' ho uccisa». Sipario.
Insomma, viene fatta fuori perché l' amore viene confuso con il possesso e lei non vuole essere posseduta da nessuno. Volete chiamarlo femminicidio? Cazzi vostri, il punto è che l' arte operistica non è lo sfondo musicale sopra il quale sovrapporre le vostre misere vanità, altrimenti si chiama vilipendio, o - in gergo millenials - stronzata. Come lo è il trasferire la Spagna dell' Ottocento in un campo nomadi degli anni Ottanta, tra le roulotte scarcassate e gli abiti patchwork dei rom, con Don Josè ridotto a sbirro di quartiere ed Escamillo, il toreador, che almeno lui per fortuna resta un toreador altrimenti dovevano cambiare pure la musica e il testo.
E invece no, si sono limitati a far sopravvivere Carmen e a far fuori tutti i maschi. Il toreador viene incornato, chi l' avrebbe mai detto. Don Josè si becca una revolverata e resta lì, vivissimo, a festeggiare assieme alle «scrittrici, poetesse, società civile» che interverranno alla prova generale del 5 gennaio e «daranno una loro testimonianza sulla violenza alle donne», che fortuna per tutti noi.
Per dovere di cronaca dovremmo pure riportare le opinioni del sovrintendente e del regista, ma sono così insulse che passa la voglia.
Chiarot dice frasi tipo «credo nel teatro come strumento di sviluppo critico», cioè non dice nulla, oppure si chiede: «Se la nostra società è piagata dal femminicidio, come possiano osare di applaudire l' uccisione di una donna?».
carmen di bizet by leo muscato al maggio musicale fiorentino
Domanda che è sbagliata in premessa (la nostra società è la meno piagata d' Europa) e semplicemente è comica al pensiero che da ogni opera d' arte o d' intrattenimento possa essere abolito l' assassinio di ogni donna. Mentre il regista, Muscato, fa semplicemente capire che tiene famiglia anche lui: all' inizio era molto perplesso, «poi ho capito che la chiave era sensatissima». Un senso che prima o poi potranno anche spiegarci, altrimenti rischiamo di capire che la soluzione al femminicidio è sparare all' uomo.
Nel frattempo ci industrieremo a cambiare il Tristano e Isotta, l' Aida, Luisa Miller, la Traviata, Turandot (con finale aggiunto), Madame Butterfly, persino Suor Angelica e insomma tutte le opere che maledizione vedono sempre una donna che schiatta, alla fine. Femminicidio ogni volta? Boh, tanto ormai tra assassinio di una donna e femminicidio la differenza non si coglie più.
Ah, se solo sapessero, il sovrintendente e il regista, che Carmen fu già un maschicidio: perché fu l' opera in cui Carmen uccise Bizet. La sua Carmen non era una soldatessa di Gomorra, era l' amore, l' ambivalenza del sentimento, quel doloroso intreccio di slancio e di rinuncia, di oblazione e di sadismo, di adorazione e di odio, la donna portatrice di infinite promesse di appagamento e di risarcimento, promesse non mantenibili che un giorno diverranno tormento e disillusione.
Sono opposti psichici che solo la passione può riunire. Per Georges Bizet tutto questo aveva preso il nome di Carmen, creatura letteraria di Mérimée che, pur non esistendo, consumò Bizet con lo stesso fuoco d' amore che pure avrebbe consumato i protagonisti dell' opera.
Carmen divenne la femmina che preferisce morire piuttosto che costringere il suo cuore alla menzogna, la femmina che ama e che ama, capace di darsi con tutta se stessa come l' uomo mai potrebbe, fisicamente ed emotivamente, Carmen è animale schiavo dell' istinto, donna di terra e perciò priva di quella stronzetteria di buon ceto d' origine che spesso accompagna la noia di vivere di certe nate fortunate che ora rompono i coglioni col «femminicidio», e domani s' inventeranno chissà quale altra ineludibile battaglia.
Carmen fu già una rivoluzione, non puoi rivoluzionarla. Bizet scelse una cantante sanguigna che conosceva la danza e che potesse trascinare nel proprio vortice, e alla Prima, nel 1875, al posto di una cangiante Grande Opéra, il pubblico si ritrovò un' accozzaglia di cenciosi e quell' operaia insolente e dai fianchi ondeggianti, quella dissoluta impunita che sfrontatamente cantava «voglio essere libera anche nella morte».
FILIPPO FACCI ALLA SCALA con l'ex sovrintendente carlo fontana e moglie
Bizet non sopravvisse a Carmen. Si ammalò definitivamente proprio nei giorni della Prima, contrasse ogni tipo di malattia psicosomatica e si fece ansioso e bulimico. Morì quattro mesi dopo, proprio nell' ora in cui calava il sipario del suo ultimo spettacolo. Aveva solo 37 anni.
Fece giusto in tempo ad apprendere che la Corte di Vienna aveva acconsentito a rappresentare la sua Carmen, ma non seppe mai che ne sarebbe cominciata la marcia trionfale in tutta Europa. L' opera tornerà a Parigi solo otto anni più tardi, e gli applausi stavolta saranno indescrivibili. Nietzsche dirà: è musica perfetta.
Brahms, Stravinskij, Mahler e Ciaikovskij grideranno alla perfezione. Carmen. Bizet non le sopravvisse. È stato testimoniato che le sue ultime parole, poco prima di morire, furono: «Carmen, perché?». E però adesso arrivano quelli del Maggio Fiorentino che trasformano Carmen in Monica Vitti ne "La ragazza con la pistola" di Monicelli.
L' inferno, dicevamo.