MA SIETE SICURI CHE SIANO GLI SPETTATORI A SCEGLIERE COSA GUARDARE? – ANCHE SE LE PIATTAFORME DI STREAMING CONTINUANO A RACCONTARCI CHE GLI ALGORITMI NON SONO MANIPOLABILI, IN REALTÀ DIETRO LE SERIE CHE CI VENGONO PROPINATE C’È SEMPRE “UNA MANINA” – IL LIBRO “SCELTI PER TE” DI FRANCESCO MARINO SPIEGA COME, OLTRE ALLA PROFILAZIONE, C’È UNA PRECISA SCELTA EDITORIALE DI DIROTTARE LO SPETTATORE SU CONTENUTI AUTOPRODOTTI. BASTA GUARDARE IL BATTAGE SU “SQUID GAME” O… - VIDEO
-Raffaele d'Ettorre per "il Messaggero"
I servizi on-demand stanno scrivendo le pagine più interessanti della nuova televisione online, trasformando gli utenti da spettatori passivi a veri e propri decision maker. Film e serie tv nascono e si rincorrono oggi costantemente sul filo dell'audience digitale e la loro sorte è decisa dai click degli utenti e dal loro engagement, cioè da quanto tempo trascorrono su un determinato show nelle varie piattaforme, da Netflix ad Amazon Prime Video passando per Apple Tv+ e Disney +. Ma sono davvero gli spettatori a scegliere cosa guardare? I numeri pubblicati da Netflix parlano chiaro: l'80% dei programmi disponibili sulla piattaforma leader dello streaming vengono scoperti dagli utenti attraverso il sistema dei suggerimenti implementato nella home.
Un algoritmo ci sussurra le scelte, indirizza il nostro dito su una parte precisa dello schermo e ci guida verso un loop potenzialmente infinito di scorpacciate mediatiche. A gettare ombre su questo meccanismo però c'è il fatto che quasi tutte le serie-fenomeno più viste su Netflix nel corso dell'ultimo anno solare (Squid Game, La Regina degli Scacchi, Lupin, per citarne alcune dalla top 10) sono creature finanziate, prodotte e distribuite dalla stessa società.
«Le aziende che si occupano di streaming intervengono assegnando dei punteggi di rilevanza diversa ai contenuti disponibili sulla piattaforma», spiega Francesco Marino, giornalista e digital strategist che con il suo libro Scelti per te ha scavato nel complesso mondo degli algoritmi per dare risposta ai dubbi più diffusi. «È vero», prosegue Marino, «che esiste una profilazione dei suggerimenti sulla base dei nostri gusti personali, ma è altrettanto evidente che alle spalle dell'algoritmo ci sia anche una precisa scelta editoriale, soprattutto nel novero dei contenuti autoprodotti».
IL POSIZIONAMENTO Ci sono pochi dubbi sul fatto che al successo di queste serie abbia contribuito, oltre al valore intrinseco, anche il loro posizionamento all'interno del palinsesto: dall'onnipresente trailer nella home al primo posto nella lista dei suggerimenti, a ridosso del lancio Squid Game era ovunque su Netflix, tanto da far pensare che ci fosse dietro una precisa strategia di marketing. I colossi dello streaming si affannano però da anni per rassicurarci sul fatto che l'algoritmo che gestisce la lista dei suggerimenti non possa essere manipolato direttamente.
Ma è davvero così? Già due anni fa un'inchiesta di Reuters ha portato alla luce come Amazon (che ha un tentacolo anche nello streaming con il suo servizio Prime Video) avrebbe riadattato il suo algoritmo per visualizzare in cima ai risultati di ricerca i prodotti più redditizi per l'azienda, e non quelli più rilevanti per gli utenti. Stesso meccanismo anche per le piattaforme audio: Spotify ha da poco offerto agli artisti un posto privilegiato nelle raccomandazioni agli utenti in cambio di una percentuale sulle royalties, e molti ascoltatori si sono detti preoccupati per come questa mossa potrebbe incidere sulle loro scelte.
I PUNTEGGI Gli algoritmi insomma non sarebbero immuni dall'intervento umano. Molti di loro funzionano sulla base di un sistema di punteggi, e vivono nella terra di mezzo tra la personalizzazione intorno ai gusti degli utenti e la valutazione oggettiva del contenuto. Ma si può intervenire per mischiare le carte in tavola. «Se un prodotto è distribuito direttamente dall'azienda», prosegue Marino, «e questa sceglie ovviamente di promuoverlo, può farlo assegnandogli un punteggio maggiore fin dal lancio, comunicando così all'algoritmo che quella serie andrà posizionata un po' più su rispetto alle altre».
Nell'economia dell'on-demand, avere potere su un algoritmo significa scegliere quali serie sopravvivranno al loro episodio pilota, quanti fondi d'investimento verranno veicolati e dove (sono 17 i miliardi di dollari investiti nel 2021 da Netflix per la creazione di nuovi contenuti) e decidere le sorti dei tantissimi posti di lavoro connessi a quei progetti.
Tuffarsi nella tana dell'algoritmo in cerca di risposte però non è semplice, perché i software che li gestiscono sono considerati a tutti gli effetti segreti aziendali. Il colosso di Scotts Valley ha da poco blindato il suo algoritmo dentro la corazza d'acciaio del Primo Emendamento, inquadrandolo cioè nel grande calderone della libertà d'espressione. E rendendo così ancora più difficile capire se a guidare i nostri gusti oggi sono le macchine oppure gli uomini che le gestiscono.