MOMENTI DI OBLIO - SE SU GOOGLE COMPAIONO INFORMAZIONI INESATTE SU DI NOI, CHE CI POSSONO DANNEGGIARE, DEVONO ESSERE CANCELLATE DAL MOTORE DI RICERCA ANCHE SENZA ASPETTARE CHE CI RIVOLGIAMO A UN GIUDICE PER CANCELLARE I LINK - LA DECISIONE DELLA CORTE UE SU GOOGLE. VIENE POTENZIATO COSÌ IL "DIRITTO ALL'OBLIO" (PREVISTO NELLE NORME EUROPEE), OSSIA OTTENERE LA CANCELLAZIONE DEI DATI PERSONALI A TUTELA DELLA PROPRIA REPUTAZIONE…

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Alessandro Longo per la Repubblica

 

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Se su Google compaiono informazioni inesatte su di noi, che ci possono danneggiare, devono essere cancellate dal motore di ricerca anche senza aspettare che ci rivolgiamo a un giudice. Per esercitare questo diritto basterà convincere Google dell'inesattezza, anche parziale, di quei fatti. È quanto ha stabilito giovedì la Corte di Giustizia europea. Si potenzia così il "diritto all'oblio" (previsto nelle norme europee), ossia ottenere la cancellazione dei dati personali a tutela della propria reputazione.

 

Diritto che ora viene esteso con la possibilità di chiedere a Google (o siti analoghi) di non fare apparire nel motore di ricerca alcuni risultati riguardanti la propria persona. Google, se accetta la richiesta, "deindicizza" i risultati (le pagine web) che contengono quelle informazioni.

 

Non le mostrerà più nella pagina della ricerca, di fatto così nascondendole.

Nel caso dell'ultima sentenza, due dirigenti di un gruppo di società di investimento avevano chiesto a Google di eliminare i link ad alcuni articoli che criticavano il loro modello di investimento. Sostenevano la presenza di affermazioni inesatte.

 

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Hanno inoltre chiesto a Google di rimuovere le loro foto, visualizzate sotto forma di "miniature", dall'elenco dei risultati di una ricerca di immagini. Google si è rifiutata, sostenendo di non sapere se le informazioni fossero vere o false. La Corte federale di giustizia tedesca, investita della controversia, ha chiesto alla Corte di giustizia Ue di fornire un'interpretazione delle norme europee: il regolamento sulla protezione dei dati e la direttiva sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

 

Nella sentenza, la Corte ha ricordato che il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve essere considerato in relazione alla sua funzione nella società ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, in conformità al principio di proporzionalità. Ha stabilito quindi che se l'interessato presenta «prove pertinenti e sufficienti in grado di motivare la sua richiesta e di stabilire la manifesta inesattezza delle informazioni», il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere tale richiesta.

 

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«È qui il punto nuovo. Finora Google ha accettato le richieste solo con un ordine di un giudice o un provvedimento del Garante privacy», spiega Massimo Borgobello, avvocato esperto di privacy. Concorda Anna Cataleta, avvocato di P4I: «Diventa più facile esercitare il diritto all'oblio direttamente con Google». Certo, l'azienda può rifiutarsi di cancellare, «ma dopo questa sentenza rischia sanzioni più forti e più certe, anche milionarie», dice Borgobello.

 

Va anche detto che la Corte ha rafforzato il diritto all'oblio solo per le informazioni false. Un diritto può essere esercitato, con alcuni limiti, anche nei riguardi di pagine contenenti fatti veri ma privi di rilevanza pubblica (ad esempio notizie di condanne molto vecchie).

 

La Corte ha poi stabilito che anche la visualizzazione di foto di persone in formato miniatura «costituisce un'interferenza particolarmente significativa con i diritti alla vita privata e ai dati personali». Google quindi, in seguito a una richiesta di cancellazione, è tenuta a «verificare se la visualizzazione di tali foto sia necessaria per l'esercizio del diritto alla libertà di informazione degli utenti potenzialmente interessati ad accedere alle foto».

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