IL MONDO DELl'EDITORIA PIANGE LA SCOMPARSA DI GIORGIO POIDOMANI, IL PRIMO AMMINISTRATORE DELEGATO DEL FATTO QUOTIDIANO: AVEVA 90 ANNI – IL RICORDO DI PADELLARO: “IN POCO TEMPO FECE RISORGERE L’UNITÀ DALLE SUE CENERI. MA SOPRATTUTTO SEPPE DARE FORMA E SOSTANZA ALL’AVVENTURA APPARENTEMENTE INSENSATA DEL “FATTO”, INSEGNANDOCI CIÒ CHE RENDE SOPRATTUTTO LIBERO UN GIORNALE: L’EQUILIBRIO DEI CONTI - MI PORTÒ CON SÉ NEL CARCERE DI REBIBBIA DOVE…"
-Antonio Padellaro per “il Fatto quotidiano” - Estratti
“Diciamolo a Giorgio”. Che grande risorsa in questa nostra vita di giornalisti spesso dominata da improvvisazione e superficialità avere come punto di riferimento, come zattera di salvataggio, come faro nella notte un uomo serio, competente, generoso a cui affidarsi per non sbandare, e in certi casi per non finire nel disastro.
Questo è stato per me Giorgio Poidomani, un amico affettuoso, pieno di umanità, sempre disponibile ma soprattutto un professionista serio, competente, in grado di dare sostanza ai nostri sogni. Quelli che in poco tempo fecero risorgere l’Unità dalle sue ceneri. Ma soprattutto l’avventura apparentemente insensata del Fatto Quotidiano, a cui Giorgio seppe dare forma e sostanza, insegnandoci ciò che rende soprattutto libero un giornale: l’equilibrio dei conti.
Era un uomo colto Giorgio Poidomani, di quella cultura che non nasce dalla erudizione ma dalla vita vissuta, da una somma di esperienze straordinarie a cui ogni tanto, quando ci si confida, con il giornale già in macchina ed è il momento dei ricordi e magari delle confidenze più personali, si lasciava andare forzando un suo pudore naturale.
È stato un uomo generoso anche al di fuori del mondo editoriale, quell’altruismo che nasce dal cuore ma anche da un’idea ben radicata nella sua storia personale, quella dell’essere autenticamente di sinistra nel momento in cui questa parola tanto abusata e vilipesa acquista il suo significato più nobile e profondo: il perseguire un’idea di progresso e di giustizia sociale, il sapersi dedicare agli altri, soprattutto ai più deboli e agli ultimi.
Mi portò con sé nel carcere di Rebibbia dove svolgeva un’attività silenziosa per dare una mano a quelli che effettivamente erano e sono considerati davvero gli ultimi. Con Antigone, l’associazione che si occupa delle persone dietro le sbarre, Giorgio aveva organizzato una serie di iniziative. Tra esse un corso di giornalismo che in realtà era un modo per parlare con quelle persone, per farle sentire meno sole per condividere tristezze e speranze.
Ecco, tra le tante cose di cui gli sono debitore c’è anche questo, l’avermi trasmesso, sia pure per qualche ora, quel sentimento di fraternità con persone che senza di lui non avrei mai incontrato nella mia vita.
In queste pochissime e disordinate parole che riesco a scrivere squassato dalla tristezza, una frase mi viene spontanea per cercare di condensare il suo ricordo: lui è stato ciò che ha donato. Penso che gli sarebbe piaciuta.