Lorenzo Soria per “la Stampa”
Nel 1971 Steve Tilston, cantante e compositore di musica folk, incise il suo primo album. E durante un’intervista nella quale gli chiesero se pensava che la fama e la ricchezza avrebbero potuto avere un effetto negativo sulla sua arte, senza esitazione rispose di «sì». «Ma no, non deve essere necessariamente così», gli scrisse in una lettera un altro musicista che di fama e di ricchezza ne sapeva qualcosa: John Lennon. Nella lettera, firmata anche da Yoko Ono, gli diceva di chiamarlo al telefono, lasciandogli il suo numero.
Ma quella lettera a Tilston non venne mai consegnata. In compenso ne venne a conoscenza un collezionista solo nel 2005, oltre 30 anni dopo: iniziò a chiedersi come sarebbe cambiata la vita di Tilston se avesse dato ascolto al leggendario Beatle. In questo dilemma lo sceneggiatore e produttore Don Fogelman ci ha visto la premessa per un film. E anche se non aveva mai diretto un lungometraggio è andato dritto nel camerino di uno che di fama e di successo ne sa qualcosa, Al Pacino, per chiedergli se voleva essere il suo protagonista.
L’attore stava recitando a Broadway e con sua sorpresa gli ha detto subito di sì. È decollato così Danny Collins, con Pacino nella parte, appunto, di una rockstar che dopo 40 anni di successi, droghe, alcool e donne con la metà dei suoi anni, si sente tremendamente infelice. E che, venuto a sapere di una lettera che gli era stata inviata da Lennon, trova lo spunto per dare un nuovo corso alla sua vita. Accanto all’attore italo-americano ci sono Annette Bening, Bobby Cannavale, Christopher Plummer e Jennifer Garner.
Al Pacino, nella lettera John Lennon sostiene che è possibile diventare ricchi e famosi senza compromettere il proprio senso artistico. Se si guarda indietro, pensa di esserci riuscito?
«Perlopiù penso di sì. Ho cercato all’inizio di tenermi lontano dalla fama, ma poi è stato inutile far finta di niente. In qualche modo era quello che desideravo anche se mi faceva un po’ paura. Essere famosi può spingerti in derive negative, ma l’importante è non perdere di vista perché siamo entrati in questo mondo. È anche importante stare lontano da droghe e alcol e altre tentazioni».
I jet privati e l’adulazione non le sono mancati.
«È vero, a periodi alterni. Ho avuto molti privilegi, ma essere celebri comporta anche delle difficoltà. Non sai mai chi è autentico con te, specie all’inizio quando non hai esperienza. Anche i tuoi figli più piccoli si seccano e ti dicono che uscire con te cambia tutte le dinamiche. Hai i pullman di curiosi che ti arrivano sotto casa, è difficile accettarlo ma fa parte del gioco. E sì, a volto provo ancora a camuffarmi sotto cappello e occhiali da sole, ma non funziona. Una volta magari sì, ma adesso proprio non funziona più».
A oltre 40 anni dal «Padrino», ama ancora ciò che fa?
«Forse provo più gioia adesso, perché cerco di diversificare le mie esperienze. Lo faccio col cinema, ma anche con il teatro e tenendo seminari e leggendo libri. E continuerò a farlo fino a quando avrò la fortuna di poter stare in piedi, sapendo che posso smettere quando voglio. Insomma, anche se a volte mi sembra di stare solo cercando delle scuse per non smettere, fino a quando continuerò a provare il piacere della sfida continuerete a vedermi al cinema».
Anche se tanti li invidiano, molte stelle del cinema avrebbero voluto essere delle rockstar...
«Mi sarebbe piaciuto essere un cantante. Mi sarebbe piaciuto essere una rockstar. Succede a tanti attori, alcuni registrano un disco, ma non lo diventano. Anche se canti bene, sei e resti un attore».
Come ha visto cambiare Hollywood in questi anni?
«Da giovane ho fatto film come Un pomeriggio di un giorno da cani che oggi verrebbe fatto dagli indipendenti ma allora dagli studios. Non fanno più questo tipo di film e poi c’è il ruolo chiave del marketing, che decide quali film sopravvivono e quali sprofondano».